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Ieri pomeriggio ho cercato di scaricare alcune pagine del libro di scienze di Jacopo. Se non avete dei figli in età scolare, probabilmente non sapete che per legge gli editori di libri scolastici devono anche fornire una versione elettronica dei testi. Se avete dei figli in età scolare, probabilmente sapete che nella maggior parte dei casi le versioni elettroniche sono fatte in modo tale da rendere praticamente impossibile la fruizione del testo: si riesce sì e no a leggere gli esercizi e ascoltare il testo. Certo, si può anche usare un’apposita app, che ovviamente è diversa per ogni editore ed è ugualmente tarpata. Non mi è molto chiaro quale sia la paura – nessuno si metterebbe a stamparsi il libro – ma lasciamo stare.

Torniamo a noi. Apro il sito, mi loggo, apro il libro che mi serve… e il browser rimane lì in attesa. Provo a cambiare browser: nulla da fare. A questo punto scrivo all’assistenza Mondadori Education che risponde quasi subito dicendomi

Gentile cliente,
stiamo rilevando un problema generale a livello di connessione ai libri digitali, la cui entità varia a seconda del provider e della posizione geografica degli utenti interessati.
In base alle analisi fatte dal nostro team di sviluppo gli utenti interessati dal problema usano TIM, lo conferma?
Per il momento possiamo suggerire di provare in un secondo momento oppure usare una connessione diversa (es. hotspot del cellulare o diversa rete Wi-Fi).

Non che io abbia capito la logica di cambiare rete Wi-Fi, ma sorvoliamo. Alla mia conferma “Sì, uso una connessione fissa TIM, ma anche il telefonino comunque sarebbe TIM” la nuova risposta è stata

il problema sembra purtroppo a livello nazionale, in base al confronto con sviluppatori della piattaforma e dipende dalla modalità con cui TIM connette gli utenti ai server delle app HUB Young / HUB Kids. Al momento possiamo solo suggerirle di contattare l’assistenza TIM e segnalare il problema.

Sono più di quarant’anni che bazzico con l’informatica. Certo, in linea puramente teorica TIM potrebbe aver cambiato il tipo di connessione con i server, o aver perso i certificati. Ma mi pare molto strano che così di colpo sia cambiato qualcosa dal loro lato. Ad ogni modo non ho nemmeno risposto, ho fatto le foto alle pagine del libro cartaceo e mi sono arrangiato.

E in effetti stamattina mi arriva un nuovo messaggio dall’assistenza:

le comunichiamo che a partire dalle 9.45 di stamattina abbiamo rilevato miglioramenti nella fruizione dei libri digitali. Le suggeriamo di riprovare adesso.

Sono entrato, in effetti il libro era di nuovo apribile. Solo che c’era anche un messaggio iniziale che diceva che erano state aggiornate alcune caratteristiche del sito. La domanda è naturale: chi è che ha davvero fatto qualche modifica impercettibile che aveva fatto piantare tutto?

Ultimo aggiornamento: 2021-05-12 15:59

I chatbot hanno ancora tanta strada da fare

L’altro giorno stavo cercando dei libri su Google Play Books (sennò che me ne faccio degli spicci dei sondaggi Google Rewards?) e ho notato ancora una volta che mentre esiste un genere “science&technology” tra gli audiobook non c’è l’equivalente per gli ebook. Ho così provato a contattare l’assistenza e per una volta sono passato via chat. Il fatto che dovessi scrivere in inglese non era un grande problema. Sono il primo in coda, e arriva un certo Tae. Ecco la conversazione che abbiamo avuto.


You’re connected with agent Tae.
11:40 AM
Hi Tae! As I wrote, I would like to know why there is no list of ebooks in Science&Technology category in Google Play Books
Io · 11:41 AM

Thanks for contacting Google Support, My name is Tae, in case you need to refer to this chat interaction in the future, please take note of the following ID (0-2035000031624. How are you doing today maurizio?
Tae · 11:42 AM

Hello Tae, I'm quite fine. I hope the same of you
Io · 11:42 AM

I understand that you are contacting us regards to Play book. I can try to help.
Have you tried using the search in engine?
Tae · 11:43 AM

Search gives results with a specific term - eg, "Maths" - but I am trying to find books I don't know about. This means that I am not able to pinpoint a choice
Io · 11:45 AM

I understand, the books you see listed are the one that we have available. If we don't have the content you are looking for, you can submit feedback so that books as such can be added.
Tae · 11:47 AM

ok, thanks!
Io · 11:47 AM

Is there anything else I can help you with today?
Tae · 11:48 AM

no, thank you. Bye!
Io · 11:48 AM

Thank you for contacting Google Support. At the end of this chat there will be a brief survey about your support experience. Google appreciates your comments!
Tae left the chat.
11:48 AM
Thanks for chatting! Let us know how we did: [link redacted]
Tae · 11:48 AM

