Dopo la Nona Sinfonia di Beethoven, faccio il bis e canto ancora una volta nel Forum Corale Europeo promosso dall’Associazione Cantosospeso. Domenica 19 aprile (quella dopo Pasqua), alla Palazzina Liberty di Largo Marinai d’Italia, eseguiremo infatti la seconda parte del Messiah di Händel, la cosiddetta “piccola Passione” che termina con l’Hallelujah che immagino conosciate tutti. Il coro è di un centinaio di persone, e naturalmente c’è l’orchestra che ci accompagnerà e che stavolta cercheremo di non sovrastare.
I concerti sono due, entrambi alla Palazzina Liberty, e si terranno alle 17 e alle 20:30. Non è detto che io riesca ad partecipare al primo – rientro da un matrimonio in Toscana, e la logistica familiare non è il mio forte – però al secondo ci sono di certo. Il costo del biglietto è di 15 euro, che serviranno per rientrare delle spese: sponsor oggidì ce ne sono pochi, purtroppo, e sala e orchestra costano. Per quello che ho potuto vedere a dicembre, posso comunque assicurare che il risultato è davvero valido, e vale la pena ascoltarci!
Ci sono archeologi informatici torinesi o milanesi?
Devo buttare via molta roba dalla mia vecchia casa torinese. Tra le varie cose ho CDROM delle prime distribuzioni Linux (il nome SLS non vi dice nulla?) e di software assolutamente d’antan (Prime Time Freeware vi dice nulla?)
Invece che buttarle via e basta, le posso regalare a qualcuno, persona o ente, che faccia collezione di questa roba. Se qualcuno è interessato si faccia vivo!
Piazza XVIII dicembre
La stazione attuale di Torino Porta Susa si trova in piazza XVIII dicembre. Per la cronaca, il mio amico Claudio mi diceva che la stazione sotterranea che stanno facendo era erroneamente indicata essere in piazza XV dicembre, al che io ho commentato “in effetti è un po’ più indietro rispetto alla vecchia, quindi è giusto che venga anticipata anche la data”.
Ieri sera ho notato che finalmente almeno una delle targhe toponomastiche riporta il motivo per cui la piazza è denominata così: ricorda l’incendio della Camera del Lavoro torinese, avvenuto nel 1922 a opera dei fascisti. È vero che erano in pochi i torinesi a sapere anche solo il nome della piazza, che per tutti era Porta Susa: ma adesso che ci passa la metro facendo appunto la fermata XVIII dicembre magari qualcuno si era chiesto cosa si commemorasse. Ricordo che mi ero posto la domanda ai tempi del liceo: ai tempi Internet non c’era se non come serio sistema di comunicazione per scienziati e militari, e la coppia Page-Brin forse iniziava le elementari, altro che Google. Me ne andai così alla biblioteca civica di Torino a compulsare qualche enciclopedia, e scoprii… no, non scoprii nulla. Il 18 dicembre 1936 vennero comminate le Inique Sanzioni all’Italia per la guerra di Etiopia, ma ovviamente mi pareva strano che una data simile fosse rimasta nella toponomastica piemontese. Alla fine credo che dovetti chiedere lumi al mio professore di italiano, un pozzo di cultura che naturalmente lo sapeva.
La morale di questo raccontino è duplice: innanzitutto è incredibile come l’operazione di trovare un’informazione sia cambiata in maniera così straordinaria in trent’anni: secondo me non ce ne rendiamo davvero conto, e siamo convinti che la ricerca in rete sia solo un’estensione di quello che si faceva un tempo. D’altra parte, però, anche gli enti pubblici iniziano a capire che l’informazione non è un di più che fa fine giusto nelle occasioni di gala; e questa non è affatto una brutta notizia.
Velocità altina
Avendo preso il TGV per andare a Torino per una toccata e fuga – dovevo vedere delle cose con la mia mamma – ho toccato con mano che i treni francesi ad alta velocità seguono comunque la linea storica e non il pezzettino già pronto da Settimo Torinese a Novara; da quanto avevo capito il problema è legato agli standard di corrente elettrica, che per i francesi sono appunto standàrd alla francese. Ma resta il fatto che il treno, pur non andando certo a chissà quale velocità, ci ha messo un’ora e diciotto minuti da Milano Centrale a Torino Porta Susa. A questo punto mi chiedo a che sia servito – oltre alle eventuali tangenti – tutto il lavoro che farà guadagnare un quarto d’ora.
Non gli dette più retta?
