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matematto non praticante

Chiude la Celid

L’ho saputo ieri sera da Massimo Manca: la Celid chiude. All’improvviso, visto che qui si può leggere il comunicato stampa datato 11 settembre.

La Cooperativa Editrice Libraria di Informazione Democratica (questo è il nome completo) per la maggior parte di voi non significherà nulla, ma per un torinese come me è stata la libreria di elezione per quasi vent’anni. Paradossalmente non l’ho mai frequentata come studente universitario, anche perché studiavo a Pisa: ma quando entrai in Cselt, la Camlc – la cooperativa che gestiva la mensa – comprava anche i libri per i soci a prezzo scontato per l’appunto alla Celid, e così mi capitava molto spesso di andare nei sotterranei di Palazzo Nuovo e fare due chiacchiere con Massimo, facendomi anche consigliare qualche libro. Anche dopo che me ne andai a Milano e la Camlc fu sciolta [*] ho spesso continuato a passare da Palazzo Nuovo quando ero a Torino e avevo un’oretta di tempo. Dite quello che volete, ma il bello di una libreria è appunto il potere parlare con qualcuno, altrimenti tanto vale prendere i libri su Amazon. Poi non so, ci sarà stato anche il bel periodo in cui le cooperative erano davvero cooperative e cercavano di portare avanti gli ideali della sinistra… No, non guardate me. Ero amministratore della Camlc, ma ero notoriamente “l’ala destra”.

Ad aprile però la sede di Palazzo Nuovo è stata chiusa per rischio amianto, e visto che era quella che portava da sola metà fatturato i conti non sono più tornati, evidentemente. Spero solo che i dipendenti abbiano già trovato un nuovo lavoro, anche se temo che non saranno più librai: non è più un mestiere che tira.

[*] non c’è un rapporto di causa-effetto, anche se uno dei motivi per cui me ne andai dallo Cselt (la fine ufficiale del centro di ricerca per diventare una specie di acceleratore, senza che ne avesse le possibilità) fu quello che portò alla fine dello Cselt come azienda separata da Telecom e la fine dell'”anomalia” di una mensa gestita localmente e non con megacontratti sovraregionali.

_Notizie che non lo erano_ (libro)

9788817079266Questo libro (Luca Sofri, Notizie che non lo erano : Perché certe storie sono troppo belle per essere vere, Rizzoli 2015, pag. 247, € 16, ISBN 9788817079266) nasce da una rubrica settimanale che appariva sulla Gazzetta dello Sport e che segnalava appunto la notizie che erano state pubblicate sui quotidiani anche blasonati ma non erano mai esistite davvero, nascendo magari da un equivoco e autoalimentandosi. La parte probabilmente più interessante è sparpagliata tra le pagine del libro, con i nomi dei giornali anglosassoni che indulgono spesso in tali notizie (Daily Mail, Sun, New York Post a cui aggiungerei la tedesca Bild) e con le frasi tipiche, nei titoli ma non solo, che sono il segnale che il giornalista sa bene che quello che scrive è da predersi molto con le molle: tutti i condizionali, per esempio, oppure le pseudointerviste che iniziano con “Io (virgola)”, o ancora la formuletta “è giallo” che di solito è il modo usato per smentire quanto scritto in precedenza, fischiettando per darsi un contegno. Naturalmente non è quasi mai “colpa di Internet”, sia perché le notizie in rete sono quasi sempre tratte dai media sia perché sarebbe compito dei giornalisti verificare; ma ormai ci si gioca tutto sul filo dei minuti, questo sì per l’effetto moltiplicativo di Internet, e quindi le cose temo rimarranno così. Quello che secondo me manca nel libro è una pars construens: avrei visto con piacere un capitolo che spiegasse cosa fanno all’estero i giornali seri quando toppano una notizia (la correggono online, ma aggiungono in calce cosa c’era di errato nella versione originale).

