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matematto non praticante

Funerali e domenica

Stamattina ho sentito della diatriba sull’ordinanza della sindaca Appendino per la domenica senz’auto, ordinanza che non avrebbe permesso di far girare i carri funebri. Il mio primo pensiero è stato “ma di domenica mica si fanno funerali!” al che Anna mi ha subito zittito rammentandomi che non si fanno funerali cattolici, ma per un musulmano la cosa può essere diversa: e in effetti se non ricordo male il funerale per un islamico dovrebbe essere tenuto entro 24 ore dalla morte. Non so come funzionino effettivamente le cose, ma sicuramente ho peccato di pregiudizio.

Detto questo, l’articolo della Busiarda dice qualcosa di diverso, però. Ecco la citazione (grassetto nell’originale):

«Una querelle si è aperta ieri a proposito dei mezzi in dotazione alle imprese di pompe funebri, che chiedevano di estendere la deroga valida per i carri funebri anche agli altri mezzi di loro proprietà. Questo perché di domenica non si celebrano funerali (dunque niente carri) ma il personale delle onoranze funebri si deve muovere per trasportare attrezzature a casa dei defunti o nelle camere mortuarie degli ospedali.»

Le cose insomma sono ben diverse da quello che avevo sentito per radio. Quello che invece non cambia da una giunta all’altra è che l’opposizione si lamenta sempre a prescindere: stavolta è il capogruppo PD a cavalcare l’onda della protesta…

Scrivere dall’oltretomba

Grazie ai buoni uffici di MediaLibraryOnLine, sto leggendo Domare l’infinito di Ian Stewart. A un certo punto mi sono trovato questa frase:

In seguito, Fermat intraprese le sue ricerche; le mise per iscritto nel 1629 ma le pubblicò soltanto cinquant’anni dopo, con il titolo di Ad locos planos et solidos isagoge.

Tutto molto bello, se non fosse per il fatto che cinquant’anni dopo il 1629 siamo nel 1679 e Fermat morì nel 1665. Ora, al giorno d’oggi non è strano pubblicare da morti, e anche tornando indietro nel tempo non ricordo per quanti anni dopo la sua morte vennero pubblicati articoli di Eulero. Però spero che voi concordiate con me che un conto è avere pubblicata una propria opera, altra cosa è pubblicarla

Detto questo, mi affretto ad aggiungere che il testo originale recita

Having done this, Fermat embarked upon his own investigations, writing them up in 1629 but not publishing them until 50 years later, as Introduction to Plane and Solid Loci.

e quindi quello che ha scritto per primo la castroneria è stato Stewart. Ma è anche vero che io, nel caso avessi tradotto il libro, avrei silenziosamente corretto la frase in “furono pubblicate”. Un traduttore ha degli obblighi morali nei confronti dei suoi lettori. In fin dei conti il titolo del libro era già stato giustamente riportato alla lingua originale di pubblicazione…

TAP e ulivi

Lunedì scorso il Consiglio di Stato ha sentenziato che la valutazione di impatto ambientale sul gasdotto TAP è stata fatta correttamente. La notizia è stata accolta con la consueta alzata di spalle da attivisti no-TAP e governatore Emiliano, e immagino che si ricomincerà la Grande Lotta Popolare per evitare l’espianto dei 231 (duecentotrentuno) ulivi secolari sul percorso del gasdotto.

Anche ammesso che gli ulivi non potranno essere ripiantati (in loco o altrove), mi pare di ricordare che quelli infestati dalla xylella siano molti, molti di più: aggià, ma quelli infatti non sono stati tolti, perché basterà eliminare le scie chimiche e risorgeranno più belli che pria. La mia impressione è però che la diatriba non sia tanto ambientalista quanto politica, esattamente come per il referendum dello scorso anno voluto dalle regioni per forzare la mano contro lo stato.

In difesa del ministro Poletti

Tra i ministri del governo Renzi-Gentiloni, Poletti non è forse tra i migliori. Beh, diciamo che l’applicazione del metodo Cencelli a una coalizione un po’ raffazzonata in un tempo storico in cui si privilegia l’apparire al fare non ha dato risultati eclatanti. Ma a parte le litoti, Poletti assurge spesso agli onori della cronaca per le sue uscite, e ieri è successo di nuovo: tutti a lamentarsi su Facebook per il suggerimento del ministro di giocare a calcetto (con le persone giuste) per trovare lavoro anziché studiare. Sarebbe stata la rovina per quelli come me che odiano il calcio: mi veniva quasi da chiedere se potevo almeno passare alla pallacanestro.

Poi stamattina a Radio Popolare ho sentito esattamente cosa ha detto, e non è esattamente così. Poletti ha rimarcato una cosa che è ovvia non solo in Italia ma anche all’estero: più che i curricula, il “rapporto di fiducia” che è alla base del rapporto di lavoro lo si trova giocando a calcetto. Come vedete, lo studiare non entra proprio nel discorso, e immagino sia dato per scontato. D’altra parte tutti coloro che si lamentano delle frasi di Poletti non hanno che da andare a fare e vincere un concorso, dove non contano né il calcetto né i curricula.

