Archivi annuali: 2019

_Liberi di crederci_ (libro)

Walter Quattrociocchi è l’esperto di “post-verità” nei social network, avendo cominciato a usare analisi quantitative sulle dinamiche che avvengono su Facebook tra gruppi di persone che si fidano delle teorie scientifiche e gruppi che invece pensano che la verità ci sia nascosta. In questo libro (Walter Quattrociocchi e Antonella Vicini, Liberi di crederci : Informazione, Internet e post-verità, Codice 2018, pag. 142, € 15, ISBN 9788875787400, link Amazon) Quattrociocchi viene affiancato da Antonella Vicini, la cui collaborazione ha probabilmente migliorato la leggibilità del testo rispetto al suo libro precedente. Naturalmente c’è l’altra faccia della medaglia: almeno per i miei gusti il libro tende sin troppo al discorsivo, e le pagine contenenti dati veri e propri sono molto poche. Immagino che la scelta sia voluta: i duri-e-puri come me sono una sparuta minoranza, e per la maggior parte delle persone i crudi numeri non danno alcuna informazione, mentre un discorso a più ampio spettro può servire a dare finalmente un’idea di quali siano i temi in gioco.

Felice Gimondi

Io ricordo di aver seguito le gare di ciclismo da sempre. Occhei, non mi ricordo di Balmamion, ma nomi come Motta, Adorni, Bitossi, Dancelli per me erano quelli di amici un po’ particolari. E poi c’era lui: Gimondi. Il gigante che ebbe la sventura di trovarsi un gigante più grande di lui, Merckx (Eddy, non certo il figlio Axel), e che non si perdeva d’animo. Occhei, non contiamo il Giro 1969, con il rivale fatto fuori per una strana storia di doping (diciamo che a quei tempi i controlli erano ad orologeria) ma mi ricordo benissimo la vittoria al campionato del mondo 1973 che NON vidi perché non volevo vederlo perdere, e il Giro 1976, funestato dalle cadute: una di esse lo coinvolse mentre era maglia rosa, e come titolo il giorno dopo La Stampa “Gimondi cade, il Giro lo aspetta”.

Nulla di strano. Anche negli anni successivi la cifra di Gimondi era la gentilezza e pacatezza. Non è una dote molto comune, forse gli si può affiancare Nibali: ma ho sempre avuto l’impressione che a parte la sua indubbia capacità come ciclista lui fosse apprezzato anche dagli avversari. Credo ci mancherà.

Ultimo aggiornamento: 2019-08-18 07:49

la politica di Ferragosto

Ieri i giornali, cartacei e online, erano pieni di notizie di politica, cosa mai vista in passato. Quel che è peggio, i socialcosi erano pieni di lettere che i vari leader si sono scritti l’un L’altro. Io penso a quei poveri ghostwriter che hanno dovuto fare gli straordinari, soprattutto quello di Di Maio che deve anche stare attento a inserire il giusto numero di frasi con sintassi traballante. Non so, forse erano meglio i resoconti delle spiagge affollate…

_Che cosa vogliono gli algoritmi?_ (ebook)

Già il titolo originale del libro, che è poi stato tradotto letteralmente in italiano (Ed Finn, Che cosa vogliono gli algoritmi? : L’immaginazione nell’era dei computer [What algorithms want: imagination in the age of computing], Einaudi 2018 [2017], pag. 256, € 9.99 (cartaceo: €20), ISBN 9788858428610, trad. Daniele A. Gewurz, link Amazon), è in realtà fuorviante. Finn è in effetti interessato a quella che nell’Epilogo del libro chiama “Scienze umane sperimentali”: nelle parole dell’autore, «una ricerca umanistica pubblica che si impegna direttamente con la cultura algoritmica. Abbattendo il muro illusorio tra critica e creatività, tra osservazione e azione, tra lettura e scrittura». Ha ragione quando dice che il problema – se preferite, l’opportunità – non sono tanto gli algoritmi quanto tutto quello che ci sta attorno, e ha anche ragione nel dire che già da un pezzo ci stiamo adattando noi agli algoritmi e non viceversa, come ben dovrebbe sapere chi usa un assistente vocale e scopre che deve parlare in un modo ben specifico. Però il libro mi pare troppo intento a spiegare quanto gli algoritmi siano brutti e cattivi, anziché entrare nel merito non dico del “come” ma almeno del “perché”. Insomma, non è che mi abbia detto chissà cosa.
Una nota molto personale: nell’introduzione trovo una nota del traduttore che spiega perché ha scelto di tradurre “computation” con “elaborazione”. Che bravo traduttore, mi dico, è proprio la scelta che avrei fatto io. Vado a vedere chi è il traduttore, e scopro che è il mio amico Daniele Gewurz. Tutto torna :-)