Servizio Sanitario Nazionale

È da quando sono caduto (da fermo…) in bicicletta a giugno che ogni tanto mi fa male la spalla: alla fine ho deciso di fare un’ecografia. Anna è stata così gentile da prenotarmela: oggi mi ha detto che la farò privatamente e non come SSN. Non tanto perché così me la fanno tra due settimane e non tra un mese e mezzo, ma perché da privato pagherò 90 centesimi meno del ticket.

Attenzione: non sto dicendo che il SSN sia da buttare via. È chiaro che se mi capitasse qualcosa di più grave è bello sapere che me la cavo con pochi soldi (oltre a quello che verso nelle mie tasse). Quello che dico è che forse siamo arrivati a un punto tale che – almeno per chi come me ha un reddito relativamente alto e non ha patologie croniche – sarebbe meglio evitare di fare tante manfrine e togliere direttamente certe prestazioni via dal SSN. Almeno si ridurrebbe la burocrazia.

L’importanza delle maiuscole

C’è una cosa che non capisco dei traduttori automatici. Il messaggio di phishing appena arrivatomi dice

Questo è per notificare la Red Bull lotteria internazionale pareggio promozionale tenutosi qui a Londra e hanno ottenuto la somma di £ 2,000.000.00 (due milioni di sterline), attraverso un libero biglietto draw di posta elettronica online. Per iniziare il processo di richiesta, si prega di contattare il responsabile reclami con dettagli di seguito.

Ora, il “pareggio promozionale” è chiaramente un promotional draw. Ma allora perché nella riga sotto non hanno tradotto “draw”?
Ma la cosa più divertente è che se do in pasto a Google la frase “This is to notify that the Red Bull International lottery promotional draw held here in London” mi esce “La informiamo che la lotteria sorteggio promozionale Red Bull Internazionale tenuto qui a Londra”, ma se scrivo “international” in minuscolo la traduzione diventa “La informiamo che la Red Bull lotteria internazionale pareggio promozionale tenuto qui a Londra”. Povero traduttore automatico.

E non è ancora cominciata la scuola

Ieri pomeriggio sono stato alla prima riunione della scuola elementar… pardon, primaria che i gemelli frequenteranno da lunedì prossimo. A parte notizie tecniche tipo il fatto che la scuola ospiterà anche i ragazzi delle medie che sono stati sfrattati causa necessità di ristrutturare la loro scuola (ma non è detto che ci siano i soldi, a quanto pare non c’è nemmeno un progetto esecutivo) il vero motivo era cercare volontari per far sì che la quarta classe prima non sia a tempo pieno (40 ore settimanali) ma a 30 ore, con due soli pomeriggi a scuola. La direttrice ha magnificato i vantaggi di quell’orario, con la possibilità di inserire un pomeriggio attività extracurricolari e di non allontanare troppo i bimbi dalla famiglia: una volta pressata ha però dovuto ammettere che sono in carenza di organico, che forse a novembre arriverà qualcuno in più e che se non si trovano quindici volontari saranno sì fatte quattro classi a tempo pieno, tagliando tutte le compresenze. Così ad occhio la soluzione finale sarà quella, a meno che non mettano in campo una quantità di mediatori culturali per spiegare ai genitori che non capiscono bene l’italiano cosa sta succedendo.

Poi c’è stato il problema delle deleghe per il ritiro dei bambini. Ho chiesto se c’erano i moduli – la prossima settimana, con un tempismo perfetto, Anna deve andare in Sicilia per lavoro – e mi è stato detto che c’erano sul sito della scuola. Tornato a casa ho controllato: non c’erano. Potevo segnalare la richiesta di una dieta per allergie o motivi religiosi; potevo chiedere la somministrazione di medicine; potevo autorizzare i bambini a tornae a casa da soli (a sei anni a Milano forse non è il caso); ma la delega che mi serviva non c’era. Così stamattina ho preso e sono andato in segreteria, che però non è nella scuola dei bambini ma a un chilometro e mezzo di distanza (per fortuna quasi sulla strada verso l’ufficio). Così stamattina ho inforcato la bicicletta e sono andato in segreteria.