Alla fine del servizio radiofonico, però, ho forse capito la ragione di tanto odio. Nel campo politico si solo lamentati i transfughi PD (che hanno trovato lavoro cominciando a fare i portaborse) e i pentastellati (che l’hanno trovato scrivendo a beppegrillo™). Nemmeno loro giocavano a calcetto.

Denunce sociali (network)


Io non so chi sia la signora Gentilini e non so quale sia la sua storia: già in genere fuggo via dal clickbaiting, se poi devo vedere un video non ne parliamo. Ma l’idea che per fare una denuncia (sociale, immagino) qualcuno decida di pagare per un post sponsorizzato su Facebook mi sconcerta.

Quizzino della domenica: doppio esagono magico

Nella figura qui sotto si possono vedere due esagoni concentrici, uno grande e uno piccolo, e tre diagonali di cinque elementi. Finite di riempire la figura usando i numeri da 1 a 13 senza ripetizioni per avere alla fine che in tutte e cinque quelle linee (esagoni e diagonali) la somma delle cifre presenti sia 39.

(un aiutino lo trovate sul mio sito, alla pagina http://xmau.com/quizzini/p246.html; la risposta verrà postata lì il prossimo mercoledì. Problema di Nadejda E. Dyakevich, da Wordplay)

_Geometria e caso_ (libro)

Henri Poincaré è stato l’ultimo grande fisico matematico dell’Ottocento. Nonostante questo, e le sue intuizioni come quelle sulla teoria del caos che sono state riprese solo mezzo secolo dopo la sua morte, non ha lasciato una sua scuola; la strage di matematici francesi nella prima guerra mondiale e il successivo avvento del gruppo Bourbaki ha spostato l’accento dalle considerazioni geometriche di Poincaré a un formalismo molto spinto. Claudio Bartocci nella sua lunga introduzione a questo libro (Henri Poincaré, Geometria e caso : Scritti di matematica e di fisica, Bollati Boringhieri 2013 [2005], pag. 214, € 12, ISBN 9788833924854, a cura di Claudio Bartocci) fa un bel lavoro per collocare Poincaré nella sua epoca, anche se almeno nel primo e nell’ultimo brano chi non è matematico può trovarsi a mal partito nel seguire il filo del discorso. Sono più interessanti in effetti i brani più divulgativi e fisici: chi come me si è sempre trovato davanti la fisica come una serie di formule e formulette prova un certo qual piacere a scoprire che in fin dei conti le leggi derivano da un lungo lavoro mentale. Il caso? Beh, è trattato molto di sguincio. Anche se Bartocci afferma che Poincaré potrebbe essere considerato un precursore della teoria del caos, la cosa non traspare molto dal testo: si può leggere solo un articolo con considerazioni teoriche e qualche accenno al modo in cui la termodinamica sfrutta il caso. Per la geometria invece la spiegazione è più chiara: il grande matematico usava per quanto possibile la sua intuizione geometrica per arrivare alle soluzioni in maniera non ancora a prova di errore ma sicuramente con un grande passo in avanti.

il non-costo del lavoro

L’otto marzo scorso il presidente di Tim Giuseppe Recchi è stato convocato in Parlamento per un’audizione sulle “prospettive industriali del Gruppo TIM, sulla tutela dei lavoratori del Gruppo e delle aziende dell’indotto”. A quanto pare le domande previste erano molte, quindi a parecchie di esse è stata data risposta scritta in un secondo tempo.

Una di queste domande era «Che impatti ha sul conto economico la disdetta degli accordi del 2008?»: accordi che – stante una precedente risposta di Recchi – non riguardavano né il primo né il secondo livello di contrattazione, e quindi in realtà non esistevano affatto: questo è probabilmente il motivo per cui la risposta usa il condizionale: «La disdetta degli accordi impatterebbe sul costo del lavoro (oltre 2500 mln/euro) per un max di 12 mln.» (in realtà la risposta è più articolata: secondo Recchi quei soldi sono stati rimessi in circolo come «piano di incentivazione che premierà gli apporti individuali del personale di produzione interessato dalla citata disdetta.», da cui il condizionale)

Non entro nel merito dell’affermazione, perché non ho competenze in merito: così ad occhio, l’abolizione del mancato rientro in sede per i tecnici corrisponde però a quella cifra. Non conto nemmeno i tagli ai rimborsi per i costi di trasferta, sempre perché non saprei quantificarli. Però una cosa riesco a notarla. Visto che gli accordi disdetti prevedevano due giorni di ferie e dodici ore di permesso (che come scrissi derivavano dal vecchio contratto ante 2000), in pratica lavoreremo l’1,6% di ore in più l’anno. Il costo del lavoro in Telecom nel 2015 è stato di 2,347 miliardi. Si può immaginare che la produttività aumenti della metà di quella cifra (nel senso che metà del costo del lavoro va in contributi e tasse), quindi ci sarebbero quasi venti milioni che Recchi si è dimenticato di considerare. Toh.