Il Cavalcavia Eugenio Bussa, per i non milanesi, passa sopra la stazione di Porta Garibaldi. Sul cavalcavia c’è una pista ciclabile che finisce nel nulla (arrivi in fondo e devi fare la discesa contromano… però intanto c’è un pezzo di pista ciclabile) e soprattutto c’è un ampio parcheggio, con strisce blu dalle 8 alle 19. In pratica, un posto molto comodo per lasciare la macchina la sera se si voleva andare nella zona di corso Como, al cinema Anteo o al teatro Smeraldo.
Peccato che domenica scorsa, passandoci a piedi per tornare a casa, abbia notato che le strisce non sono più blu, ma gialle, quindi per residenti. Cosa è successo? Che stanno fervendo i lavori per la Metro 5, e quindi hanno chiuso un pezzo di via Volturno, bloccando anche il mercato bisettimanale… ma questo non c’entra. Quello che c’entra è che il comune di Milano ha detto “visto che abbiamo tolto dei posti auto residenti, glieli mettiamo sul cavalcavia”. Peccato che quei posti siano lontanissimi dalla zona, e ho come il sospetto – controllerò tra qualche settimana – che non verranno affatto usati. Ma la somma algebrica dei posti per residenti non cambia: che si vuole di più?
Ratzinger, Galileo, Feyerabend e altri ancora
Metto subito una cosa in chiaro: della storia dello “studente tedesco che rinuncia all’università”, come Alessandro Robecchi chiosa la rinuncia del Papa a intervenire durante l’inaugurazione dell’anno accademico alla Sapienza, non mi è per nulla interessata, e infatti non è un caso che non ne avessi affatto parlato da queste parti. Se proprio avessi dovuto commentare, avrei detto che chi voleva manifestare manifestasse pure, e che i 67 docenti di fisica, invece che scrivere l’ormai famosa lettera, avrebbero fatto meglio a chiedere di poter parlare dopo Benedetto XVI e raccontare tutte quelle cose lì. Ma capisco che in questo modo si sono fatti molta più pubblicità. Però stasera Stefano mi ha chiesto di commentare il discorso di Paul Feyerabend citato dall’allora cardinale Ratzinger, e il tuttologo che in me non si può certo esimere. Da buon tuttologo, non so nulla di quello di cui parlerò, ma non c’è certo problema: tanto tra le mie lettrici (almeno due, più una che il blog non ce l’ha e quindi non posso linkare) e forse anche qualche mio lettore [*] di gente che potrà dottamente sbertucciarmi ce n’è.
La frase incriminata di Feyerabend (tratta da questo sito: come sempre, per prima cosa cercare le fonti!) è questa: «La Chiesa dell’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione» Cominciamo dalla seconda frase, che è la più semplice: si traduce in “Galileo è stato condannato per ragion di Stato, ed è stato riabilitato per ragion di Stato”. Macché fede, ragione, o anche solo morale o etica: tutto quello che contava e che conta era ed è “cosa viene più comodo”. Da questo punto di vista, insomma, la laicità della scienza non c’entra un tubo, proprio perché la religione non c’entra un tubo. Ricordo – ma questo è probabilmente inutile – che il “metodo scientifico” non era certo così noto ai tempi di Galileo, visto che è stato lui ad inventarlo. Quindi l'”attenersi alla ragione” della Chiesa di allora era l’attenersi alla “ragione aristotelica”, mi sa tanto.
Mi ha stupito, invece, che i fisici non si siano lamentati di un’altra citazione nell’intervento di Ratzinger. Non certo quella di von Weizsacker che “fa ancora un passo avanti, quando vede una «via direttissima» che conduce da Galileo alla bomba atomica”. Penso che su quello si sia tutti d’accordo: senza il cambio di paradigma dalla scienza aristotelica a quella galileiana, non si sarebbe certo arrivati alla bomba atomica, o se per questo al PC su cui leggete questo mio sproloquio. Parlo invece del pezzo che riguarda Ernst Bloch. La premessa è giusta: «il sistema eliocentrico -così come quello geocentrico- si fonda su presupposti indimostrabili». Peccato che parta subito per la tangente, dicendo «Tra questi, rivestirebbe un ruolo di primo piano l’affermazione dell’esistenza di uno spazio assoluto; opzione che tuttavia è stata poi cancellata dalla teoria della relatività.» La relatività non c’entra un tubo, mi spiace. Il punto è banalmente che la scienza (galileiana, non aristotelica) non può avere certezze ma solamente modelli, e si deve scegliere il modello che (oltre a fare previsioni dimostrabili, che è l’unica cosa che si sente dire in genere) è il più semplice. È chiaro che avere delle orbite ellittiche intorno al sole che sta in uno dei fuochi dell’ellisse è di gran lunga più semplice che avere epicicli di primo e secondo ordine per “aggiustare” le orbite circolari intorno alla Terra, ma questo non sarebbe stato un problema. Se non ricordo male, Bellarmino aveva cercato senza riuscirci di convincere Galileo a dire che usava il sistema eliocentrico perché era il più semplice, senza però dire che “era quello vero”; cosa che il pisano non ebbe assolutamente intenzione di fare (doveva essere una testa ben dura anche lui).