Arrivo, salgo, chiedo il modulo, l’impiegato me lo fotocopia, poi si accorge che non era quello aggiornato, cerca di nuovo, fotocopia… e si blocca la fotocopiatrice. A questo punto arriva l’insegnante che gestisce l’offerta formativa, che avevo visto ieri, e si offre di andare giù a fare le fotocopie. Le dico “ok, allora scendo con lei così poi esco”; la risposta è “no, non si può, bisogna che vengano compilati su”. Passano cinque o sei minuti (avere un libro sul furbofono aiuta molto in questi casi), l’insegnante consegna il pacco di fotocopie e se ne va, e l’impiegato mi dà le mie quattro copie (due bambini moltiplicato due nonni) senza naturalmente firmare nulla. Alla mia domanda “una volta compilati li devo riportare qui?” la sua risposta è stata “mannò, li lasci alla sua scuola, li porteranno loro” (probabilmente alla scuola mi diranno l’opposto, ma almeno posso arrivare con bimbi e nonni e far vedere la documentazione alle maestre)

Non abbiamo ancora cominciato e sono già distrutto.
(ah: alla fine hanno fatto quattro classi a 40 ore, sembra che siano riusciti a ottenere un’altra persona)

_Andiamo a giocare_ (libro)

[copertina] Eduard Estivill è il famigerato criptonazista del libro Fate la nanna, che divide i genitori come un tempo la gente si divideva tra Coppi e Bartali oppure tra Mazzola e Rivera. In questo caso (Eduard Estivill e Yolanda Sáenz de Tejada, Andiamo a giocare – Imparare le buone abitudini divertendosi [¡A jugar!], Feltrinelli “Varia” 2010 [2008], pag. 239, € 16, ISBN 978-88-07-49098-9, trad. Antonella Donazzar) è però affiancato da Yolanda Sáenz de Tejada, che ci tiene a far sapere che oltre a una quantità di altre cose è anche una mamma. Così ad occhio il libro sembra stato più che altro scritto da lei e giusto rivisto da Estivill, considerando l’approccio un po’ diverso. L’idea di base è che per insegnare ai propri figli a comportarsi bene – in senso ampio, tra i vari capitoli si parla anche di come far loro mangiare la verdura… – il mezzo migliore è quello di presentare le cose per mezzo di un gioco; ne sono così proposti quasi cinquanta. Il guaio è che nella mia esperienza personale molti di essi non funzionano affatto: ciò che può essere utile, se proprio volete, è riuscire ad adottare il modo migliore per interagire con i propri figli e qui spunta per l’appunto Estivill. Nulla vieta di provare, e in quel caso di mettercela tutta visto che i bambini si accorgono subito quando dall’altra parte non si ha davvero voglia di fare: ma probabilmente è meglio leggere i risultati previsti per i giochi e inventarsi qualcosa in proprio. Ottima la traduzione di Antonella Donazzar.

Non è il ridare

Matteo Renzi spergiura: «Ridaremo ai sindaci quanto togliamo abolendo Imu e Tasi». Anche se fosse davvero così – e non ci fossero poi tagli ai trasferimenti per qualsivoglia altra ragione – i conti non tornerebbero lo stesso. Si può decidere che gli enti locali non abbiano risorse proprie, e sia lo Stato a gestire tutti i trasferimenti: è una scelta politica che può avere vantaggi e svantaggi. Ma almeno fino a che abbiamo una decentralizzazione, è non solo giusto ma anche doveroso che siano gli enti locali a decidere quanti soldi chiedere ai loro residenti, e non aspettare che la partita di giro faccia piovere i soldi dall’alto.
Certo, dire “tolgo le tasse sulla casa” è sempre stata una mossa che porta voti, Berlusconi lo sa benissimo: ma a parità di gettito sarebbe molto meglio rimodulare le aliquote Irpef per fare arrivare i soldi a tutti.