The session has ended.
11:48 AM

È chiaro che “Tae” è un chatbot. Se non fosse stato evidente dal fatto che non ha cominciato rispondendo al mio primo messaggio – ma quello potrebbe essere dovuto al fatto che inizio e fine di una conversazione in chat sono spesso precaricate – con il suo secondo messaggio la cosa è lampante. Inutile dire che a questo punto ho lasciato perdere la speranza di avere una risposta, e mi sono limitato a risposte il più neutre possibile: non vedo perché avrei dovuto scrivere qualcosa di non standard per fornire gratuitamente dati di addestramento a Big G.

Il problema non è dovere interagire con i chatbot. Beh, un po’ è anche quello, ma capisco che alla maggior parte delle richieste si possono dare risposte precotte, e avere un essere umano il cui lavoro è inviare quella rilevante è costoso per l’azienda e alienante per il lavoratore. Il problema è che questo chatbot non si è presentato come tale e questo non mi pare per nulla corretto, per quanto sia evidentemente legale. Perché bisogna negare la realtà? Ad Alphabet sono così certi che nessuno si accorga della differenza? Hanno paura che nessuno interagirebbe? Ci siamo adeguati agli alberi vocali quando telefoniamo, ci adegueremo anche ai chatbot: ma almeno lasciateci sapere di che morte dobbiamo morire.

E quale sarebbe la mia licenza digitale?

Quest’estate ho riscattato il mio vecchio notebook dell’ufficio. È poi rimasto lì a far niente, fino a che questo weekend sono stato costretto a riattivarlo. Dovevo formattare tutto l’hard disk, quindi mi serviva una licenza di Windows. Vado alla caccia di un sito dove comprarne una a poco prezzo, e intanto installo Windows 10 sul PC. Alla fine scopro di avere una licenza digitale per Win 10 Home “collegata al mio account Microsoft”. L’account è però il mio personale, non quello aziendale; e Windows non ha potuto trovare nulla sul mio hard disk, perché già che c’ero l’avevo sostituito con un SSD. E allora dove si è trovata questa licenza?

Ultimo aggiornamento: 2020-11-07 17:34

il modello ad abbonamento per i servizi

In questi giorni nei gruppi un po’ più nerd è tutto un lamentarsi perche IFTTT sta sostanzialmente diventando a pagamento. Per chi non lo conoscesse, IFTTT (“if this, then that”) e un servizio che permette di automatizzare alcune operazioni in rete, e quindi è molto usato. Tra un paio di settimane terminerà la Grande Offerta “dicci tu quanto vuoi pagare” (minimo 1,99 euro al mese), e chi non pagherà potrà solo avere tre diverse applet IFTTT.
Di per sé è comprensibile che chi produce un servizio voglia farsi pagare dagli utenti. In questo caso potremmo forse anche dire che visto che il servizio è gestito in rete e non in locale ha abbastanza senso chiedere un abbonamento per sostenere le spese di gestione. Possiamo discutere su quale sia il costo marginale del servizio, ma questa è un’altra storia. Quello che invece vorrei far notare è come il modello di vendita si sia spostato dall'”acquisto” di software all’abbonamento. Uso il termine acquisto tra virgolette perché – come chiunque abbia mai letto una EULA sa – il produttore non ci vende il software ma ci dà una licenza d’uso; ma dal punto di vista dell’utente quello che succedeva era che io pagavo e avevo il software, compresa la correzione di eventuali bachi. Naturalmente una nuova versione del software richedeva un nuovo esborso, si spera minore, per coprire il lavoro degli sviluppatori. Microsoft ha lanciato la strada con il suo Office365: purtroppo non ho comprato in tempo con il programma HUP la versione 2019 del loro software (ho la 2013 e la 2016) che è stata silenziosamente ritirata. Ovvio: se io compro Office posso andare avanti a piacere, se sono abbonato a Office365 devo pagare ogni anno. So che anche Zanichelli fa la stessa cosa con l’edizione online dei suoi dizionari: un’eresia per quelli della mia generazione che pagavano una schioppettata l’edizione cartacea (e poi fino a vent’anni fa pagavano il giusto un’edizione in CD-ROM) e se la tenevano per una vita visto che tanto le parole nuove non sono poi così tante. Oppure i navigatori integrati nelle auto: se io volessi aggiornare le mappe della mia Zafira dovrei comprare l’edizione 2020 a 120 euro, come se non avessi già pagato le mappe 2014.

Questo sistema va benissimo ai produttori, che con la storia del “sempre connessi” hanno anche trovato il modo per verificare che non ci siano copie pirata dei loro programmi: ma va sicuramente molto meno bene agli utenti. Secondo voi, che potrà succedere?

