Anisoradio

Martedì sera stavamo andando da Chiavari a Genova e avevo acceso la radio su Isoradio, senza nessuna vera necessità. Su alcune gallerie il segnale non arrivava, il che in effetti non è bello; ma la cosa più interessante è capitata all’interno di una lunga galleria tra Recco e Nervi. Appena entrato in galleria è cominciato il rumore bianco classico… tranne ogni tanto, quando per un attimo si sentivano i suoni. Cosa succedeva? Semplice: la galleria ha due canne, e ogni tanto ci sono dei passaggi che li uniscono. Quando si passava davanti a uno di questi passaggi, il segnale – evidentemente presente sull’altra canna – riusciva a farsi strada fino a noi.
L’unica cosa che mi manca è capire quest’anisotropia: perché dovrebbero far passare il segnale in direzione Livorno e non verso Genova?

astronomo, astrologo, che cambia?

[astrologo?] Licia mi segnala questo articolo di Repubblica, dove si può vedere come l’astronomo Marco Fulle sia stato promosso a furor di popolo alla professione di astrologo. Evidentemente la signora o signorina Parmeggiani sarà rimasta scioccata dal pensiero che uno invece che guardare le stelle si dedica ai vulcani… oppure immagina che il suffisso -logo indichi “uno che parla di”: insomma un divulgatore.
La cosa più divertente è che nell’occhiello la professione di Fulle è riportata correttamente: situazione paradossale, un po’ come l’uomo che morde il cane.

i numeri della RU486

L’uso della pillola abortiva RU486 è stato autorizzato anche in Italia. Non capisco chi se la sta prendendo perché il Vaticano ha annunciato la scomunica per chi la prescrive o la usa; è banalmente un’applicazione della scomunica per chi procura o effettua un aborto, insomma nulla di nuovo. (Le discussioni sul doppiopesismo delle gerarchie cattoliche per favore altrove: io mi limito a citare Mt 18,7)
Purtroppo non c’è nulla di nuovo nemmeno nell’uso distorto dei numeri che vengono tirati per la giacchetta per sostenere le proprie opinioni. Leggo che Eugenia Roccella ha affermato che dal 1988 a oggi ci sarebbero stati 29 decessi di donne a causa dell’assunzione del farmaco, cosa che di per sé non significa nulla, essendo un semplice valore assoluto senza parametri. Ma se da un nostro parlamentare non mi aspetto più di tanto, molto più preoccupante è la risposta di Silvio Viale, che non si limita ad affermare “Anche se questi 29 casi fossero reali, ma non lo sono, non costituirebbero un ostacolo per la registrazione di nessun altro farmaco.” (indiscutibile) ma prosegue con “Nel 2003 i centri antiveleno hanno segnalato 59 morti negli Usa per l’aspirina, e nessuno si sogna di toglierla dal commercio”. Ora, ancora più grave di usare numeri assoluti a capocchia è mescolare numeri a capocchia. Invece che fare l’unica cosa metodologicamente corretta, vale a dire confrontare la probabilità di morte per l’assunzione della RU486 con quella di morte per altre tecniche abortive, Viale ha messo insieme due numeri che non c’entrano nulla, considerando il consumo abnorme e senza regole di aspirina negli USA. È un po’ come se a uno che dice di aver perso cento euro si facesse notare che il deficit dello stato italiano è molto maggiore. In effetti non che mi fidi della conoscenza della matematica da parte dei medici, scarsa conoscenza che è tra l’altro pericolosissima.
Il commento migliore è stato comunque quello di Stark: «L’Udc contro la RU486: “Dal 1988 ha ucciso 29 persone”. Quasi quanto i casi di soffocamento da Big Babol.»

Special Announcement

Ieri mattina, a un’ora non troppo compatibile con la vita umana (almeno la mia) stavo aspettando a Chiavari il treno che mi avrebbe riportato a Milano. A un certo punto dagli altoparlanti avvisano che il treno che devo prendere è in ritardo di dieci minuti. Fin qui nulla di strano. Essendo poi la Liguria regione a vocazione turistica, ed essendo Trenitalia un’azienda attenta a queste cose, lo stesso messaggio viene detto in inglese; e anche qui nulla di così strano. La cosa strana è l’inizio di questo messaggio: Special announcement. Diciamocelo: che in Italia un treno sia in ritardo è tutto meno che “speciale”. Già si fa una pessima figura, ma almeno si potrebbe esordire con il sempreverde “Attention, please” o lanciarsi verso un “Take notice, please” che avrebbe il notevole vantaggio di non essere una presa per i fondelli dell’anglofono futuro passeggero: invece no. Segno di un incredibile ottimismo quando le nostre ferrovie hanno commissionato il sistema text-to-speech?

prima delle ferie, ricordatevi del Carnevale!

Venerdì 14 agosto, essendo che è il 14 del mese, ci sarà il Carnevale della Matematica, ospitato qui da me. Non importa se leggerete i contributi a settembre, la matematica non si rafferma; però importa che se state andando in ferie e in questi quindici giorni avete scritto qualcosa me ne diate notizia, al solito indirizzo dotmaudot chiocciola gmail · com.

