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matematto non praticante

l’attenzione al cliente della gelateria Artico

Visto che oggi c’è la festa di fine anno in entrambe le classi dell’asilo, e in quella di Cecilia (che è per cena) bisognava portare qualcosa di “etnico” (anche gli italiani sono un’etnia…), Anna è stata amabilmente invitata a preparare un dolce. Ieri mi ha dunque chiesto di passare alla gelateria di via Porro Lambertenghi di cui al titolo per comprare tre etti di gelato alla stracciatella, oltre che una torta gelato perché ieri sera a cena sarebbe passato il mio amico Marcello. Bene, arrivo pedalon pedaloni, chiedo la torta e il gelato, e mi si risponde “ah no, la nostra vaschetta più piccola è da mezzo chilo”.

Ora, avrei capito se il gelato fosse stato già confezionato nella vaschetta. Avrei anche capito se riempendo in parte la vaschetta senza nessun indicatore di livello ne fossero stati messi tre etti e mezzo. Ma non c’era nessun motivo pratico per non darmi tre etti di gelato. Statene certi, io nella gelateria Artico non ci metto più piede.

INPS mi ha disabilitato il RID

Ho scoperto che il 29 aprile scorso INPS ha disabilitato il pagamento del riscatto dei contributi per i miei anni di università via RID.
La cosa è bellissima, considerando che quel RID era attivo da quasi quattro anni e INPS aveva preso i soldi una volta. Quando me ne sono accorto, ho iniziato a fare MAV su MAV, solo che non potevo mai sapere se per caso il flusso sarebbe ripartito e io avrei pagato doppio…

software e hardware

Ieri mi è arrivata nella casella di poosta aziendale una mail, dal contenuto «Gentile collega, t’informiamo che sul tuo personal computer è installato il sistema operativo Microsoft Windows XP, per il quale la Microsoft ha terminato il supporto sistemistico dall’ 8 aprile 2014 e, pertanto, non saranno più disponibili gli aggiornamenti software necessari per garantirne la protezione da virus ed attacchi informatici comportando potenziali rischi per la sicurezza dei dati aziendali. Per questo motivo procederemo ad aggiornare il sistema operativo del tuo personal computer a Windows 7.»
Tutto bellissimo, almeno in teoria: l’aggiornamento verrà fatto in remoto (avvisandomi con un certo anticipo), mi dicono che cercheranno di mantenere i miei file ma che è meglio salvarli su supporto esterno, eccetera eccetera. Peccato che questo povero PC abbia solo 2 giga di ram e stia già boccheggiando con XP, che abbia dei moduli RAM a quanto pare introvabili, e che da un anno io stia appunto aspettando che me lo portino a 4 giga. Secondo voi, quale sarà il risultato finale?

è vero, non sono commercianti

Non so se avete sentito gli alti lai da parte dei professionisti, che si lamentano perché tra una settimana (il 30 giugno) scatta l’obbligo di permettere il pagamento con il bancomat da parte di chi lo volesse, per acquisti superiori ai 30 euro. Finirà come al solito, immagino: che cioè gli onorari aumenteranno per ripagare il regalo alle banche che sono le commissioni di uso dei POS.

Detto questo, stamattina ci è capitato di andare in Triennale per portare i bimbi a vedere uno spettacolo all’aperto di burattini (prezzo: cinque euro per adulti, due euro per bambini), e ho scoperto che la biglietteria della Triennale obbliga a pagare in contanti. Ma certo, Milano è una città europea, e quindi hanno il terminalino per chiamare i taxi. Ovvio, no?

_Sei proprio il mio typo_ (libro)

[copertina] Prima di iniziare, un suggerimento: se non volete sembrare dei parvenu, ricordatevi che un Vero Tipografo non parlerà mai dei font, ma delle font, perché il nome deriva dal francese “fount”, e ha come corrispondente italiano “fonte”. Ma se prendete questo libro (Simon Garfield, Sei proprio il mio typo : la vita segreta delle font, Ponte alle Grazie 2012, pag. 362, € 22, ISBN 9788862205740, trad. Roberta Zuppet) lo imparerete sin dall’inizio, non preoccupatevi.
Le font sono ormai diventate onnipresenti, un qualunque word processor ve ne fa ormai usare decine e decine per non parlare di quelle liberamente scaricabili su svariati siti dedicati. Non che valga la pena usarne troppe: come il libro spiega bene, una font è ben fatta se non ci si fa caso quando si legge il testo. Il libro non vuole certo essere un manuale di tipografia: Garfield è molto più interessato a raccontare le storie dietro le principali font: alcune di quelle nate poco dopo l’entrata in uso in Europa della stampa a caratteri mobili, ma soprattutto quelle moderne e contemporanee. I capitoli denominati “intermezzo tipografico” hanno il primo paragrafo scritto nella font relativa; e nel corpo del libro ci sono almeno duecento nomi di font, tutte scritte col carattere corrispondente. Ma è forse più corretto dire che Garfield racconta anche le storie dei creatori delle font, perché spesso sono inscindibili; e racconta anche dell’evoluzione dei caratteri e di come il passare prima alla stampa in fotocomposizione e poi allo schermo del pc abbia cambiato le carte in tavola. Il libro è pieno di gustosissimi aneddoti, tradotti in modo spigliato ma allo stesso tempo tecnicamente corretto da Roberta Zuppet che è solo caduta nella definizione del Bell Centennial, che non è certo stato “creato per l’elenco telefonico della 100th Bell”! (vedi a pagina 76).
Cosa manca alla perfezione in questo libro? Beh, a parte che io avrei fatto almeno un accenno a METAFONT che è stato il primo vero esempio di creazione di caratteri assistita dal computer, mi sarebbe piaciuto vedere per le principali font trattate una tavola dei caratteri più importanti in corpo 28 o giù di lì, per poter apprezzare le piccole modifiche: sarebbe anche stato bello avere una carta meno porosa, sempre per accorgersi delle minuzie tra i vari caratteri. Ma non si può avere tutto dalla vita: già così il godimento è stato assoluto.

