falsi amici

ho appena scoperto (qui) che “to castigate” non significa necessariamente “castigare”, ma anche “criticare pesantemente”. Poi dicono che i giornali non servono.
(E ora che ci penso, “castigat ridendo mores” ha proprio quel significato. Insomma gli inglesi hanno più ragione di noi)

La parola più lunga della lingua italiana

Se si chiede in giro “qual è la parola più lunga della lingua italiana”, quasi tutti risponderanno “precipitevolissimevolmente”. Qualcuno magari tirerebbe fuori il poppinsiano “supercalifragilistichespiralidoso”, che però è nato esplicitamente come parola non esistente (e tra l’altro, a differenza di quello che succede in inglese, in italiano non ha proprio nessun significato). Qualcun altro magari si lamenterebbe che precipitevolissimevolmente non è una parola italiana perché non segue le regole di produzione linguistiche: ma in fin dei conti Wikipedia ci fa sapere che era già stata usata nel 1677 (!) da Francesco Moneti nella sua Cortona Convertita (canto III, LXV), e che quindi ha una dignità letteraria. Wikipedia afferma anche che la “vera” parola più lunga è psiconeuroendocrinoimmunologia, riportata anche dall’enciclopedia Treccani: ma sono parole tecniche che sono subito abbreviate in una sigla, in questo caso PNEI.
Ho così provato a fare un esperimento pratico: prendere la copia del mio vecchio De Mauro, che ha i vantaggi (a) di essere in formato elettronico e (b) di avere la possibilità di ricerche sulle forme flesse, e cercare la parola più lunga “teorica” su quel dizionario. Sono così arrivato a irriflessivamentissimamente, indicato come superlativo di irriflessivamente: ventisette lettere, anche se non capisco bene come si possa fare l’avverbio di un superlativo di un avverbio. Qualcuno ha altri dizionari a disposizione per trovare altre parole “tetraploidi”?

Opere derivate

«La nostra legge sul diritto d’autore non permette di fare una trascrizione di un film protetto da copyright senza il permesso del titolare, e sicuramente non permette di renderla pubblica.»
No, non è il presidente della SIAE ad averlo detto, ma Paul Pinter, coordinatore nazionale della divisione che si occupa di reati contro la proprietà intellettuale nella polizia svedese. Come potete leggere sulla BBC, la polizia del paese scandinavo ha chiuso il sito undertexter.se, dove per l’appunto si preparavano e ci si scambiavano i sottotitoli (i “subs”) di film e telefilm, che poi si potevano aggiungere alle immagini originali per capire che diavolo dicevano i protagonisti.
C’è qualcosa di profondamente errato in tutto questo. I sottotitoli di un film, senza il film stesso, non servono a nulla. Se qualcuno si prende la briga di trascrivere un film e sottotitolarlo, significa che nessuno dei famigerati “titolari di copyright” ha pensato di poterci fare dei soldi su fornendoli lui questi benedetti sottotitoli, visto che prepararli è una faticaccia. Epperò non si ha il permesso di farlo :-(

Le grandi notizie

Ho letto (sul Post, non nella versione originale su Libero) questo articolo di Filippo Facci. Nulla di strano che la redazione dia dei caldi suggerimenti sui temi da trattare. Stiamo comunque parlando di editoriali, cioè di fuffa: se preferite, di come chi scrive decide di parlare a proposito di un tema. Non mi stupisco nemmeno degli argomenti suggeriti dalla redazione: ogni quotidiano ha la sua linea editoriale, e quella di Libero è molto nazionalpopolare. Diciamo che sono molto felice di non sapere assolutamente a cosa ci si riferisca con «La Melandri nel container» e «Brunetta contro Busi per le mutande della Ravetto», e anzi non sapere neppure chi sia la signora o signorina Ravetto. E no, non venitemelo a spiegare, grazie.
Però mi resta il dubbio, tra le notizie “commentabili” proposte dal Facci, dell’utilità di parlare della «benzina mai così cara» e di «un orso ucciso a fucilate in Molise»; una notizia ricorrente tutti gli anni come le tasse, e una notizia che ci fa al più ricordare che le montagne del centro-sud si stanno ripopolando di fauna. Davvero, però, parlare di Pd e gnocca o parlare del prezzo della benzina per me pari è. Faccio insomma mio a più alto livello il dubbio di Facci: «Bisogna privilegiare ciò che il pubblico deve leggere o ciò che il pubblico vuole leggere? Quanta informazione e quanto infotainment?». Ecco. Se ci fosse una vera separazione, con due sottositi per un giornale online e la colonna infame e i boxini morbosi che si trovano tutti su un sottosito (la home page principale può restare così com’è, ma i due sottositi avrebbero ciascuno la propria home), io sarei molto contento. Almeno a seconda del momento potrei scegliere l’uno o l’altro sottosito. Voi invece?

