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matematto non praticante

_The Second Machine Age_ (libro)

[copertina] I due autori di questo libro presentano in questo saggio (Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, The Second Machine Age : Work, Progress, and Prosperity in a Time of Brilliant Technologies, W.W.Norton 2014, pag. 320, € 15,86, ISBN 9780393241259) una tesi molto forte e direi assolutamente minoritaria: che stiamo per entrare in una nuova Età dell’Oro, con un salto di qualità pari a quello che abbiamo avuto dalla fine del ‘700 a oggi grazie alla possibilità di avere energia a basso costo. In questo caso non parliamo naturalmente di energia quanto del fatto che con l’età digitale abbiamo di fronte un’opportunità mai vista per migliorare la vita di tutti noi, se solo sapremo vedere le cose in un altro modo.
Premetto subito una cosa: ritengo che il primo dei tre cambi di paradigma che secondo gli autori si stanno verificando, vale a dire la crescita esponenziale, non esista. Certo, la legge di Moore in questi decenni è stata verificata, ma ci vuole un atto di fede troppo grande per immaginare che continuerà ancora per qualche decennio: gli stessi autori sono costretti ad ammettere tra le righe che per farla funzionare in passato scienziati e ingegneri hanno dovuto inventarsi una mezza dozzina di sviluppi inaspettati a priori, e sperare che continuino ad esserci “cigni neri” (positivi) di questo tipo è davvero fideistico. Senza quel pilastro, la tesi del libro crolla; ma ciò non significa che il libro non sia interessante. Gli altri due cambi di paradigma (la digitalizzazione, che implica un costo iniziale per portare l’informazione dall’analogico al digitale ma poi permette il riuso a costo marginale virtualmente nullo; e la ricombinazione, che sposta l’accenno dal creare qualcosa di nuovo in assoluto al creare qualcosa di nuovo a partire dai mattoni che ci sono già) sono indubbiamente validi, ed è anche assolutamente corretta la loro spiegazione del perché nella nostra epoca “the winner takes it all”, mentre in passato anche un produttore subottimale aveva comunque una sua quota di mercato. In effetti se io costruisco oggetti fisici non ne posso fare più di tanti per unità di tempo, e quindi le seconde linee possono trovare spazio magari facendo pagare di meno; ma perché dovrei scegliere un oggetto virtuale inferiore, quando allo stesso prezzo ne posso prendere uno migliore e non c’è scarsità di oggetti migliori?
In definitiva, un libro che dà materiale per la mente.

Internet (mobile) rovina davvero la lettura :-(

Ieri è stato pubblicato il rapporto Nielsen “L’Italia dei libri 2011-2013”, una dettagliata ricerca che confronta come si è mossa l’Italia in questo triennio. Trovate per esempio alcuni (sconsolati) commenti su Dei libri passati presenti e futuri e Wuz: se vi interessa leggere il rapporto lo trovate dal committente, il Centro per il libro e la lettura.

Ho dato uno sguardo alle tabelle, e mi sono messo le mani nei capelli. In due anni la percentuale di persone che ha acquistato almeno un (1) libro in un anno è scesa dal 43% al 37%, e c’è stato un calo perfettamente parallelo (dal 49% al 43%) della percentuale di coloro che hanno letto almeno un libro nell’anno. Tralasciamo la distribuzione: i lettori forti, che hanno letto (non acquistato) almeno un libro al mese, sono 2,8 milioni (il 5% della popolazione) e corrispondono al 39% dei libri letti; per l’acquisto siamo a 2 milioni (4% della popolazione) che ha acquistato il 36% dei libri venduti in Italia. Nonostante gli alti lai, Internet conta solo per l’11% degli acquisti, esattamente quanto gli ipermercati – anche se immagino che il tipo di libri venduti sia un bel po’ diverso – contro il 35% di acquisti fatti in libreria.

Ma quello che mi hanno colpito di più sono le statistiche per titolo di studio. Nel 2011 il 75% dei laureati comprava – e leggeva – almeno un libro l’anno. Mi sembrava già una percentuale bassa, ma passi. In due anni la percentuale dei lettori è scesa al 60%, e quella degli acquirenti al 57%. La mia sensazione è che questa è tutta gente che magari ogni tanto una pagina la leggeva da pendolare, ma ora preferisce chattare col telefonino…

(ultime considerazioni: vedendo lo spaccato per genere degli acquisti librari capisco perché nessuno compri il mio libro cartaceo; vedendo poi la percentuale di lettori di ebook è chiaro che i nostri #40kmate sono invisibili :-( )

Attività

Oggi era la festa del papà, e quindi ero di corvée all’asilo, esercitandomi in tentativi di bilocazione per essere contemporaneamente in classe di Cecilia e in quella di Jacopo. Da Cecilia c’era da “fare l’attività”, leggi costruire una lanterna cinese (i bimbi quest’anno fanno il giro del mondo con il loro spaventapasseri, e ora siamo in Asia). Sulla lanterna occorreva scrivere il nome del bambino – e questo gliel’ho fatto fare a Cecilia – e il loro nome in cinese, courtesy del padre di Federico che è per l’appunto cinese. Io ci ho provato, ma secondo me il risultato è stato più vicino ad “asino chi legge”.

