Harry Potter and the Deathly Hallows (libro)

[copertina] L’ultimo libro della saga del maghetto (J. K. Rowling, Harry Potter and the Deathly Hallows, Bloomsbury 2008 [2007], pag. 831, Lst. 9.99, ISBN 978-0-7475-9586-1) è fatto molto bene, non c’è che dire. Non mi sarei aspettato che la Rowling riuscisse a recuperare così tutti i fili della trama sparsi nei vari libri, comprese cose che io mi ero assolutamente dimenticato. Nelle ottocento e più pagine si parte con quella che è una classica quest, per finire con il redde rationem finale a Hogwarts tra Harry Potter e Lord Voldemort; nel corso del libro muoiono altri dei protagonisti, come del resto ci si poteva aspettare visti i libri precedenti. Se non avete ancora letto il libro, terminate qui la lettura; altrimenti potrete scoprire che il protagonista muore e poi risorge, che Snape abbia in realtà fatto il triplo gioco… per amore, e soprattutto che a vincere è l’amore, oltre che il sapere accettare il proprio destino. Personalmente non ho capito la logica di aggiungere il capitolo finale, e mi è parso che alcuni dei personaggi si siano persi per strada; ma sono delle piccolezze.

attenti ai formati

Tralasciando il tono entusiasta di questo articolo (è un giornale, si deve far leggere…) il problema posto è molto importante. Le versioni ad alta risoluzione delle immagini raccolte negli anni ’60 dal Lunar Orbiter sono state salvate su dei nastri (analogici…) che adesso soffrono di due problemi: il primo è che si stanno deteriorando, e il secondo è che esiste solo una macchina capace di leggerli, e nemmeno la macchina se la passa troppo bene.
Lo so che voi fate sempre copie multiple di tutta la vostra roba e non appena esce un nuovo gadget, col suo formato proprietario, siete pronti a riversare i dati; e lo so che voi siete convinti che i guai sono nati perché quei nastri sono analogici e non digitali, e quindi non si possono leggere i bit (fosse così semplice… se appena si codificano i dati occorre sapere come tradurli, i bit :-) ) Però ogni tanto forse ci conviene pensare che la nostra conoscenza dipende sempre più dall’elettromagnetismo all’opera.

_Tutta colpa di Giuda_ (film)

[locandina] Film in un certo senso pasquale quello che siamo andati a vedere sabato sera, questo Tutta colpa di Giuda di Davide Ferrario (sito del film). Pasquale perché la regista teatrale Irena (Kasia Smutniak) è invitata nel carcere torinese delle Vallette per un progetto di una “Passione pasquale” che però prende tutta un’altra piega, come del resto ci si può immaginare in un posto dove nessuno ha certo voglia di fare Giuda.
Nonostante il mio (solito…) essere prevenuto, Ferrario ha fatto un bel lavoro, non troppo cerebrale come ci si sarebbe potuti aspettare dall’ambientazione. La Smutniak è davvero caruccia e soprattutto riesce ad essere convincente; il cinismo rassegnato del direttore del carcere (Fabio Troiano) è forse la cosa che colpisce di più, oltre ai volti dei detenuti che saranno anche in una sezione modello, ma appunto restano in carcere e non vedono perché poi fare chissà quali azioni che tanto saranno inutili. L’unica caduta di stile si ha quando Suor Bonaria (Luciana Littizzetto come special guest), per consolare il prete don Iridio (Gianluca Gobbi) che non vuole affatto una “Passione” che dire anticonvenzionale è poco, lo consola dicendogli che chissà, magari lassù farà in modo che succeda qualcosa.
Di Torino ovviamente se ne vede poca (a parte uno scorcio delle case del villaggio olimpico, con un arredamento interno piuttosto incongruo), del carcere di più, con Loris che pensava che l’aula-bunker alle Vallette sarebbe stato un CED perfetto; ho rivalutato i Marlene Kuntz come musicisti, e il brano di Francesco “Checco” Signa che dà il titolo al film è davvero trascinante.

