_Numbers: A Very Short Introduction_ (libro)

Avevo già preso il volume “Matematica” della collana Very Short Introduction. A che serve allora un altro volume sui numeri? Beh, come dico sempre la matematica tende a fare a meno dei numeri. In questo libretto (Peter M. Higgins, Numbers: A Very Short Introduction, Oxford University Press 2011, pag. 152, Lst 8.99, ISBN 9780199584055, link Amazon) si parla invece di numeri veri e propri, di tutti i tipi. A me non hanno detto molto i capitoli iniziali con i numeri figurati e l’approccio usato per definire il concetto di numero; devo però aggiungere che andando avanti nella lettura – non che ci voglia molto, vista la struttura della collana – ho trovato che la trattazione diventava più interessante. Segnalo in particolare il capitolo che mette insieme i numeri complessi e la trigonometria, dove Higgins – con un gioco di prestigio… – mostra come due diverse notazioni come le coordinate cartesiane e polari permettono di ricavare con facilità una serie di risultati a prima vista complicati da dimostrare. Probabilmente inutile per chi sa già di matematica, ma interessante per i curiosi che vogliano avere un’idea di come i matematici pensino ai numeri.

trenta tonnellate per due centimetri e mezzo quadrati

Sto leggendo il primo volume dell’antologia di racconti di Arthur Clarke, pubblicato in Italia da Urania. In “I fuochi dentro” trovo scritto a un certo punto “la pressione ora doveva essere di almeno trenta tonnellate per ogni due centimetri e mezzo quadrati”.

Che diavolo vuol dire? Evidentemente l’originale avrà avuto “30 tons per square inch” ed Enzo Verrengia ha deciso di tradurre parola per parola. Peccato che in italiano la cosa non abbia nessun senso, anche se formalmente corretta. Io avrei banalmente arrotondato i “due centimetri e mezzo” quadrati (cioè 6,25 cm², nel caso non ve ne foste ricordati) a sei, e quindi scritto “almeno cinque tonnellate per centimetro quadro”. Non che a me lettore questo numero dica qualcosa in più, e ammetto di non avere provato a fare i conti – ma mi fido di Clarke; ma almeno sembra italiano corretto…

(Ho controllato: Verrengia è del 1955, insomma non è così anziano…)

_Liberi di crederci_ (libro)

Walter Quattrociocchi è l’esperto di “post-verità” nei social network, avendo cominciato a usare analisi quantitative sulle dinamiche che avvengono su Facebook tra gruppi di persone che si fidano delle teorie scientifiche e gruppi che invece pensano che la verità ci sia nascosta. In questo libro (Walter Quattrociocchi e Antonella Vicini, Liberi di crederci : Informazione, Internet e post-verità, Codice 2018, pag. 142, € 15, ISBN 9788875787400, link Amazon) Quattrociocchi viene affiancato da Antonella Vicini, la cui collaborazione ha probabilmente migliorato la leggibilità del testo rispetto al suo libro precedente. Naturalmente c’è l’altra faccia della medaglia: almeno per i miei gusti il libro tende sin troppo al discorsivo, e le pagine contenenti dati veri e propri sono molto poche. Immagino che la scelta sia voluta: i duri-e-puri come me sono una sparuta minoranza, e per la maggior parte delle persone i crudi numeri non danno alcuna informazione, mentre un discorso a più ampio spettro può servire a dare finalmente un’idea di quali siano i temi in gioco.

Felice Gimondi

Io ricordo di aver seguito le gare di ciclismo da sempre. Occhei, non mi ricordo di Balmamion, ma nomi come Motta, Adorni, Bitossi, Dancelli per me erano quelli di amici un po’ particolari. E poi c’era lui: Gimondi. Il gigante che ebbe la sventura di trovarsi un gigante più grande di lui, Merckx (Eddy, non certo il figlio Axel), e che non si perdeva d’animo. Occhei, non contiamo il Giro 1969, con il rivale fatto fuori per una strana storia di doping (diciamo che a quei tempi i controlli erano ad orologeria) ma mi ricordo benissimo la vittoria al campionato del mondo 1973 che NON vidi perché non volevo vederlo perdere, e il Giro 1976, funestato dalle cadute: una di esse lo coinvolse mentre era maglia rosa, e come titolo il giorno dopo La Stampa “Gimondi cade, il Giro lo aspetta”.