Diciamo che io mi sarei aspettato come critica a Benedetto XVI appunto questa: che parla di scienza (la parte blochiana sulla teoria della relatività) senza sapere di cosa parla, e di parlare tanto di “presupposti indimostrabili” ma poi affermare implicitamente che la Chiesa ha il modo di affermare la Verità anche su quelli prettamente scientifici (se le due teorie scientifiche geo- ed eliocentrica si basano entrambe su presupposti indimostrabili, perché si doveva affermare che quella Vera era la prima?) A parte la stupidità, almeno per come la vedo io, di una battaglia di retroguardia – crederete mica che Ratzinger creda nella Terra al centro dell’universo? – quello in effetti è un punto piuttosto pesante. Mi sa però che forse era troppo fine… stiamo parlando in fin dei conti di fisici :-P
[*] il buffo è che le due fanciulle che cito stanno dalle “parti opposte della barricata” rispetto ai due fanciulli. Queste connotazioni sessiste…
Suharto, chi era costui?
Beh, chi legge queste notiziole – l’ho già detto – è per definizione una persona intelligente ed acculturata e si ricorderà perfettamente che Suharto è stato il sanguinario dittatore dell’Indonesia dal 1966 al 1998. Insomma, un tipino non esattamente raccomandabile e che si è assicurato un posticino nella storia del XX secolo: non esattamente tra i Buoni, ma non importa. Indubbiamente non è Uno Qualunque.
Ora, è una decina di giorni che Suharto è in fin di vita. Se uno segue la BBC, può sapere giorno per giorno l’evoluzione della sua malattia. Voi lo sapevate? con ogni probabilità no. Non perché siate stupidi e ignoranti, ma perché i nostri media non ritengono sufficientemente interessante la notizia, nonostante tutto quello che si dica sulla globalizzazione. Qui non è nemmeno problema di casta, mi sa, quanto piuttosto di visione distorta del mondo.
raccolta rifiuti: Milano contro Napoli
Ieri sera, mentre andavamo al ristorante, mio zio vede per terra sul marciapiede un televisore [*] lasciato lì evidentemente perché fuori uso – tenete conto che stava piovigginando, quindi si può supporre che non fosse stata posata un attimo per riposarsi dalla fatica di trasportarla. Sono ovviamente partiti i commenti su come ormai lasciare i rifiuti in giro sia una moda esportata anche al nord. Due ore dopo (erano le 22.30) ripassiamo per la stessa strada: la televisione non c’era più :-)
[*] non “una televisione”, come segnalatomi da Stefano “Free.9” Scardovi. Si vede che è una cosa a me aliena.
Da Berti (ristorante)
Ieri sera sono andato con i miei zii a cenare al Da Berti (mi scuso per la doppia preposizione, ma il locale vuole il “da”). Il posto, come avrete capito se siete andati a cliccare sul link, è un locale storico, che esiste da centoquarantadue anni, ma dal nostro punto di vista aveva il vantaggio competitivo di essere a cinquecento metri da casa mia, il che significava andarci a piedi anche con la pioggerellina.
Le sale (non era esattamente il momento giusto per pranzare nel giardino) sono molto belle, e il servizio ottimo. Però il brasato di manzo con polenta che ci siamo presi non è che fosse chissà cosa, nonostante fosse segnato nelle proposte del giorno. Molto meglio i ravioli – sempre al brasato, ieri sera sono stato monotematico – che l’avevano preceduto, lo dico subito. Non posso dare giudizi sul prezzo, visto che la cena me l’ha offerta mio zio; dal menu mi sembrava sulla media dei posti milanesi.
Giudizio finale: se volete far vedere che conoscete dei posti di classe e non pacchiani, e non siete in caccia di sensazioni speciali per le vostre papille gustative, potete tranquillamente andarci.
Phishing globale
Diventa sempre più difficile trovare esempi interessanti di phishing. Sembra che la fantasia degli spammatori stia esaurendosi, non tanto arrivando a un testo che potrebbe essere preso per buono, ma fossilizzandosi su uno pseudoitaliano ritenuto probabilmente sufficiente.
Però stamattina su una delle mie caselle tin.it mi è arrivato un avviso dell’Akbank che probabilmente mi chiede di garantire che sono effettivamente io. Ecco il testo:
Güvenlik Alarmi
AKBANK Online Bankacılık hesabınızın hizmet süresi dolmak üzeredir.
Aşağıdaki linki kullanarak hesabınıza ulaşabilir ve hesabınızı tekrar aktif hale getirebilirsiniz.
È scritto in turco, proprio così: la Akbank è in effetti una banca online turca. Sempre per la globalizzazione imperante, il sito a cui punta il falso link è palestinese ( http://alamiah.ps/secure/33.swf/www.akbank.com/efs/servlet/military/?url_activation=true), che a sua volta manderebbe a uno dei tanti siti americani di hosting, Onlinehorizons, che non è gratuito ma forse ha il vantaggio di avere una versione in arabo. Visto quante cose si imparano con l’internette?
Il diavolo fa le officine ma non i libri
Leggo su rep.it che sta uscendo un film, Il falsario, basato su una storia vera: un gruppo di prigionieri (ebrei) nazisti che falsificano banconote inglesi perché il Terzo Reich vuole cercare di distruggere l’economia britannica. Si parla di un libro, L’officina del diavolo, scritto da uno dei protagonisti, l’arzillo novantenne Adolf Burger. In effetti, leggendo attentamente, c’è anche scritto che il libro non è mai stato tradotto in italiano: nemmeno in inglese, visto che su Amazon l’unica occorrenza che trovo è questa, in tedesco. In effetti, “Des Teufels Werkstatt” si traduce esattamente “L’officina del diavolo”, però non capisco perché abbiano scritto il libro come se fosse stato tradotto… visto che immagino che quello che tradurranno per primo sarà questo. Misteri dell’editoria.