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La scorsa settimana un giudice russo ha condannato Google a pagare 20.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000 di dollari. (Il Post scrive che sono 20 decilioni perché sono filoamericani e usano la scala corta, dove 1000 milioni sono un bilione; dal mio punto di vista, che come da legge italiana usa la scala lunga e un bilione sono un milione di milioni, si parla “solo” di 20 sestillioni). Come è possibile? Semplice. Le multe di partenza, dovute secondo la legge russa perché Google aveva eliminato dei canali filorussi da YouTube, erano di 1000 dollari circa; ma il dispositivo della legge implicava un raddoppio per ogni settimana di inottemperanza, e a furia di raddoppiare si è arrivati a quella cifra. Non che cambi molto: il massimo che la Russia può fare, se non l’ha già fatto, è bloccare l’accesso a Google nel suo territorio, ma tanto non è che a Mountain View potevano fare soldi con la pubblicità da quelle parti. Diciamo che è solo una questione di principio per far vedere chi ce l’ha più lungo (il foglio di carta dove scrivere il totale, claro).
La cosa che trovo interessante è che i legislatori russi non paiono conoscere la leggenda dell’inventore degli scacchi, che chiese come premio di partire da un chicco di riso sulla prima casella della scacchiera e man mano raddoppiare il numero nelle caselle successive: e dire che questa leggenda è notissima, tanto che anche Dante la cita nella Divina Commedia. In Europa le multe massime vengono calcolate come percentuale del fatturato, e proprio per questo sono molto più preoccupanti per i colpevoli, visto che si sa che possono effettivamente essere richieste. È triste che in una delle nazioni dove nel XX secolo si è fatta più matematica si siano ridotti così.



[Disclaimer: Ho ricevuto il libro grazie al programma Early Reviewer di LibraryThing] Il titolo spiega già tutto: il racconto è una rivisitazione in chiave fantascientifica della favola dei nuovi vestiti dell’imperatore. La storia però non funziona proprio. Non si capisce come mai il protagonista fosse da solo, né per quanto tempo lo sia stato (e questo significa molto nella trama); il ruolo della donna non è chiaro, e l’ultima pagina sembra incongrua. È vero che il racconto è breve, ma non è TROPPO breve, e ci sarebbe stato tutto lo spazio per svilupparlo un po’ di più.
Bisogna dire che i giudici italiani sono coerenti. Anche nella causa per l’uso non autorizzato dell’immagine del duca d’Este su un aceto balsamico, la corte d’appello di Bologna
Leggo che la Soprintendenza di Milano si è opposta