I casi sono due. O la boutade estiva dei salari differenziati per regione serve per gli scopi fatti intuire da Maramotti nella sua vignetta di ieri, oppure sono giusto polverone che la Lega ha sparso per coprire il suo vero scopo: differenziare i salari dei dipendenti pubblici. Nel privato la differenza c’è già, non foss’altro che perché la contrattazione aziendale è molto più forte al nord; lo stipendio nella funzione pubblica invece è al momento per definizione uguale ovunque. Epperò…
Considerando che non penso sia costituzionale fare concorsi pubblici su base regionale, e considerando che comunque non possono vietarti di prendere la residenza in un’altra regione, come può ragionevolmente finire la cosa? Il lavoratore viene a nord, vince il concorso, e dopo un po’ chiede il ritorno al sud. Non possono decurtargli lo stipendio ad personam (non ci sarebbe un'”indennità nord”, ma proprio uno stipendio diverso), quindi tornerebbe giù con uno stipendio più alto. Tradotto in altri termini: i più furbi guadagneranno di più.
Mi resta solo da capire se i legaioli ci sono arrivati da soli.
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quando chiudereste per ferie una gelateria?
Ieri sera eravamo ospiti da amici, e prima di uscire siamo andati a comprare un po’ di gelato da portare loro, visto che avevo controllato in precedenza, e la pasticceria Martesana era chiusa per ferie – cosa anche abbastanza comprensibile. Passiamo dalla gelateria di via Borsieri: chiusa. Diciamo “beh, c’è la gelateria dell’Isola”: chiusa anche questa. Risultato finale: tutti in via Traù.
Il diritto alle ferie è sacrosanto, ci mancherebbe altro, e non posso nemmeno dire che non ci sia stata una serrata generalizzata, visto che le tre gelaterie sono in uno spazio di un paio di centinaia di metri. Però io ricordo bene come le gelaterie tendessero a prendersi ferie a gennaio-febbraio, scegliendo il periodo in cui la richiesta era inferiore. A questo punto, quale sarà la causa più probabile?
Com’è che due gelaterie su tre nel quartiere Isola sono chiuse nella settimana di ferragosto?(polls)
(se non avete javascript abilitato, forse qua funziona)
L’invenzione della verità (libro)
Bruno de Finetti è noto – credo più all’estero che in Italia – per il suo lavoro di fondazione della teoria della probabilità. Questo suo saggio del 1934 (Bruno de Finetti, L’invenzione della verità, Raffaello Cortina “Scienza e idee 152” 2006, pag. 204, € 19, ISBN 978-88-6030-060-7) non è però un testo di matematica, quanto di filosofia della scienza. D’accordo, è difficile distinguere tra fondamenti della matematica e filosofia della matematica; ma in questo caso non ci sono molti dubbi, visto che di matematica non se ne parla proprio. La posizione filosofica definettiana parte dal pensiero di Hume; un empirismo rivisto alla luce delle geometrie non euclidee e soprattutto della fisica einsteniana, che portano l’autore verso il relativismo e il pragmatismo. D’altra parte, noi non possiamo essere certi di nulla; tornando alla probabilità, non possiamo nemmeno essere certi che lanciare una seconda volta una moneta sia la stessa cosa dell’averla lanciata la prima volta, né possiamo permetterci il lusso di considerare un numero infinito di eventi, anzi di fenomeni, il termine preferito dal de Finetti.
Il saggio è preceduto da una lunga introduzione di Giulio Giorello, che ho trovato un po’ noiosa ma mi è sicuramente servito per riuscire a entrare nel contesto filosofico; più interessante e anch’esso sicuramente utile un glossario che spiega i termini scientifici usati nel saggio.
scoop o redazionale?
A leggere questo articolo apparso sul dorso milanese di Repubblica – la gente che affitta i contenitori-di-spazio EasyBox perché non può permettersi un posto per dormire – viene in mente proprio quello scritto da tal supermozy nei commenti (lo trovate nella penultima schermata): un redazionale mascherato. Non si spiegherebbe altrimenti la dovizia di particolari sulla locazione delle sedi milanesi (ok, hanno saltato quella di Lancetti, ma non si può essere perfetti) e persino sui costi per spazi di 4 e 12 mq.
D’altra parte la crisi è la crisi, bisogna pur trovare il modo di farci soldi su!
scollatura sì, ma…
Un abituale lettore del Corsera online (ma sarebbe anche potuta essere Repubblica, intendiamoci) si potrebbe forse chiedere come mai questa “succosa” notizia sulla scollatura elettorale di una candidata tedesca (e di Angela Merkel) non sia corredata dall’usuale galleria fotografica.