Cosa costa dire subito le cose?

Da un paio di giorni sentivo la ruota posteriore della bici ballare un poco. Ho innanzitutto pensato che fosse un problema di ruota non gonfissima: mercoledì sera mi sono messo di buzzo buono con la pompa, ma non è cambiato nulla. Giovedì mattina, finalmente, il mio neurone si è risvegliato e mi sono ricordato a che cosa corrisponde quel sintomo: un raggio rotto, cosa che mi capita abbastanza frequentemente anche quando Jacopo non decide di infilare il piede in mezzo alla ruota. Ero ormai arrivato in ufficio, e quindi ho pensato di lasciare la bici al ciclista lì davanti: visto che la sfiga ci vede benissimo, infatti, nel pomeriggio sarei dovuto andare a Monza dal dentista e non avevo l’auto a disposizione perché serviva ad Anna per portare i bimbi in piscina. Il ciclista però mi ha detto che non avrebbe potuto lavorarci fino a martedì: amen, ho detto io. Ho provato a telefonare al mio ciclista di fiducia, ma anche lui era pieno di lavoro e fino a martedì non avrebbe potuto fare nulla. A questo punto prendo le Pagine Gialle (online) e provo a telefonare a un ciclista in via Lecco: gli chiedo se mi possono cambiare il raggio in giornata e mi rispondono di sì.
Vado lì, consegno la bici e chiedo se riesce per caso ad aggistarla entro le 16, perché mi ci vuole un’ora per pedalare fino a Monza e ho l’appuntamento alle 17. Gli dico anche che mi serve saperlo per passare eventualmente al piano B, cioè treno più lunga camminata: il treno lo prendo sotto l’ufficio, e non ha senso andare e tornare. Nessun problema, mi risponde, lo segno sul foglietto. Pomeriggio, ore 15:40: esco per andare dal ciclista, arrivo e scopro che non ha nemmeno iniziato a lavorarci, anzi ne ha altre due da fare. Miei bestemmioni virtuali. e di corsa a prendere il treno.
Io rispetto la serietà ei due ciclisti che non mi hanno preso la bici. Ho il diritto di incazzarmi come una iena con l’altro? Bastava che mi dicesse “provo a farla per le 16 ma non garantisco nulla, mi chiami prima” e per me sarebbe stato perfetto. Invece no. Forse, invece che lamentarsi contro le vesazioni dello Stato (come stava facendo quando ero arrivato il mattino) sarebbe stato meglio iniziare dai fondamentali…

“ma io mi sono fermata!”

Per portare all’asilo i bimbi ne metto uno sul portapacchi della bici che porto a mano, mentre con l’altra mano tengo il secondo bimbo. Il corteo procede quindi a velocità ovviamente non eccessiva fino a metà circa del percorso, quando il bimbo che ha camminato viene messo sul portapacchi dopo avere fatto scendere l’altro. Il percorso prevede l’attraversamento dell’incrocio tra via Murat e via Populonia, dove il verde per il lato dove passiamo noi è piuttosto breve, per lasciare la possibilità al flusso delle auto dirette verso via Fermi e l’autostrada di passare.

Stamattina arriviamo al semaforo, che è verde per noi pedoni, e iniziamo ad attraversare. Dall’altra parte una [expletive deleted] su una Bmw bianca decide che aspettare che si accenda la freccia per svoltare a sinistra le farebbe rovinare la giornata e parte sgommando, anche perché dall’altra parte stavano passando anche delle macchine (ho sentito distintamente un colpo di clacson). Poi si accorge del terzetto che sta attraversando e inchioda. Io, che ovviamente ero ben attento alla situazione, le urlo “cogliona!” (mi spiace per i bimbi, ma d’altra parte devono imparare anche questo), faccio ancora due metri e mi fermo sulle strisce esattamente davanti a lei. Intanto la freccia a sinistra diventa verde e gli altri automobilisti svoltano: via Populonia è sufficientemnnte larga per far passare tutti tranquillamente, ed è per questo che mi sono permesso il lusso di fermarmi e costringerla a perdere il doppio del tempo che sperava di guadagnare con la sua intelligente manovra. Quando sono passati tutti e mi sono spostato verso lo spartitraffico centrale, ha ancora avuto il coraggio di dire “Ma io mi sono fermata!” Certo, volevi prenderci sotto tutti e tre?

(anche se il premio forse dovrebbe andare a quello che mentre poi passava ha detto “lasci stare, può succedere”. Certo, può succedere di essere messi sotto sulle strisce mentre si sta passando tranquillamente col verde…)

Si stava meglio quando si stava peggio

In una delle oziose discussioni che ogni tanto capitano su Friendfeed, è arrivata la domanda “ma chi è stato a usare per primo l’espressione ‘si stava meglio quando si stava peggio’?” Il consenso generale era che tale espressione fosse nata subito dopo la seconda guerra mondiale, da Leo Longanesi oppure Guglielmo Giannini (il fondatore dell’Uomo Qualunque).
Invece una ricerca su Google Libri ha recuperato questo pamphlet di Stanislao Bianciardi, un educatore e scrittore dall’interessante biografia: il testo in questione è datato 1868.
Che commento si può fare? “Nulla di nuovo sotto il sole” :-)