Afferma l’Espresso (non state a guardare il titolo, ma leggete l’articolo con attenzione) che se uno firma una petizione su change.org che fa parte di una “campagna sponsorizzata” e lascia la spunta sulla casella “segui questo argomento” dà alla Change.org Inc. il diritto di vendere il tuo indirizzo email al promotore della campagna, che pagherà da 85 centesimi a 1 euro e mezzo per sapere chi sei. (Non so quante altre informazioni vengono date all’acquirente: tenete conto che ogni utente di change.org ha un suo profilo con non solo le petizioni che ha firmato ma anche dati presi da altre basi dati, tanto per dire quante informazioni su di voi possono avere).
Io non è che mi fidi più di tanto degli scoop dell’Espresso, ma effettivamente la pagina Sponsorizza sulla piattaforma ha delle frasi sibilline: «Entra in contatto con i tuoi nuovi sostenitori direttamente via email o telefono, creando campagne multicanale di raccolta fondi e di sensibilizzazione» e «Ricevi ogni giorno i nuovi sostenitori direttamente nei CMS compatibili. Così puoi raggiungerli velocemente.»
Nell’informativa sulla privacy abbiamo questo: «Utilizziamo i dati dell’utente per consentirgli di partecipare a eventi e promozioni simili e per gestire queste attività. Alcune di queste attività hanno regole supplementari, che potrebbero contenere ulteriori informazioni su come utilizziamo e divulghiamo le informazioni che riguardano l’utente, quindi invitiamo l’utente a leggere attentamente tali regole supplementari.» (e tra l’altro usano i pixel tag per fregare chi cancella i cookie, vi avviso).
Ma soprattutto trovato che «Solo a discrezione dell’utente e dietro suo specifico consenso, possiamo condividere informazioni sull’utente con i nostri inserzionisti, incluso il suo indirizzo e-mail, l’indirizzo postale e la petizione sottoscritta. Possiamo anche condividere il numero di telefono dell’utente, ma solo se vi acconsente distintamente. L’inserzionista può quindi utilizzare queste informazioni per comunicare con l’utente e inviare materiali promozionali che possono essere di suo interesse. Noi non controlliamo il contenuto o la frequenza delle comunicazioni che si possono ricevere dai nostri inserzionisti.». Ora, io ho appena fatto un rapido giro su change.org, piattaforma che non ho mai usato perché non credo nelle petizioni online, e non ho trovato petizioni esplicitamente sponsorizzate. Però in effetti non mi stupirei che questa petizione di Marco Travaglio (“Referendum costituzionale. Firma per le ragioni del No e per bloccare l’Italicum”), che nel famigerato riquadro spuntato “Segui questo movimento” ha come testo aggiuntivo “Resta aggiornato sul movimento più ampio, ‘Dalla parte della Costituzione e della Democrazia’”, sia sponsorizzata dal movimento in questione. E quello è l’unico punto in cui tu utente puoi dare un consenso specifico.
Per ultima curiosità, nei Termini di servzio (che stranamente per l’Italia sono aggiornati al 12 gennaio 2015, mentre la versione inglese è del 13 gennaio 2016) ho trovato questo: «Tuttavia, l’utente ci autorizza a condividere questi contenuti con chiunque, distribuirli su qualsiasi piattaforma e qualsiasi media, e apportare modifiche o correggere gli stessi se lo riteniamo opportuno (ad esempio a fini di chiarezza e di ottimizzazione).». Nulla da dire sul permesso che si prendono di condividere i contenuti. Ma change.org, senza chiedere il nostro permesso, può “ottimizzare” e “chiarire” quello che abbiamo scritto, e magari farlo diventare l’opposto di quello che intendevamo. Non mi stupirei che quella della possibilità di modifica fosse una clausola standard, ma non si sa mai.
Insomma, nulla di nuovo sotto il sole: se usi uno di questi servizi “gratuiti” chi ti dà il servizio ci guadagna eccome, il che di per sé non sarebbe nulla di male se non fosse che probabilmente chi paga sei tu. Vale la pena di farlo per dire “ho firmato anch’io”? Ognuno decida per sé.
Ultimo aggiornamento: 2016-07-18 15:04