Ma un lettore esperto non avrebbe dubbi in proposito, anche senza andare sul sito della FTD e vedere il video con i manifesti. Da noi la discrimante per la pubblicazione è molto semplice: “è gnocca oppure no?”.
Facebook compra FriendFeed
Quando ieri sera è arrivata la notizia, tra i miei amichetti telematici c’è subito stato un coro di disperazione collettiva (tranne il solito bastian contrario). Immagino che su Facebook nessuno si sia accorto di nulla, ma è così che vanno le cose. Che ne penso io? Per una (rara) volta, sono d’accordo con Zambardino: “la fabbrica di formaggini si è comprata il negozio di delikatessen”. Il giudizio complessivo è però più compesso.
Innanzitutto, un utente casuale potrebbe dire che FriendFeed (FF in seguito, perché sono pigro) e Facebook (FB) sono più o meno la stessa cosa: ci sono discussioni e link vari, e anzi FB è più carino perché ci sono più immagini e la struttura è più ampia, mentre FF sembra più che altro una lista della spesa. Tralasciando per un momento il fatto che in quest’ultimo anno c’è già stato un percorso di avvicinamento delle interfacce grafiche e delle feature (il “like” nasce con FF e viene copiato in FB), la logica dietro i due sistemi è completamente diversa. FB vuole essere un posto di arrivo, il centro commerciale dove trovi tutto quello che ti serve e non hai più bisogno di uscire fuori; il punto fondamentale è crearsi il proprio giro di amici e interagire semplicemente con loro. Il successo è stato strepitoso, con centinaia di milioni di utenti.
FF è invece nato come luogo per tenere traccia degli amici che si aveva già: in un mondo dove ognuno usa una pletora di servizi online – per dire, il mio profilo FF ne segna 19… – è comodo riuscire a raggrupparli tutti in un unico posto. Addirittura c’è la possibilità di farsi un “amico immaginario” per tenere traccia di quella persona. Il cazzeggio è nato solo dopo, come sottoprodotto; e soprattutto è usato in maniera completamente diversa. Uno può “lucchettare” i propri feed, lasciandoli visibili solo a chi si è deciso essere bravi/e ragazzi/e, e molti fanno così; ma le discussioni visibili non sono solo quelle degli amici, ma anche quelle dove gli amici hanno commentato; il che è logico, perché se tu vuoi sapere cosa ha detto X anche quelle sono “conversazioni”. Va così a finire che io, che sono iscritto ai feed di 28 amichetti, una mezza dozzina dei quali non condividono in realtà quasi nulla, credo di trovarmi più o meno tutto quello raccontato dalla solita cricca. Poi ci sono le “stanze”, dove si possono fare conversazioni private di gruppo un po’ come su IRC; concetto che mi pare manchi in FB, o almeno non sia così facilmente replicabile se non lavorando a basso livello sui permessi.
Tutto questo però è un consumo di nicchia, credo che tutti siano d’accordo: nessuno riesce a immaginare milioni di utenti su FF, e gli appassionati tendono a considerarsi parte di un’élite; magari sono anche su FB, ma giusto perché non si sa mai. Il vero amore è appunto FF.
Guardiamo però le cose dal punto di vista di chi ci mette i soldi – e assicuro che questi socialcosi costano l’iraddidio in banda e server, non è il mio semplice blogghetto. FF non fa guadagnare nulla; non che FB sia un generatore di bigliettoni verdi, ma ha iniziato da mo’ la virata verso la pubblicità, e magari tra un po’ riesce a raggiungere un break-even. È chiaro che un modello che vede solo spese non può durare all’infinito e che i fondatori di FF dovevano trovare un sistema per fare cassa. Magari non molta, se è vero che in quattro si divideranno 15 milioni di dollari cash e 32,5 in azioni FB, ma comunque una bella cifretta.
C’è una cosa molto più importante, però, e subito spunta l’ombra della Grande G – non per nulla i fondatori di FF arrivano da Google. Secondo Scoble, come riportato anche dalla BBC, la tecnologia FF per la ricerca di notizie in real time è di gran lunga la migliore sul mercato; e probabilmente una delle ragioni per l’acquisto da parte di FB è stata proprio questa tecnologia, mentre da parte di FF il timore per l’arrivo dell’annunciato Google Wave può avere convinto i fondatori che questo era il momento giusto.