Intersezioni

Tanti si lamentano perché Berlusconi è sempre in Abruzzo, dopo il terremoto.
Tanti si lamentano perche il papa non è andato in Abruzzo, dopo il terremoto.
Calcolare l’intersezione dei due insiemi.

gioco della domenica: Str8ts

Occhei, oggi ci sarebbe voluto un gioco pasquale: però Easter Eggs Swap è praticamente un Germz semplificato, e quindi non lo considero valido per la rubrichina. Vi segnalo invece Str8ts, un altro gioco in stile sudoku con un (minimo) contenuto matematico.
Lo schema di str8ts (si legge come “straights”, filotti) ricorda quello di un cruciverba 9×9, o se preferite del kakuro, con la particolarità che non solo alcune caselle bianche ma anche alcune nere hanno un numero all’interno. Come nel sudoku, bisogna completare lo schema scrivendo nelle caselle bianche le cifre da 1 a 9 in modo che nessuna riga o colonna presenti due volte la stessa cifra; può darsi che alcune righe e colonne non contengano tutti i numeri. La caratteristica distintiva del gioco è che tutte le “parole” del cruciverba sono composte da cifre consecutive, da cui il nome del gioco. Se una casella nera contiene un numero, il risultato pratico è che non può essere usato nella riga e nella colonna corrispondente.
Il sito di str8ts presenta uno schema giornaliero risolvibile online; il primo che ho provato a risolvere, nonostante fosse definito relativamente facile, mi ha dato un po’ filo da torcere, probabilmente perché non sono abituato a pensare per filotti. Può essere comunque un interessante variante al mettere i numeretti sui soliti schemi di sudoku.
(via Passion For Puzzles)

Wikipedia specchietto per le allodole

Oggi su Tuttolibri c’è questo trafiletto di Giovanna Zucconi. Già dal titolo, “Salviamo i precari da Wikipedia”, si capisce dove la giornalista vuole andare a parare.
Tolto il primo paragrafo che non c’entra nulla con il resto dell’articolo, la Zucconi comincia infatti a lanciare strali contro il sito francese «pomposamente chiamato Encyclopédie Française.com» (occhei, a dire il vero il sito si chiama encyclopediefrancaise.com; ma la signora Zucconi a differenza di me il francese lo sa, e delle convenzioni di internet forse ne sa meno); cita un testo che per me è comprensibile ma immagino sia pieno di erroracci, e chiosa «Trattasi di una traduzione automatica, si scopre, da Wikipedia».
La cosa, per quel poco che sono riuscito a capire, è vera; encyclopediefrancaise.com mette sul suo sito le traduzioni automatiche dalla wikipedia in lingua inglese. È indubbiamente vero che «chi mette online questa roba ci guadagna: zero lavoro, qualche incasso pubblicitario», ma non vedo perché questo sia colpa di Wikipedia, che non ricava certo soldi da tutto questo. (Per la cronaca, se sulla wikipedia in lingua italiana qualcuno trova una voce chiaramente tradotta automaticamente la voce viene cancellata immediatamente, per quanto importante possa essere l’argomento: giusto per dare un’idea della nostra attenzione alla qualità)
Chi vede il nesso è ovviamente la signora Zucconi, che termina parlando di un libro di Anne e Marine Rambach sul precariato intellettuale e cita una traduzione automatica di una recensione, questa volta in italiano, che a detta sua dovrebbe essere «allegramente sul web». L’ho cercata ma non l’ho trovata: mi sa che chiunque l’avesse inserita si sia così spaventato dall’essere citato sul terzo quotidiano d’Italia che ha subito cancellato ogni prova del misfatto. La tesi del libro, fatta direi propria dalla Zucconi, è che chi la cultura la fa è rovinato dalla Grande Rete: «tariffe già miserabili e in calo, sotto la spinta della “cultura del gratuito” promossa da Internet». Collegandolo al titolo, è ora chiaro che Wikipedia è il Male: lasciando a disposizione materiale aggratis, magari tradotto automaticamente perché è più facile, l’enciclopedia toglie il lavoro a chi lo fa per mestiere. Che ci sia una precarizzazione della cultura è un (triste) fatto: da qui a dare la colpa a Wikipedia, senza voler nemmeno pensare che forse parecchio di quello che c’era prima era più culturame che cultura, e che se gli editori e i compratori si accontentano delle traduzioni automatiche magari significa che non sono comunque interessati al materiale in questione, mi pare un po’ limitativo.
Concludo con le parole terminali dell’articolo: «La discussione continua sul web, in mirabili traduzioni appunto gratuite.» Non posso garantire che nessuno applichi un traduttore automatico a questa mia notiziola – a volte è infatti capitato – ma la signora Zucconi ha ben donde a preoccuparsi: tutto questo l’ho scritto assolutamente gratuitamente.
Aggiornamento: (23:00) seguendo i commentatori, lascio il beneficio del dubbio e ammetto che il titolo possa essere stato scritto da qualcun altro, e quindi la signora Zucconi ce l’abbia solo in genere contro le traduzioni automatiche e la “cultura del gratuito”. Il resto di quanto ho scritto rimane, naturalmente.

