protezionismo all’italiana

Quei cattivoni di noiseFromAmeriKa fanno notare una cosa che almeno a me era sfuggita, anche perché confesso di non leggereIl Sole – 24 Ore. In pratica, Lorenzo Cardia, presidente della Consob, ha chiesto al Parlamento di rendere più difficile l’acquisizione del controllo di una società comprando in Borsa le sue azioni. Più precisamente, l’obbligo di indicare una partecipazione significativa scatterebbe quando si ha l’1% delle azioni (e non il 2% come ora), e i dirigenti di un’azienda avrebbero le mani più libere per cercare di bloccare le acquisizioni.
Tra le righe, nemmeno troppo nascosto, si può leggere la parola PROTEZIONISMO. Vorrete mica che qualcuno si compri per un (metaforico) tozzo di pane le nostre grandi e sane aziende, vero? E magari faccia fuori gli attuali manager? Non fia mai! Da noi le aziende si passano di mano con accordi extramercato. L’unico momento di vivacità si è visto dieci anni fa, quando il ragionier Colaninno ha comprato Telecom con i soldi di Telecom. Vabbè, adesso non dite che non lo sapete.
Aggiornamento: (h 21) Toh. Lo dice anche Silvio. Secondo me, qualcuno dei suoi sottoposti legge VoiceOfAmeriKa.

Altro che le tonnare

Per la serie “le notizie che non arrivano da noi”, leggo dalla BBC che si va verso una moratoria della pesca al tonno dalla pinna blu nel Mediterraneo. Il livello sostenibile per la pesca sarebbe 15000 tonnellate l’anno, mentre le quote ufficiali sono il doppio e altre 20000 tonnellate vengono pescate di nascosto: il risultato è che la popolazione è scesa a un terzo di quella degli anni ’70. Sembra che finalmente Spagna (maggior pescatore) e Giappone (maggior consumatore) abbiano accettato un periodo di riposo.
Detto tutto questo, sbaglio oppure la pubblicità del tonno in Italia mette l’accenno al fatto che le scatolette hanno tonno dalla pinna gialla che è tanto più buono? Non è che qualcuno glielo va a dire ai giapponesi?

Frattini e le tappe intermedie

A quanto pare, la Commissione Europea vuole che tutti gli stati membri dell’Unione riducano del 20% le emissioni di inquinanti. A quanto pare, il nostro governo non è affatto d’accordo, il che mi pare strano visto che l’obiettivo è così lontano che sembrerebbe poter essere nascosto sotto il tappeto nella miglior tradizione italica.
Ma forse il problema è che non si vuole solo fissare un risultato finale, ma anche tutta una serie di tappe intermedie: così almeno si evincerebbe da quanto detto dal nostro ministro degli Esteri, che chiede di “rinegoziare” il tutto «tenendo conto dell’impatto effettivo sull’economia reale» (e beccandosi le pernacchie di Barroso che probabilmente lo conosce bene da quando è stato Commissario UE).
Il nostro ministro avrebbe infatti detto che chiedere maggiore flessibilità «significa chiedere un diverso timing». E poi spiega per i minus habens: «Chi, come l’Italia, parte da un’efficienza energetica maggiore, ha più difficoltà nel raggiungere gli obiettivi intermedi. Allora bisogna introdurre flessibilità sui tempi, salvaguardando gli obiettivi finali». Supponiamo pure che l’Italia parta da un’efficienza energetica maggiore, anche se mi piacerebbe vedere dei dati a riguardo: a questo punto sarebbe in effetti vero che è più difficile scendere da 50 a 40, piuttosto che da 100 a 80. Se non ci credete, provate a fare un chilometro di corsa, vedere quanta fatica fate per riuscire a ridurre il tempo di un 20% e quanta ne fate per un altro 16%. Però la difficoltà relativa di raggiungere un obiettivo intermedio dovrebbe essere pari a quella di raggiungere quello finale, non trovate? Se siete d’accordo con me non siete dei minus habens.
Naturalmente quello che Frattini avrebbe voluto dire era “Il principio della riduzione del 20% ci trova d’accordo, ma non vogliamo arrivarci in soli 12 anni. Diciamo che noi tendiamo a quel risultato: che si abbia nel 2020 o nel 2050 non vi cambia nulla, vero?”. Solo che così sembrava troppo plateale, e ha cercato di indorare la pillola. In Commissione non hanno certo mangiato la foglia: il telespettatore medio probabilmente sì.