Nulla di strano. Anche negli anni successivi la cifra di Gimondi era la gentilezza e pacatezza. Non è una dote molto comune, forse gli si può affiancare Nibali: ma ho sempre avuto l’impressione che a parte la sua indubbia capacità come ciclista lui fosse apprezzato anche dagli avversari. Credo ci mancherà.

la politica di Ferragosto

Ieri i giornali, cartacei e online, erano pieni di notizie di politica, cosa mai vista in passato. Quel che è peggio, i socialcosi erano pieni di lettere che i vari leader si sono scritti l’un L’altro. Io penso a quei poveri ghostwriter che hanno dovuto fare gli straordinari, soprattutto quello di Di Maio che deve anche stare attento a inserire il giusto numero di frasi con sintassi traballante. Non so, forse erano meglio i resoconti delle spiagge affollate…

_Che cosa vogliono gli algoritmi?_ (ebook)

Già il titolo originale del libro, che è poi stato tradotto letteralmente in italiano (Ed Finn, Che cosa vogliono gli algoritmi? : L’immaginazione nell’era dei computer [What algorithms want: imagination in the age of computing], Einaudi 2018 [2017], pag. 256, € 9.99 (cartaceo: €20), ISBN 9788858428610, trad. Daniele A. Gewurz, link Amazon), è in realtà fuorviante. Finn è in effetti interessato a quella che nell’Epilogo del libro chiama “Scienze umane sperimentali”: nelle parole dell’autore, «una ricerca umanistica pubblica che si impegna direttamente con la cultura algoritmica. Abbattendo il muro illusorio tra critica e creatività, tra osservazione e azione, tra lettura e scrittura». Ha ragione quando dice che il problema – se preferite, l’opportunità – non sono tanto gli algoritmi quanto tutto quello che ci sta attorno, e ha anche ragione nel dire che già da un pezzo ci stiamo adattando noi agli algoritmi e non viceversa, come ben dovrebbe sapere chi usa un assistente vocale e scopre che deve parlare in un modo ben specifico. Però il libro mi pare troppo intento a spiegare quanto gli algoritmi siano brutti e cattivi, anziché entrare nel merito non dico del “come” ma almeno del “perché”. Insomma, non è che mi abbia detto chissà cosa.
Una nota molto personale: nell’introduzione trovo una nota del traduttore che spiega perché ha scelto di tradurre “computation” con “elaborazione”. Che bravo traduttore, mi dico, è proprio la scelta che avrei fatto io. Vado a vedere chi è il traduttore, e scopro che è il mio amico Daniele Gewurz. Tutto torna :-)

_Prima lezione sul linguaggio_ (libro)

Che cos’è il linguaggio? Domanda intelligente: detto in altri termini, non si ha idea di quale sia la risposta. Tullio De Mauro ci tentò nel 2002 con questo libretto (Tullio De Mauro, Prima lezione sul linguaggio, Laterza 2002 , pag. 130, € 12, ISBN 9788842066712, link Amazon), che io ho letto nella versione edita dal Corriere della Sera. Inutile dire che nessuno può (poteva) tacciare De Mauro di scarsa conoscenza del tema: ho però trovato la prima parte troppo generalista e quindi poco interessante. Molto meglio la seconda parte, sempre di tipo generale ma con un maggiore uso di esempi pratici, e soprattutto con un utile confronto con quello che succede in altri sistemi informativi, come i versi degli animali, i linguaggi non verbali come la lingua (“le lingue”) dei segni e la matematica, dove tra l’altro si fa notare la differenza tra quest’ultima, che è un linguaggio non-creativo mentre il linguaggio è “non non-creativo”; uno scioglilingua che ha un suo bel senso. (ah: a pagina 90 c’è un esempio matematico con un errore…) In pratica, dunque, un testo per i curiosi.