Via Pacifico Valussi – reprise

Ricordate la storia di via Valussi che avevo raccontato una decina di giorni fa? Un mio amico che lavora nello staff comunale (no, non faccio il suo nome) mi aveva detto che quei lavori hanno una garanzia di due anni, e di contattare l’assessore Rozza.
Io ho diligentemente copiato l’email e le ho scritto: risultato, zero. Non pretendevo di vedere lavori in corso, ma non ho ricevuto nessuna risposta, di nessun tipo, foss’anche “questo non è l’indirizzo corretto a cui scrivere”. Ma magari il mio amico l’ha fatto apposta e mi ha dato un’email farlocca :-)

_Il fantasma di Laika_ (libro)

[copertina]
Come capita spesso nella collana Millamondi, questa raccolta (David G. Hartwell e Kathryn Cramer (ed.), Il fantasma di Laika e altri racconti [Year’s Best SF 17], – Millemondi 64 (estate 2013), pag. 479, €7,50, EAN 977-1123076005-30064) è la traduzione dell’anglofona Year’s Best SF che, come dice il nome stesso, contiene una selezione di racconti pubblicati nel 2011.
La fantascienza contemporanea è molto diversa da quella a cui sono abituato: non solo nei temi, ma anche perché molti racconti non vengono pubblicati nelle riviste ma nei siti. Inoltre la componente femminile è molto cresciuta; non ho verificato se raggiunge o addirittura supera la metà del testo (mica sono interessato alle quote rosa) ma credo siamo lì.
Tra i racconti che mi sono piaciuti di più ce ne sono un paio per così dire classici su robot e IA: Dolly di Elizabeth Bear e La cosa più simile di Genevieve Valentine. Vincoli, di Mercurio D. Rivera, è sulle razze aliene. Neil Gaiman scrive uno scherzetto, Obediah il disinventore; Il nostro candidato di Robert Reed è fin troppo realista; Casa dolce biocasa di Pat MacEwen è infine davvero contemporaneo – e carino.

I conti corti di Brunetta

È assolutamente lecito avere dei dubbi sulla capacità del governo Renzi di trovare i soldi di cui ha bisogno per tutte le sue riforme. È anche assolutamente lecito lamentarsi di dove Renzi ha deciso di trovarli, quei soldi. Fin qui tutto bene.
Però l’ex ministro Renato Brunetta, forse un po’ intontito dalla primavera che sta arrivando, ha perso una buona occasione per prendere la calcolatrice prima di mettersi a parlare. In quest’agenzia di ieri sera (ah, grazie a Phastidio per averlo segnalato!) Brunetta scrive che «Dai dati dell’Agenzia delle entrate risulta che, con l’aliquota del 20%, nel 2013 il gettito derivante dalle imposte sugli interessi da azioni e obbligazioni e sui capital gains e’ stato pari a circa 13 miliardi. Portando l’aliquota al 26%, come dice di voler fare Renzi, si reperiscono risorse per non piu’ di 780 milioni (6% di 13 miliardi). Come si giunga alla cifra indicata dal presidente del Consiglio (2,6 miliardi) rimane un grande mistero.»

Avete trovato la soluzione del mistero? È semplicissimo. Se si porta l’aliquota dal 20% al 26% il gettito ulteriore non aumenta del 6% ma molto di più. Lo si vede ad occhio pensando di portare l’aliquota dal 20% al 40%, cioè raddoppiandola; il gettito allora non aumenterà del 20%, ma appunto raddoppierà. Facendo i conti della serva, se un’aliquota del 20% dà 13 miliardi significa che l’imponibile era di 65 miliardi; il 26% dà 16,9 miliardi e la differenza è quindi di 3,9 miliardi. (Poi non tutto il gettito probabilmente vedrebbe l’aumento, e dunque quello previsto è solo i due terzi di quello indicato). Più che di finanza creativa, insomma, io parlerei di aritmetica creativa…

Carnevale della matematica #71: GOTO Dropsea!

Vi ricordate che oggi, 14 marzo, è il Pi Greco Day? No? Ma almeno vi ricordate che è il giorno del Carnevale della Matematica? Il numero di marzo 2014 (il settantunesimo…) è ospitato da Gianluigi Filippelli nel suo Dropsea. Andate subito a vederlo, perché di roba ce n’è davvero tanta!

ah, le tutele

Ieri, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del Decreto Legislativo 21 febbraio 2014, n. 22, è diventata Legge dello Stato l’allungamento da 50 a 70 anni dei diritti d’autore sulle esecuzioni, come spiega bene Altalex. In pratica, la creazione di un’opera era già tutelata da copyright per settant’anni dopo la morte dell’autore; la sua esecuzione era invece tutelata “solo” per cinquant’anni dalla prima pubblicazione, e ora lo è per settanta.
La colpa non è del nostro – vecchio o nuovo che sia – governo: la legge è il semplice recepimento, col solito ritardo, della direttiva europea 2011/77/UE che a sua volta modificava la direttiva 2006/116/CE. Il nostro compito è stato insomma tradurre la “legge Beatles” (chi è che cinquant’anni prima del 2012 ha iniziato a incidere dischi?) nell’italico burocratese, dove abbiamo i fonogrammi che non ho ben capito cosa siano.
Immagino che tra una quindicina d’anni il diritto d’autore sulle esecuzioni passerà a 99 anni… il tutto, come dice la relazione sulla legge, ovviamente perché «l’attuale durata della protezione del diritto d’autore (50 anni) era insufficiente a proteggere l’esecuzione per l’arco della vita degli artisti». Ecco: potremmo almeno chiedere di non essere presi per i fondelli? Se io muoio prima, i diritti si perdono? o vanno a figli e nipoti? A leggerlo così si direbbe di no, ma non è nemmeno detto. Ricordate: quando si parla di diritto d’autore quelli che contano non sono gli autori.