Se prendete la radice cubica di 512, ottenete 8. Se fate la somma delle cifre di 512, ottenete 8. È un caso? Noi di .mau.ager crediamo di no. D’altra parte, possiamo vedere se la cosa è così comune, cercando tutti i numeri con questa caratteristica. Per esempio 0 e 1 hanno come radice cubica sé stessi, e quindi la somma della singola cifra è uguale alla loro radice cubica: ma magari ci sono altri esempi. Come trovarli?
Per prima cosa, notiamo che il numero non può essere troppo grande. Se avesse sette cifre la loro somma sarebbe al più 7×9 = 63, ma 63³ è un numero di sei cifre e quindi non possono esserci numeri di sette (o più) cifre con quella proprietà. Quindi il numero può avere al più sei cifre, ed essere al massimo 6×9 = 54. Basta pertanto testare tutti i numeri da 0 a 54 e vedere quali hanno la proprietà richiesta. Oltre a 0, 1 e 512 abbiamo 4913 = 17³, 5832 = 18³, 17576 = 26³ e 19683 = 27³. Questi sette sono gli unici numeri di Dudeney, dal nome del matematico ricreativo che – almeno in era moderna – è stato il primo a trovarli tutti.
Notate che a parte 8 i numeri sono a coppie di consecutivi: 0-1, 17-18, 26-27. E questo sarà un caso? Beh, mi sa di sì…
In questi mesi si può visitare al Museo del Novecento (oltre a una parte gratuita a Palazzo Morando più legata alla moda) la
La scorsa settimana Elon Musk
Andrea Monti è un amico della generazione di internettari della prima ora, quando a usare la rete eravamo pochissimi – non c’erano ancora i grandi provider – e pensavamo che sazrebbe stata una cosa bellissima e utilissima. Sono passati trent’anni e le speranze di allora sono tristemente morte: ma forse non potevamo aspettarci che un’isola elitaria come quella di un tempo sarebbe sopravvissuta all’arrivo in massa di chi voleva fare i soldi, le Big Tech.

A giudicare dalle recensioni in rete, il fatto che con questo libro Joshua Cohen ha vinto il Pulitzer 2022 ha fatto rosicare tanta gente. Non c’è dubbio, è un testo politicamente molto pesante e decisamente schierato. Sì, come spiegato nel capitolo finale il libro è liberamente (molto liberamente, mi sa…) ispirato a un aneddoto che Harold Bloom raccontò a Cohen poco tempo prima di morire. Sì, la famiglia Netanyahu non ci fa certo una bella figura: non tanto Bibi quanto padre madre e fratello maggiore, l’eroe ucciso a Entebbe. Ma la storia reggerebbe anche se la famiglia in questione si fosse chiamata chessò Friedman. Come sempre, Cohen mette tanta, tanta roba nel suo libro, dalle scenette di una famiglia ebrea anche se non molto osservante ai discorsi politici sulla diaspora e la nascita dello stato di Israele visti dall’estrema destra, dalla vita nel 1950 in una cittadina universitaria di Upstate New York ai primi segni del consumismo che sarebbe arrivato. Rispetto alle sue opere precedenti però il testo scorre molto più omogeneo, e il lettore non fa fatica a passare dalle risate amare sul direttore di dipartimento ai tentativi della figlia Judy di convincere i genitori a farle rifare il naso. Io mi sono divertito a leggerlo, nella come al solito ottima traduzione di Claudia Durastant, e ho imparato un po’ di cose nuove, che in un’opera di narrativa non è certo scontato.
Sto (con calma) leggendo Mondi paralleli di Michio Kaku. Lo so, è uscito quasi vent’anni fa, ma tanto io di cosmologia so così poco che mi sta già bene partire da lì. Arrivato alla fine del secondo capitolo mi sono trovato un esempio mal scritto: sono andato a verificare nella versione originale, ed era già così. (Occhei, io sono della scuola “correggi silenziosamente in traduzione”, ma temo di essere in minoranza).