Ultimo aggiornamento: 2020-09-24 13:03

I guai del machine learning

Leggendo questo articolo di Riccardo Luna, a parte il titolo fuorviante (intelligenza artificiale e machine learning per me sono due cose diverse, e giustamente nel corpo dell’articolo si specifica che stiamo parlando della seconda) mi è venuto in mente che in effetti questo caso mostra assai bene quali sono i problemi con i famigerati “algoritmi”.

Il progetto di Daniel Voshart parte da un software che prende come partenza le statue o le immagini sulle monete raffiguranti gli imperatori e aggiunge man mano le loro descrizioni come riportate nelle varie fonti. Non sempre le fonti concordano; quindi il lavoro della rete generativa avversaria consiste nel trovare esempi fittizi che vengano scambiati per veri, costruendo man mano la struttura della testa. Solo che a quanto pare tra i dati usati c’era un testo quasi certamente spurio, che indicava molti imperatori come biondi. Qualcuno ce ne sarà sicuramente stato, soprattutto negli ultimi secoli; ma gli italici sicuramente non lo erano e nei primi secoli è più facile che gli imperatori non italici arrivassero dal Nordafrica e quindi fossero belli scuri. Si è così avuto il famigerato problema GIGO, “garbage in, garbage out”: se tu addestri qualcuno, uomo o macchina che sia, dicendogli che 2+2=5 non puoi pretendere che poi ti dica che 2+2=4.

Il punto è, come termina Luna, che l’algoritmo può incorporare i nostri bias; ma dobbiamo anche stare attenti ai dati che gli diamo, soprattutto se non ce ne sono molti a disposizione e quindi l’algoritmo dovrà basarsi molto di più sul poco che ha. Se ci fossero mille esempi di 2+2=4 e uno solo di 2+2=5, un algoritmo ben fatto probabilmente sarebbe abbastanza certo che due e due fa quattro; ma con un esempio contro uno può succedere di tutto. Ricordatevelo quando gridate contro l’algoritmo cattivo.

Obsolescenza (non?) programmata

Dodici anni fa scrissi un post lamentandomi che non potevo più usare il mio CD del DELI perché non funzionava ZAN32.EXE, e comunque avevo bisogno del CD inserito. Mi venne suggerito di montare un’immagine del disco con Daemon Tools.

Ora ho Windows 10 che monta le immagini ISO su un pc senza lettore dvd. Anche se formalmente l’immagine viene vista come un cd, il programma non parte. Belle cose, vero?

Ultimo aggiornamento: 2019-12-13 07:13

“Impossibile aggiornare la partizione del sistema riservata”

Ho un nuovo PC di laboratorio, e sto cercando di farlo funzionare. Mi è arrivato con una licenza Windows 10 Pro… del 2015, e Windows Update dà un errore 0x80240fff che immagino sia a tutti chiarissimo. Vabbè, dico, provo a partire dal sito Microsoft. Tutto bene, parte l’update, scarica qualcosa e poi si ferma dicendo “Impossibile aggiornare la partizione del sistema riservata”. Il problema, come spiegano tanti siti, è che non c’era abbastanza spazio. Un paio di botte di un gestore di partizioni e tutto è tornato a posto. Però mi chiedo perché Microsoft non ha pensato di aggiungere quella minima riga di spiegazione in “ulteriori informazioni”. Forse perché immagina che è meglio che l’utente comune non tocchi le partizioni?

Poi naturalmente tutto questo non bastava, ed è arrivato l’errore “Modern Setup Host has stopped working”. Altro giro, altro sito. E tutto l’upgrade serviva perché il PC (un HP) non vedeva il monitor esterno (un HP vecchiotto). Secondo l’assistenza HP il monitor non era supportato; ma chissà perché mentre aggiungevo man mano i driver a un certo punto è apparsa l’immagine anche là… (risposta cattiva: perché l’assistenza sperava che io comprassi un nuovo monitor?)

Windows 10: dalla password al pin

Con l’ultimo aggiornamento di Windows 10, quando ho cercato di collegarmi il sistema mi ha proposto di usare un pin anziché la solita password, spiegandomi che in questo caso la parola chiave se ne sarebbe restata in locale sul PC. Ho scritto “proposto”, ma era una proposta che non si poteva rifiutare: quando ho provato a dire “mannò, mi va bene così come sono adesso” mi è stato risposto che non era proprio possibile.
Alla fine ho tolto la spunta alla casella “usa solo cifre” e ho rimesso la mia vecchia password, quindi l’unica differenza è nel nome di quello che mi viene chiesto di digitare: ma mi resta una domanda. Perché diavolo questa modifica?

Ultimo aggiornamento: 2019-09-17 07:22