Archivi categoria: informatica e AI

il modello ad abbonamento per i servizi

In questi giorni nei gruppi un po’ più nerd è tutto un lamentarsi perche IFTTT sta sostanzialmente diventando a pagamento. Per chi non lo conoscesse, IFTTT (“if this, then that”) e un servizio che permette di automatizzare alcune operazioni in rete, e quindi è molto usato. Tra un paio di settimane terminerà la Grande Offerta “dicci tu quanto vuoi pagare” (minimo 1,99 euro al mese), e chi non pagherà potrà solo avere tre diverse applet IFTTT.
Di per sé è comprensibile che chi produce un servizio voglia farsi pagare dagli utenti. In questo caso potremmo forse anche dire che visto che il servizio è gestito in rete e non in locale ha abbastanza senso chiedere un abbonamento per sostenere le spese di gestione. Possiamo discutere su quale sia il costo marginale del servizio, ma questa è un’altra storia. Quello che invece vorrei far notare è come il modello di vendita si sia spostato dall'”acquisto” di software all’abbonamento. Uso il termine acquisto tra virgolette perché – come chiunque abbia mai letto una EULA sa – il produttore non ci vende il software ma ci dà una licenza d’uso; ma dal punto di vista dell’utente quello che succedeva era che io pagavo e avevo il software, compresa la correzione di eventuali bachi. Naturalmente una nuova versione del software richedeva un nuovo esborso, si spera minore, per coprire il lavoro degli sviluppatori. Microsoft ha lanciato la strada con il suo Office365: purtroppo non ho comprato in tempo con il programma HUP la versione 2019 del loro software (ho la 2013 e la 2016) che è stata silenziosamente ritirata. Ovvio: se io compro Office posso andare avanti a piacere, se sono abbonato a Office365 devo pagare ogni anno. So che anche Zanichelli fa la stessa cosa con l’edizione online dei suoi dizionari: un’eresia per quelli della mia generazione che pagavano una schioppettata l’edizione cartacea (e poi fino a vent’anni fa pagavano il giusto un’edizione in CD-ROM) e se la tenevano per una vita visto che tanto le parole nuove non sono poi così tante. Oppure i navigatori integrati nelle auto: se io volessi aggiornare le mappe della mia Zafira dovrei comprare l’edizione 2020 a 120 euro, come se non avessi già pagato le mappe 2014.

Questo sistema va benissimo ai produttori, che con la storia del “sempre connessi” hanno anche trovato il modo per verificare che non ci siano copie pirata dei loro programmi: ma va sicuramente molto meno bene agli utenti. Secondo voi, che potrà succedere?

Ultimo aggiornamento: 2020-09-24 13:03

I guai del machine learning

Leggendo questo articolo di Riccardo Luna, a parte il titolo fuorviante (intelligenza artificiale e machine learning per me sono due cose diverse, e giustamente nel corpo dell’articolo si specifica che stiamo parlando della seconda) mi è venuto in mente che in effetti questo caso mostra assai bene quali sono i problemi con i famigerati “algoritmi”.

Il progetto di Daniel Voshart parte da un software che prende come partenza le statue o le immagini sulle monete raffiguranti gli imperatori e aggiunge man mano le loro descrizioni come riportate nelle varie fonti. Non sempre le fonti concordano; quindi il lavoro della rete generativa avversaria consiste nel trovare esempi fittizi che vengano scambiati per veri, costruendo man mano la struttura della testa. Solo che a quanto pare tra i dati usati c’era un testo quasi certamente spurio, che indicava molti imperatori come biondi. Qualcuno ce ne sarà sicuramente stato, soprattutto negli ultimi secoli; ma gli italici sicuramente non lo erano e nei primi secoli è più facile che gli imperatori non italici arrivassero dal Nordafrica e quindi fossero belli scuri. Si è così avuto il famigerato problema GIGO, “garbage in, garbage out”: se tu addestri qualcuno, uomo o macchina che sia, dicendogli che 2+2=5 non puoi pretendere che poi ti dica che 2+2=4.

Il punto è, come termina Luna, che l’algoritmo può incorporare i nostri bias; ma dobbiamo anche stare attenti ai dati che gli diamo, soprattutto se non ce ne sono molti a disposizione e quindi l’algoritmo dovrà basarsi molto di più sul poco che ha. Se ci fossero mille esempi di 2+2=4 e uno solo di 2+2=5, un algoritmo ben fatto probabilmente sarebbe abbastanza certo che due e due fa quattro; ma con un esempio contro uno può succedere di tutto. Ricordatevelo quando gridate contro l’algoritmo cattivo.

Obsolescenza (non?) programmata

Dodici anni fa scrissi un post lamentandomi che non potevo più usare il mio CD del DELI perché non funzionava ZAN32.EXE, e comunque avevo bisogno del CD inserito. Mi venne suggerito di montare un’immagine del disco con Daemon Tools.