autostrade, benzina e tabelloni

L’Italia è una nazione che ha sempre idee molto creative per gestire le emergenze. C’è stato il periodo dei sassi dai cavalcavia: risposta? numerare i ponti sulle autostrade per poter dire da dove sei stato colpito. (Nota per chi odia la matematica: negli anni si è magari costruito qualche nuovo ponte, e non si è pensato nulla di meglio che dargli il numero “42bis” come se fosse una casa infilata tra altre due. Ma i “numeri dei ponti” sono solamente indicatori, come le linee dei bus, e non c’è nessuna necessità pratica di mantenerli in ordine: per quello c’è il chilometraggio…)
L’esempio che mi interessa in questo caso è però un altro. La benzina costa troppo? Beh, la risposta è semplice:

1. Al fine di favorire la concorrenza e la trasparenza dei prezzi nel settore della distribuzione dei carburanti, di garantire ai consumatori un adeguato livello di conoscenza sugli effettivi costi del servizio, nonche’ di facilitare il confronto tra le offerte presenti sul mercato, il gestore della rete stradale di interesse nazionale e autostradale deve utilizzare i dispositivi di informazione di pubblica utilita’ esistenti lungo la rete e le convenzioni con emittenti radiofoniche, nonche’ gli strumenti di informazione di cui al comma 3 per informare gli utenti, anche in forma comparata, dei prezzi di vendita dei carburanti praticati negli impianti di distribuzione dei carburanti presenti lungo le singole tratte della rete autostradale e delle strade statali extraurbane principali, con conseguente onere informativo dei gestori degli impianti ai concessionari circa i prezzi praticati. La violazione di tale obbligo comporta l’applicazione delle sanzioni previste dalla disciplina del commercio per la mancata esposizione dei prezzi.

Non l’avete riconosciuto? è l’articolo 2, comma 1, della Lenzuolata Bersani del 2007.
Il comma 3 ivi citato specifica che il ministero dei Trasporti preparerà una proposta, senza oneri per lo Stato, per disciplinare «l’installazione di strumenti di informazione di pubblica utilità»: i famigerati cartelloni che dovrebbero indicare qual è il prezzo della benzina e del gasolio nei distributori che si trovano in autostrada. Il tutto serve a qualcosa? probabilmente no. Ma sicuramente non serve se i cartelloni scrivono N.P., come ho visto fare sia la settimana scorsa che questo weekend sulla Milano-Venezia (sull’Autobrennero non mi pare nemmeno di averli visti, i cartelloni, ma magari ero distratto). E a quanto pare la cosa non è di oggi, visto che ho trovato questa segnalazione di Altroconsumo dello scorso dicembre.
Qualcuno mi sa spiegare perché dobbiamo sorbirci quegli inutili cartelloni?