Carnevale della Matematica #6 – GOTO Matematicamente

Come potete andare a vedere direttamente alla fonte, la sesta edizione del Carnevale della Matematica ha avuto un successone superiore a ogni aspettativa (almeno mia), con una quantità di contributi davvero eccezionale.
Ma naturalmente qui non si è mai fermi, e sono certo che tutti voi state pensando a cosa potete scrivere per il Carnevale #7 che si terrà da Marcello Seri. Ricordo anche che il Carnevale deve essere ospitato da qualcuno: al momento abbiamo terminato l’anno, ma da gennaio sono liberi tutti i mesi che volete (e sì, potete anche ospitare una seconda edizione, mica è vietato!)

E anche quest’anno si ricomincia

Stasera è il giorno decisivo. Riprenderò ad andare in palestra, dopo che a fine luglio ho pagato sei mesi di abbonamento (che inizierà oggi perché così finisco il 13 aprile quando inizierà a fare troppo caldo per i miei gusti).
Come ho già scritto negli anni passati, la prima settimana sarà molto tranquilla, giusto per riuscire a stare male ma non troppo male: vi anticipo subito che mercoledì e giovedì farò un po’ di fatica a scrivere, visto che avrò tutti i muscoli indolenziti :-) Faccio però notare come il raffreddore con mezza influenza me lo sono beccato la settimana scorsa: non ho proprio nessuna scusa, insomma.

65 anni fa

Leggo sulla Britannica (sì, c’è anche scritto su wikipedia, ma gli altri sono arrivati in tecnologia push) che il 13 ottobre 1943 il governo Badoglio dichiarò guerra alla Germania. La cosa in effetti mi fa pensare un paio di cose. Innanzitutto, a differenza del 25 luglio e dell’8 settembre, questa data è finita nel dimenticatoio, il che è un po’ strano in una nazione che afferma di essere nata dalla Resistenza. La seconda è che mi piacerebbe leggere un resoconto di cosa è successo dalla fuga a Brindisi. Ci è voluto un mese abbondante per riavere una parvenza di governo? Ci sono state delle discussioni? Al centro-nord sapevano qualcosa?
Immagino che ci saranno dei libri di qualche storico che parlano con dovizia di questo periodo: se qualcuno me ne suggerisse uno gliene sarei grato.

Il mercato e la sinistra

Dalla fine dell’anno scorso hanno cominciato a sventrare la zona intorno a piazzale Lagosta per i lavori della metro 5. Oltre ai casini generali generati dalle vie chiuse, ristrette e altro, in questo caso c’è stato un problema in più: il martedì e il sabato lì c’è (c’era) il mercato. In pratica è un anno e mezzo che tutti si chiedono dove diavolo spostare i banchi: li abbiamo visti prima in viale Zara, poi verso via Pollaiuolo, sempre tra gli alti lai dei commercianti da un lato e degli abitanti della zona dall’altri.
Ora, a quanto leggo da DNews, sembra che sia stata trovata una soluzione: il mercato si sposterà sul cavalcavia Bussa (quello che avevano trasformato in parcheggio per i locali). Considerato che è capitato già abbastanza spesso di vedere dei mercatini, l’idea non mi sembra male, anche se so già che non ci potranno stare tutti i banchi ma immagino solo quelli degli alimentari: meglio comunque che il caos attuale. D’altra parte, se 123 ambulanti su 126 hanno accettato l’ennesimo spostamento si direbbe che non sia poi la fine del mondo. Peccato che – sempre secondo DNews – i “partiti della sinistra radicale” (Prc e Pdci, per la cronaca) non siano d’accordo. Perché? boh. Leggere l’articolo di DNews, viste le tendenze politiche del quotidiano, chiaramente non dà informazioni utili. Leggere il volantino appiccicato in giro forse sì: però la rapida scorsa che gli detti ieri mentre con Anna tornavamo a casa non mi ha permesso di capire nulla, nella miglior tradizione della sinistra italiana dove è richiesta un’attenta esegesi per riuscire a distillare l’eventuale significato del testo.
Quello che dico io è “se è vero che gli ambulanti sono d’accordo, ed è vero che gli abitanti locali sono d’accordo, perché buttarla in politica?” Poi mi ricordo che in effetti io di politica non ne faccio :-)