Segnalo, via Fausto Raso, che la Dante Alighieri ha preparato una nuova serie di esercizi sulla lingua italiana. Lui è molto più pignolo di me, e si lamenta perché scrivere “morí” invece che “morì” sia considerato errato; è vero che le edizioni Einaudi usano indicare che la i è una vocale acuta, ma il segnaccento generalmente utilizzato è quello grave. Inoltre la Dante Alighieri si occupa dell’italiano come lingua straniera: probabilmente è meglio fare in modo che gli ispanofoni tengano a mente che mentre nella loro lingua tutti i segnaccenti sono acuti (áéíóú) da noi non è così. (Poi possiamo chiederci che tastiera usa Fausto Raso, visto che in quella italiana la i accentata è “ì” e non “í”; sono io che ho la tastiera virtuale US-International e quindi nessuna lettera accentata)
Più grave, invece, vedere come la forma “dette” per il passato remoto del verbo dare non è considerata valida. Il De Mauro riporta “diede o dette”. Il Garzanti riporta “diede o dette”. Insomma, non toglieteci le poche certezze della scuola elementare!
Matematici inaspettati
La primatista italiana indoor di salto con l’asta ha un cognome piuttosto pesante da portare: Anna Giordano Bruno. Ma la cosa più inaspettata è forse che la giovane sportiva è una specializzanda in matematica: per la cronaca, si occupa di entropia algebrica presso l’università di Padova.
Mi sembra bello sapere che si può essere matematici e allo stesso tempo non essere completamente fuori dal mondo, e soprattutto mi sembra molto bello vedere che si possa fare sport a ottimo livello senza dovercisi dedicare totalmente.
Emergenza e referendum
Adesso c’è l’Unità che la butta lì: accorpiamo elezioni europee e referendum, e risparmiamo 460 milioni di euro da dare ai terremotati abruzzesi. Beh, se lo si farà per questa ragione, avremo dimostrato di essere una nazione di quaqquaraquà.
Io sono sempre stato favorevole all’accorpamento, a differenza di altri; in parte per i soldi e il tempo spesi (che poi a dirla giusta saranno meno della metà), ma paradossalmente anche proprio per lo stesso principio: quello di chi afferma che il non andare a votare è una scelta legittima. Principio che io contesto, almeno fino a che non si modificherà la legge per tenere conto dell’astensionismo fisiologico; d’altra parte non avrei nessun problema a istruire i commissari di seggio a chiedere esplicitamente agli elettori “volete votare anche per il referendum, o no?”. (Nota: dei referendum di quest’anno voterò sì solo a quello sulla candidatura in un solo collegio, che oggettivamente non conta molto; sono contrarissimo agli altri due. Insomma, la mia è una posizione di principio).
Ma proprio perché l’accorpamento per me è una scelta di principio, vederlo fare solo sull’onda dell’emozione – e dando per accettata la buona fede della Concita – mostra semplicemente la nostra italica incapacità di fare le cose per una ragione ponderata: lo vediamo nei vari “pacchetti emergenze” e lo stiamo per vedere qua. Che tristezza.
Geometria fumettara
Probabilmente la vignetta di oggi di Ferd’nand non vi farà molto ridere, soprattutto se la vostra abilità nei lavori manuali è comparabile con la mia. La striscia però rappresenta visivamente un importante fatto geometrico, che probabilmente è passato del tutto inosservato a scuola.
Una delle informazioni generalmente inutili che rimangono appiccicate dagli anni scolastici è “per due punti passa una retta”. La frase corretta, sottintendendo che si parla del piano euclideo, è “per due punti passa una e una sola retta”, ed è uno dei postulati degli Elementi di Euclide, vale a dire un’affermazione che si deve prendere per vera senza cercare di dimostrarla. Se i punti presi sul piano sono tre, bisogna essere fortunati per averli tutti sulla stessa retta; in genere non capita. Sì, ci sarebbe la battuta “per tre punti passa una retta, purché sufficientemente spessa”, ma non divaghiamo… L’affermazione si può anche leggere alla rovescia: dati due punti, abbiamo definito una retta ben specifica.
Se dal piano passiamo allo spazio, però, le cose si fanno più interessanti. Il postulato equivalente a quello indicato qui sopra dice “per tre punti passa uno e un solo piano”, o se preferite “dati tre punti, abbiamo definito un piano”. Come nel caso del piano aggiungere un terzo punto non permette più di essere certi di avere una retta che passi per tutti e tre i punti, così quattro punti nello spazio possono non appartenere a nessun singolo piano, come il nostro Ferd’nand si è accorto col suo tavolino che balla. Ma se il tavolino ha solamente tre gambe, la stabilità è assicurata! Naturalmente non è detto che le cose posate sul tavolino non scivolino a terra, o detto in altro modo il piano del tavolino non è detto sia parallelo al pavimento (o meglio, come fa correttamente notare S. nei commenti, e perpendicolare alla forza di gravità: un tavolino parallelo a una ripida strada di San Francisco sarebbe scarsamente utile); ma è comunque qualcosa. Questo tra l’altro è il motivo per cui si usano i treppiedi e non i quadripiedi, se si deve fare una fotografia e si vuole che la macchina fotografica sia stabile. Insomma, anche la geometria ha la sua utilità