La matematica del Superenalotto

Ve lo dico subito: non vi racconto come si fa a vincere al Superenalotto, ma non mi metto nemmeno a fare tutte le solite storie sui 622 milioni di schedine possibili, sul fatto che il modo migliore di vincere è non giocare, e che cento milioni di euro sono molto più di quanto possa ragionevolmente spendere qualcuno. Lo fanno già in tanti, e non mi sembra serva a qualcosa. Preferisco un approccio più pragmatico e non così distruttivo.
È chiaro che il Superenalotto, come tutti i giochi di azzardo, statisticamente fa guadagnare lo Stato e non certo i giocatori. Solo il 34.6% delle giocate viene redistribuito nel montepremi: quindi per ogni euro giocato in media mi dovrei aspettare di ritrovarmi meno di 35 centesimi. Per prima cosa, il conto è sbagliato; il jackpot continua a crescere con i soldi non vinti in precedenza, anche se comunque non ne vale la pena: giocare tutte le possibili combinazioni costerebbe 311 milioni di euro, giusto per dare un’idea. Ma quella della vincita media è però una statistica alla Trilussa; nient’altro che il numerino che esce fuori da una formula di Excel™ o del vostro foglio di calcolo preferito, e che nella vita reale può o meno essere importante.
Elwyn Berlekamp un giorno mise giù la cosa in questi termini: “Supponete di dover necessariamente lasciare l’isola dove vi trovate, ma non abbiate i soldi necessari per il volo: il biglietto costa 360 euro e voi ne avete solo 10. Se lì vicino c’è un casinò, la vostra migliore chance è andare e puntare i costri dieci euro su un numero secco. Tanto restare con dieci euro o al verde è solo lo stesso!” Detto in altro modo, un conto è il guadagno teorico atteso, ma all’atto pratico possono essere più importanti altre considerazioni. Insomma, se uno decide di andare dal tabaccaio a farsi le due schedine esattamente come potrebbe andare al bar a prendersi cappuccino e brioche non è certo un problema, sempre che sappia che quei soldi li ha probabilmente persi. Il vero problema è quando uno continua a giocare sempre più soldi per recuperare quelli persi nei concorsi precedenti; quello sì che è pericoloso, e spero nessuno dei miei lettori sia finito in questo vortice. Temo che spesso sia così: tra l’altro, rispetto all’ultima megavincita di fine 2008 si può notare come con un concorso in meno ci sia un montepremi maggiore di quasi il 10 percento. Semplicemente un sottoprodotto della crisi?
Veniamo al montepremi abnorme. A parte che dopo avere scoperto che a maggio in Spagna hanno vinto 126 milioni di euro ho vieppiù capito che ormai i cugini poveri siamo noi, tutti i commentatori che tuonano contro le grandi vincite partono da un assunto: che la gente giochi singolarmente la schedina. Sarà vero? Io non lo so, ma mi sembra abbastanza comune vedere ad esempio venti persone che si coalizzino per giocare venti colonne. Il risultato pratico è moltiplicare per venti la probabilità – infima, occhei – di vittoria, dividendo per venti l’eventuale vincita e facendo soffrire molto meno i vincenti della cosiddetta “sindrome della fortuna”.
Insomma, la matematica è sempre una cosa seria: non basta tirare fuori una formuletta perché le cose funzionino sempre perfettamente! (Per i curiosi: no, io non ho mai giocato al Superenalotto, e credo di aver giocato una volta al Totocalcio con mia nonna quando avevo dodici anni; come vedete, posso pontificare da perfetto ignorante!)

2012 – fine del mondo (informatico)

Non c’entra nulla il calendario Maya, Giacobbo o le tempeste solari. Parlavo un paio di settimane fa con Loris e altri informatici, e mi dicevano che il webcast di Radio105 – non mi ricordo quale trasmissione, qualcosa tipo “viva la foca” – aveva raggiunto picchi di 6 gigabit al secondo di banda richiesta, e che di questo passo tra tre anni si sarebbe saturata Internet.
Fin qua nulla di strano, ai tempi di Usenet si sarebbe detto “film at eleven”; quello che però è a mio parere demenziale è il motivo per cui le cose stanno andando così. Semplificando all’estremo, ci sono due modi diversi di mandare dati a molte persone contemporaneamente. Il primo è usare un indirizzo speciale che può essere condiviso da più persone, e inviare i dati alla “come viene viene”, senza preoccuparsi di verificare che siano arrivati (multicast UDP). Il secondo prepara un canale per ogni persona, e verifica che i bit arrivino tutti regolarmente all’utente finale (flash embedded, in TCP). È ovvio a tutti che ennuplicare una trasmissione che stanno vedendo tutti è solo una perdita di banda; è meno ovvio che la verifica dei dati non serva, ma se ci pensate un attimo non state scaricandovi un file ma guardando un programma dal vivo, e quello che si è perso non lo si può certo recuperare.
Ma allora perché non si usa il primo sistema? È forse troppo recente? Macché, funzionava già trent’anni fa. Peccato però che i vari firewall aziendali sono configurati per eliminare i pacchetti UDP, e quindi chi trasmette è costretto a fare un’operazione assolutamente illogica e costosa: il tutto per mostrare le qualità intrinseche del mercato, che sceglie automaticamente le migliori soluzioni!