_Prima lezione sul linguaggio_ (libro)

Che cos’è il linguaggio? Domanda intelligente: detto in altri termini, non si ha idea di quale sia la risposta. Tullio De Mauro ci tentò nel 2002 con questo libretto (Tullio De Mauro, Prima lezione sul linguaggio, Laterza 2002 , pag. 130, € 12, ISBN 9788842066712, link Amazon), che io ho letto nella versione edita dal Corriere della Sera. Inutile dire che nessuno può (poteva) tacciare De Mauro di scarsa conoscenza del tema: ho però trovato la prima parte troppo generalista e quindi poco interessante. Molto meglio la seconda parte, sempre di tipo generale ma con un maggiore uso di esempi pratici, e soprattutto con un utile confronto con quello che succede in altri sistemi informativi, come i versi degli animali, i linguaggi non verbali come la lingua (“le lingue”) dei segni e la matematica, dove tra l’altro si fa notare la differenza tra quest’ultima, che è un linguaggio non-creativo mentre il linguaggio è “non non-creativo”; uno scioglilingua che ha un suo bel senso. (ah: a pagina 90 c’è un esempio matematico con un errore…) In pratica, dunque, un testo per i curiosi.

“accuriamo”

Un paio di mesi fa avevo comprato all’Ikea dei portaposate, che però sono troppo grandi per le cucine non Ikea. Dovendo tornarci, mercoledì scorso ho scritto al servizio clienti se era possibile renderli anche senza scontrino, considerando che avevo usato la carta Ikea Family. Mi arriva la risposta “la contatteremo entro 24 ore lavorative” (che non so cosa siano).
Non avendo avuto altri contatti, sabato sono andato e ho sbrigato la cosa direttamente in negozio. Stamattina sono stato chiamato al telefono dall signorina Ikea, alla quale spiego di avere fatto già tutto. La mail di conferma è stata

Accuriamo da lei di aver risolto il problema direttamente nel nostro negozio.

Che vuol dire “accariamo”?

Ultimo aggiornamento: 2019-08-13 12:36

Guai a postare link!

L’altro giorno su Repubblica (rectius, Robinson) c’è stato il ricorrente articolo che mette in guardia l’ignaro lettore dal pericolo di postare (caterve di) foto dei propri figli. Per la cronaca, l’autore dell’articolo, Vittorio Lingiardi, è professore ordinario di psicologia dinamica. Chi mi conosce sa che io non posto praticamente mai le foto dei miei gemelli, e quando le faccio li riprendo di schiena e soprattutto in situazioni di cui in futuro non avranno nulla da preoccuparsi: quando saranno maggiorenni, poi saranno affari loro come gestirsi. Insomma, non ho nulla da dire sulla tesi dell’articolo: ma sul contenuto sì.

Troviamo frasi come queste: «Come documenta il New York Times, cresce il numero dei bambini e degli adolescenti che, risentiti per la violazione della loro privacy, hanno deciso di affrontare i genitori.» «Intervistata sul Guardian, una mamma dice che pubblica le foto dei suoi bambini per “dimostrare di essere una brava mamma”.» «Ho letto che, secondo uno studio condotto nel 2015 dall’associazione inglese Parent Zone, un bambino attorno ai 5 anni è già protagonista di almeno mille foto postate dai genitori.» «La Francia è corsa ai ripari, con una legge sulla privacy che consente ai figli, una volta adulti, di denunciare i genitori per avere condiviso immagini in rete senza il loro permesso.» Cos’hanno in comune queste frasi? Semplice: non hanno nessun link.

Non ho dubbi che Lingiardi quei siti li abbia letti o almeno scorsi. Ho anche presente che Robinson esce (anche) su carta, dove si fa più fatica a mettere i link. Ma continuo a trovare inqualificabile che nella versione in rete questi link non ci siano. Sarà magari vero che il 90% dei lettori tanto non saprebbe leggere articoli in una lingua diversa dall’italiano, e che non è difficile per i cognoscenti trovare i link (uno, tre, quattro; mi manca l’articolo del Guardian). Ma questo non significa nulla. Scopo di un giornale dovrebbe anche essere quello di fare da punto di partenza per successivi approfondimenti: da noi questo è impossibile.