Ora ho Windows 10 che monta le immagini ISO su un pc senza lettore dvd. Anche se formalmente l’immagine viene vista come un cd, il programma non parte. Belle cose, vero?

Ultimo aggiornamento: 2019-12-13 07:13

“Impossibile aggiornare la partizione del sistema riservata”

Ho un nuovo PC di laboratorio, e sto cercando di farlo funzionare. Mi è arrivato con una licenza Windows 10 Pro… del 2015, e Windows Update dà un errore 0x80240fff che immagino sia a tutti chiarissimo. Vabbè, dico, provo a partire dal sito Microsoft. Tutto bene, parte l’update, scarica qualcosa e poi si ferma dicendo “Impossibile aggiornare la partizione del sistema riservata”. Il problema, come spiegano tanti siti, è che non c’era abbastanza spazio. Un paio di botte di un gestore di partizioni e tutto è tornato a posto. Però mi chiedo perché Microsoft non ha pensato di aggiungere quella minima riga di spiegazione in “ulteriori informazioni”. Forse perché immagina che è meglio che l’utente comune non tocchi le partizioni?

Poi naturalmente tutto questo non bastava, ed è arrivato l’errore “Modern Setup Host has stopped working”. Altro giro, altro sito. E tutto l’upgrade serviva perché il PC (un HP) non vedeva il monitor esterno (un HP vecchiotto). Secondo l’assistenza HP il monitor non era supportato; ma chissà perché mentre aggiungevo man mano i driver a un certo punto è apparsa l’immagine anche là… (risposta cattiva: perché l’assistenza sperava che io comprassi un nuovo monitor?)

Windows 10: dalla password al pin

Con l’ultimo aggiornamento di Windows 10, quando ho cercato di collegarmi il sistema mi ha proposto di usare un pin anziché la solita password, spiegandomi che in questo caso la parola chiave se ne sarebbe restata in locale sul PC. Ho scritto “proposto”, ma era una proposta che non si poteva rifiutare: quando ho provato a dire “mannò, mi va bene così come sono adesso” mi è stato risposto che non era proprio possibile.
Alla fine ho tolto la spunta alla casella “usa solo cifre” e ho rimesso la mia vecchia password, quindi l’unica differenza è nel nome di quello che mi viene chiesto di digitare: ma mi resta una domanda. Perché diavolo questa modifica?

Ultimo aggiornamento: 2019-09-17 07:22

Vivaldi (il browser)

Tra i millanta browser per desktop che ci sono sul mercato, qualche mese fa mi è capitato di provare Vivaldi (sì, come il compositore). Nella sua presentazione spiega che la filosofia di base è dare la massima flessibilità all’utente su come gestire i propri dati: dubito che siano in molti a sfruttare tali possibilità, ma per esempio c’è un’interessante modalità “smartphone” che permette di usare Instagram e postare direttamente da un desktop, anziché prendere il furbofono. In effetti ho scoperto l’esistenza di Vivaldi proprio così…

le bombe ZIP

Ho scoperto da Slashdot che David Fifield ha creato un file .zip di 46 MB che, se qualcuno cercasse di scompattarlo, creerebbe un file di 4,5 PB. Non è un errore di stampa, si parla proprio di petabyte, cioè di milioni di gigabyte o se preferite miliardi di megabyte. In realtà, come spiega meglio questo articolo di Vice, queste bombe zip erano note da decenni ma c’era una specie di trucco: una volta scompattato il file, ci si trovava davanti un mucchio di altri zip da scompattare a loro volta, e così via per un certo numero di livelli. L’esempio più noto è un file che si chiama (chissà come mai…) 42.zip, e che se volete potete scaricarvi. Pare invece che l’approccio di Fifield, anche se meno “performante” di quest’ultimo, abbia il “vantaggio” di non essere ricorsivo, riuscendo comunque a superare il massimo rapporto di compressione teorico di 1032:1 nelle specifiche sovrapponendo all’interno dello zip i vari pezzi da estrarre.
Buon divertimento! Ma non preoccupatevi troppo: un antivirus decente blocca le bombe zip/

aggiornamenti un po’ in ritardo

La scorsa settimana il mio PC mi avvisa gentilmente che l’aggiornamento che deve fare è un po’ più corposo del solito, e quindi mi consiglia di schedularlo. Faccio un po’ di mente locale, penso che da fine ottobre sono giusto passati sei mesi e quindi ci sarà il nuovo Windows 10; non avendo molto da lavorare gli dico “fallo pure ora”. Quando torno al PC, vado a verificare la versione attuale… e scopro che continua a essere la 1809, anche se c’è comunque un patch o qualcosa del genere.

Non è che i signori Microsoft battano un po’ la fiacca?