Cosa succederà adesso? boh. Nemmeno i grandi esperti sono in grado di dare una risposta alla domanda “cos’è che rende un servizio di successo”, figuriamoci io. Tornando alla metafora zambardinesca, ci possono essere varie possibilità. Non credo che FF possa essere lasciato morire per inedia; anche se non vengono aggiunte funzionalità, lo zoccolo duro degli utilizzatori continuerebbe a usarlo fintantoché da qualche altra parte non creeranno qualcosa di meglio. Se comunque succedesse qualcosa del genere non ci sarebbero grossi problemi, esattamente come non ce ne dovrebbero essere troppi se FF diventasse una specie di laboratorio R&D per FB. Il negozio di delikatessen rimarrebbe insomma tale, e gli intenditori continuerebbero a frequentarlo anche se il padrone è un altro. Quello che però temo è un’eutanasia attiva, non certo per costringere gli utenti a migrare su FB – i numeri non cambierebbero – ma per evitare di “sprecare risorse” inutilmente. Ecco, spero che non sia il caso, ma tocco ferro. Invece la questione “mi prenderanno tutti i miei dati” non mi tocca per nulla. Io ho sempre usato FF per cazzeggio, di dati personali non ce ne sono, e quello che ci ho scritto è tranquillamente usabile da tutti. Non sono mai riuscito a essere troppo paranoico…
_Il gioco infinito_ (libro)
Raccolta di 22 racconti di fantascienza apparsi nel 1997, in questo libro (David G. Hartwell (ed.), Il gioco infinito [Year’s Best Science Fiction 3], Urania “Millemondi estate” 1999 [1998], pag. 430, Lire 9900, ISSN 977-1123076005-90020, trad. Antonella Pieretti) troviamo vari temi della SF della fine degli anni ’90. La qualità dei racconti, come sempre, è variabile: personalmente mi sono piaciuti “Piccolo zoo” di Gene Wolfe con la sua storia da ragazzi; “Trattato di accoglienza” di John C. Wright sulle enormi distanze dei viaggi stellari; “La voce” di Gregory Benson su un mondo futuro dove la gente si è dimenticata di leggere; “Storia d’amore in ufficio” di Terry Bisson, molto informatico; “Bellezza nella notte” di Robert Silverberg, in una Terra invasa da Entità aliene; il brevissimo “La signora Pallida” di Ray Bradbury; “La bella Verona” di R. Garcia y Robertson, dove le realtà virtuali interagiscono col mondo reale; “La Great Western” di Kim Newman, con una Gran Bretagna di un universo parallelo; il divertissement “Ricambio” di Geoffrey A. Landis; il bioterrorismo in “Il caso della lampada mendeliana” di Paul Levinson.
Per quanto riguarda la traduzione, mi sono rimasti dei dubbi: la prosa è troppo diversa in stile tra i vari racconti, e soprattutto in “Ragnetto bel ragnetto” mi ha dato l’impressione di essere incorsa in qualche cantonata.
pagamento faidaté
Ormai è abbastanza facile trovare supermercati in cui viene data la possibilità di far passare autonomamente i prodotti acquistati, evitando così la necessità di una cassiera che si sa costa parecchio e può anche decidere di scioperare o semplicemente dover fare la pipì. Non mi era però mai capitato di provare l’ebbrezza di un “self checkout” fino a sabato, quando Anna e io siamo andati all’Ikea di Carugate, abbiamo comprato un po’ di sciocchezzuole e siamo arrivati in cassa. Sì, era sabato quasi alle 14, ma era anche l’8 di agosto, e anche le casse presidiate da umani erano semivuote: ho comunque voluto vedere come funzionava l’ambaradan.
Devo averci messo circa il doppio di un cassiere non troppo sveglio, anche perché ci ho messo un po’ a capire qual era la distanza corretta per far passare il lettore ottico – che dev’essere un po’ presbite – e trovare il modo per fargli leggere le etichette “svolazzanti”, che devono essere tenute con le dita di una mano mentre l’altra avvicina e allontana il lettore. Il software è abbastanza ben fatto, anche se forse dovrebbe specificare subito che i sacchetti li pagherai dopo: io a dire il vero non ci avevo nemmeno pensato, ma Anna sì. Non ho provato l’opzione “digita il numero a mano”, visto che avevo sì un’etichetta illeggibile ma tanto avevo un altro oggetto uguale e ho fatto che ripassare il primo; alla fine nessuno ha controllato il nostro sacchetto, ma non potrei dire quale sia la frequenza della campionatura.
In definitiva, mi sa che sia una cosa utile solo nei momenti di Vero Casino, sperando la cosa non venga in mente a troppa gente.