Free versus Open

Oblomov ha scritto una postessa (ci potrà ben essere un equivalente di “articolessa”, no?) sulle differenze tra Google Maps e OpenStreetMap. Considerando che il commento di molti, soprattutto vedendo che il post è in inglese, sarà “tl;dr” (cioè “too long; don’t read”) spero di fare cosa gradita segnalando un paio di punti che in genere non mi pare siano molto trattati. Insomma, diciamo che il concetto di “free as a beer / free as in speech” forse è chiaro, ma su altre cose non ci si sta a pensare molto.
Innanzitutto, c’è il concetto che in questi ultimi mesi ha preso l’hashtag #ovviamentegratis – il punto che cioè Google sfrutta le nostre informazioni per aggiungere per esempio a Maps foto e recensioni di posti, e naturalmente non ci paga per questo. Cosa che di per sé non sarebbe nemmeno così preoccupante, se non fosse che nessuno ci garantisce che Google continuerà a fornirci il servizio: lasciando perdere Google Reader, anche nel caso di Maps Google un paio d’anni fa ha tolto il servizio di geolocalizzazione che sfruttava i router wifi, lasciandolo solo in una versione molto nascosta da usare per Android. Quindi è molto meglio se possibile contribuire a un progetto open, che sicuramente non sparirà.
Il secondo concetto importante è che perché un “crowdsourcing” (cioè l’informazione fornita dal basso) funzioni, a parte tutti i guai legati alla verifica dei dati, occorrono altre due cose: una massa critica e un’interfaccia semplice per inserire dati. La massa critica serve perché se i dati presenti sono pochi, allora solo i più sfegatati avranno voglia di contribuire, mentre se ce ne sono tanti c’è più gente disposta ad aggiungere il proprio piccolo contributo alla cattedrale (no, non “al bazar”: Eric Raymond scelse la metafora sbagliata). L’interfaccia serve ovviamente per semplificare la vita alla gente. Non per nulla Wikipedia ha una massa critica e sta disperatamente cercando di avere un’interfaccia semplice (Visual Editor e Lua magari non vi dicono nulla, ma sono i tentativi attuali), e gli altri progetti Wikimedia soffrono perché mancano anche della massa critica.
Il terzo (e quarto) punto è che per fare servizi interessanti occorre riuscire a correlare tanti dati, e di tutti i tipi. E molti dati interessanti non sono facilmente recuperabili. Oblomov fa l’esempio degli orari realtime dei mezzi pubblici: questo tipo di dati esiste, ma non è aperto, e ovviamente non può essere ricreato dal basso. Sarebbe però bello avere un’accesso codificato a tali dati, per poterli appunto sfruttare per altri sistemi. Sarebbe un bel tema per l’agenda digitale, no? Peccato che non si vedano sponsor politici, che sono tutti a cercare sponsor paganti :-(
Per tutto il resto vi lascio a Oblomov :-)

Quizzino della domenica: Non ci si incontra!

L’altro giorno stavo camminando su una stradina di campagna completamente diritta. Davanti a me, a 200 metri di distanza, c’era un mio amico. A un certo punto gli devono essere fischiate le orecchie, perché si è girato, mi ha visto e ha iniziato a camminare verso di me. Abbiamo camminato sulla stradina ciascuno per cento metri, alla stessa velocità, continuando a guardarci in faccia; alla fine però eravamo ancora a 200 metri di distanza. Come è possibile?
(un aiutino lo trovate sul mio sito, alla pagina http://xmau.com/quizzini/p109.html; la risposta verrà postata lì il prossimo mercoledì. Problema tratto da Henry Dudeney, 536 Puzzles and Curious Problems (n. 96).)

_Dai giochi agli algoritmi_ (libro)

[copertina] L’informatica è sempre difficile da raccontare, probabilmente perché è comunque una scienza giovane e presuppone di avere un calcolatore vicino a te… non tanto per fare i conti quanto per imparare a farglieli fare. E in effetti la pecca maggiore di questo libro (Lorenzo Repetto, Dai giochi agli algoritmi, Kangourou Italia 2012, pag. 316, € 20, ISBN 9788889249291) è che comunque non lo si può leggere senza fare le prove pratiche: da questo punto di vista sarebbe stato carino avere il codice direttamente scaricabile.
Dal punto di vista di uno che come me si è laureato in informatica più di vent’anni fa si è trattato di un simpatico ripasso delle nozioni teoriche che avevo studiato ai tempi, e che ovviamente non avevo più rivisto da allora: per chi non fosse addentro, l’informatica e la programmazione non sono affatto la stessa cosa. Non è certo un libro di testo, anche se il sottotitolo recita “Un’introduzione non convenzionale all’informatica”; la mia sensazione è stata almeno che più che di un’introduzione si parla di una panoramica. Però Repetto scrive in modo piacevole, il che male non fa; inoltre il libro raccoglie più argomenti, dalla decidibilità alla complessità computazionale, dall’analisi dei giochi agli automi cellulari, che spesso è difficile trovare in giro. Direi insomma che è un buon testo di riferimento per raccogliere informazioni e considerazioni sul tema dell’informatica.
p.s.: a http://www.kangourou.it/catweb/addendum.pdf si può scaricare l’indice dei nomi e l’errata.