Previsioni e postvisioni

Supponete che qualche giorno prima della partita di andata dei quarti di finale della Champions League vi arrivi una email che dice “ho sviluppato un algoritmo che prevede correttamente i risultati sportivi. Per dimostrarGlielo, ecco quali sono le quattro squadre che passeranno alle semifinali:” e un elenco di quattro squadre. La mail termina con “per favore, non divulgate la notizia, per ovvie ragioni”. Voi non ci fate molto caso: quando però le partite si sono concluse, vi arriva una seconda email, che dice “Le quattro squadre che hanno passato il turno sono state proprio quelle da me previste. Perché Lei si possa sincerare della potenza dei miei algoritmi, Le dico quali saranno le finaliste”; e stavolta ci sono due nomi. Fate mente locale, vi ricordate che effettivamente l’interlocutore aveva ragione – e dire che non avreste scommesso un euro su una delle squadre – e aspettate incuriositi. Anche stavolta le predizioni si sono rivelate corrette: arriva una terza mail che dice “Se Lei vuole sapere il nome della squadra che vincerà la Champions League, invii cento euro a questo numero di conto corrente. Mi raccomando, però: non diffonda la notizia, altrimenti le quote crollerebbero.” Che fareste? Mandereste all’anonimo i soldi, pronti a scommetterne ben di più? Se avete risposto sì, forse è meglio che continuiate a leggere; altrimenti la lettura non sarà così importante ma spero sia comunque piacevole.
Il nostro anonimo interlocutore aveva infatti iniziato a spedire 128.000 email – tanto non gli costava nulla – divise in sedici gruppi, ciascuno dei quali aveva una quaterna diversa di semifinaliste previste. Una volta visti i risultati, il secondo gruppo di spedizioni è stato fatto solo agli 8000 destinatari che avevano ricevuto la predizione corretta (suppongo che le probabilità che passi il turno una squadra oppure l’altra siano le stesse, ma il ragionamento vale lo stesso); il terzo messaggio con la richiesta di denaro, infine, solo ai 2000 per cui anche i risultati delle semifinali erano stati previsti correttamente. La maggior parte delle persone ha ricevuto solo la prima mail con le previsioni errate, ma voi eravate tra i duemila “fortunati”, e con buona probabilità sgancerete al nostro ignoto amico cento euro per un’ulteriore predizione assolutamente casuale. Se anche solo la metà dei polli ci casca, sono 100000 euro in saccoccia senza troppa fatica: niente male, vero?
Purtroppo l’evoluzione non ha insegnato a noi umani come trattare le probabilità, soprattutto le probabilità a posteriori. Quello dell’esempio è un caso limite: prima dell’invio della prima email avete una possibilità su 64 di ricevere tutti e sei i risultati corretti, e quando vi arriva la lettera con la richiesta di un piccolo contributo tendete a pensare ancora a quella probabilità, mentre quella a posteriori è ovviamente la certezza nel vostro caso (e l’impossibilità negli altri 63 casi… la probabilità è come l’energia, nulla si crea e nulla si distrugge). Ma ci sono anche altri casi in cui le probabilità a posteriori sono sovrastimate e non sottostimate. Il caso classico che viene fatto è quello del test per l’Aids. Supponiamo che il test rapido abbia una probabilità su 100 di dare un falso positivo (una persona sana che risulti aver contratto l’infezione), e che il vostro stile di vita assai morigerato sia tale che a priori avete una possibilità su 1000 di essere infetti. Andate a fare il test, e vi richiamano dicendo che il test rapido è risultato positivo e quindi occorre sottoporvi a un test più accurato. Quant’è la probabilità a posteriori (cioè dopo la positività al test rapido) che voi siate effettivamente infetti? il 99%? No, è molto meno. Su un milione di persone con il vostro stile di vita, infatti, solo 1000 sono statisticamente infette. Il test darà risultato positivo su questi 1000 e sull’1% degli altri 999000, cioè su 9990 persone (che arrotondo a 10000 per fare meglio i conti). Quindi ci sono 1000 infetti su quasi 11000 positivi all’esame, pari a meno del 9%. In altre parole: c’è da preoccuparsi (siamo passati da una probabilitàa priori dello 0,1% a quasi il 9%) ma non avete ancora un piede e mezzo nella fossa!
