Cominciamo con un punto fermo: Baricco scrive maledettamente bene. Il problema maggiore del libro (Alessandro Baricco, The game, Einaudi 2018, pag. 325, € 9,99 (cartaceo: € 18), ISBN 9788858429778, link Amazon) è probabilmente proprio quello. Tutto fila perfettamente: solo che nei primi capitoli io ho continuato a incazzarmi per le cose sbagliate che trovavo, per incazzarmi ancora di più quando nel seguito rigirava la frittata dicendo l’opposto, e peggio ancora quando verso la fine del testo ha scritto nemmeno troppo implicitamente che i primi due capitoli, “quasi preistorici”, è meglio non rileggerli. Detto in altri termini: il libro è sicuramente stato costruito attentamente, non è certo un parto lineare. Riconosco però a Baricco la presenza di una grande quantità di spunti e intuizioni, probabilmente dovuti al suo essere un outsider rispetto a chi ha costruito il Game (ma perché la parola inglese? Il punto focale della sua analisi, la presentazione del primo iPhone fatta da Steve Jobs, è un classico esempio di Play, non di Game. In italiano avevamo il vantaggio di poter usare una singola parola, così invece ha incrociato i flussi).
Quello che mi ha trovato assolutamente contrario, e che mi ha fatto abbassare il giudizio, è l’ultima parte. Capisco che Baricco viva di storytelling, e quindi debba dargli importanza. Ma riuscire a ridefinire la post-verità come “verità-veloce”, o più esattamente “una verità che per salire alla superficie del mondo – cioè per diventare comprensibile ai più e per essere rilevata dall’attenzione della gente – si ridisegna in modo aerodinamico perdendo per strada esattezza e precisione e guadagnando però in sintesi e velocità”, è davvero troppo. In definitiva, un libro che consiglierei solo a chi sa di cosa si parla ma vuole essere certo di non aver perso nulla.
Ultimo aggiornamento: 2019-10-13 22:12