Tutti questi conti sono ben noti da secoli ai matematici, e la formula che calcola le probabilità a posteriori a partire da quelle a priori e dai risultati si chiama Teorema di Bayes. Il fatto che sia ben nota non cambia però le carte in tavola: continua a risultare poco intuitiva, e quindi anche persone con una buona conoscenza scientifica ci possono cascare.
C’è anche un altro fenomeno relativo alle probabilità che fa prendere lucciole per lanterne, anche se più che matematico è probabilmente di natura psicologica, ed è l’aggiustamento probabilistico a posteriori. Inizio con un esempio che di matematico non ha nulla: le centurie di Nostradamus. Adesso non sono molto di moda, ma negli anni ’70 del secolo scorso c’erano vari studiosi che invariabilmente mostravano come Nostradamus avesse previsto i vari fatti accaduti: una volta verificatisi tali fatti, i riferimenti nel testo del veggente erano infatti inequivocabilmente chiari. Purtroppo le previsioni per il futuro non sono mai state così chiare, un po’ come quelle degli astrologi: o magari è tutto un complotto delle società di assicurazione che non vogliono finire in rovina, e quindi stanno attente a eliminare tutti i possibili metodi per conoscere davveo il futuro.
Spostandoci ìn un ambito piu matematico ancorché qualitativo, prendo un esempio purtroppo tragico: il terremoto abruzzese di questi giorni, e la coda di polemiche perché le previsioni di Gioacchino Giampiero Giuliani non sono state tenute in considerazione. Guardiamo le cose da un punto di vista strettamente matematico. La probabilità a priori che ci sia un terremoto di intensità distruttiva in un giorno specifico in una zona specifica (diciamo con l’epicentro in un raggio di quindici km da un punto indicato) è molto bassa, per fortuna: e lo è anche se ci si trova in una zona sismica, e comincia a diventare significativo – ma non ancora elevato, sempre per fortuna – in presenza di alcuni segnali. Immaginiamo che Giuliani avesse effettivamente previsto il terremoto del 6 aprile all’Aquila, ma non avesse detto nulla perché in fin dei conti era già sotto inchiesta per procurato allarme. Resta il fatto che il 28 marzo aveva affermato che il terremoto sarebbe stato il giorno successivo (sette giorni prima della data effettiva) a Sulmona (cinquanta chilometri in linea d’aria dall’Aquila). Chi dice “ci aveva azzeccato” è come chi pensa di aver vinto alla lotteria perché la differenza tra il numero del suo biglietto e quello vincente è solo 14: non esattamente un gran risultato. Eppure, proprio perché l’evento è così raro e distruttivo, si pensa inconsciamente che un’approssimazione di questo tipo sia accettabile. Visto che non possiamo riprodurre a piacere i terremoti, non abbiamo un modo di valutare aprioristicamente la probabilità che da una serie di segnali si giunga a un sisma. D’altra parte, mentre in linea di principio ha senso avere qualche allarme a vuoto, non possiamo nemmeno averne troppi; non tanto per l’effetto “al lupo al lupo”, quanto per gli ovvi problemi organizzativi.
La morale di tutto questo è semplice: fate sempre attenzione quando valutate delle probabilità, e non fidatevi degli argomenti spannometrici!