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matematto non praticante

L’utilità dei bagnini

Ieri eravamo in spiaggia, io e Anna sulle sdraio e il duo sugli scogli del frangiflutti, a una trentina di metri dalla spiaggia. Per un po’ se ne sono stati a disturbare un povero pescatore, poi sono scesi più in basso. A un certo punto sento degli alti lai con una voce che riconosco: era Jacopo che strillava come un ossesso perché era scivolato e si era ferito al torace (nulla di profondo, solo tanta scena come si vede dalla foto). Io non sarei stato di nessun aiuto, ammesso che fossi riuscito a nuotare fino a là, così Anna è andata a prenderlo e a convincerlo a rientrare nonostante il dolore dell’acqua salata sulla ferita: dopo un po’ si è scocciata, è ripartita e il giovyne l’ha seguita mesto a ruota. (Non preoccupatevi, oggi era di nuovo in acqua).

In tutto questo è brillato il ruolo del bagnino. Non dico che sarebbe dovuto andare lì, in fin dei conti c’era mia moglie. Ma magari chiedere se c’era bisogno di qualcosa, una volta che sente le urla di qualcuno, magari sì (la sua postazione era alla nostra stessa distanza). Invece niente di niente. A che diavolo servono allora?

Numeroni!

Su Repubblica di oggi Andrea Bonanni parla di come la crescita del Pil italiano superiore alle attese non basti, e fin qui anche noi possiamo essere d’accordo. Quello su cui io ho dei forti dubbi è uno dei punti del suo ragionamento, che riporto qui (grassetto mio):

Con grande intelligenza politica, il ministro Padoan ha già concordato a giugno con la Commissione uno “sconto” sulla prossima manovra, che la riduce dallo 0,6 allo 0,3 per cento del Pil. Questo accordo, verosimilmente, sarà mantenuto. Va da sé però che lo 0,3 per cento di un Pil aumentato rappresenta una cifra superiore a quella che era stata preventivata a giugno.

Mamma mia! Chissà quanti soldi in più dovranno essere recuperati! Proviamo a fare un conto spannometrico? Il Pil italiano è 2000 miliardi (un po’ meno, in realtà). Passare dall’1% all’1,5% di crescita del Pil significa avere 10 miliardi in più. Lo 0,3% di questi 10 miliardi sono 30 milioni. Questi sono i tanti soldi di cui Bonanni si preoccupa: una cifra che viene banalmente naecosta accrescendo appena il gettito previsto da qualche imposta.

Però volete mettere il pericolo percepito?

Buche delle lettere

Chiavari (GE). Dovevo spedire una cartolina (per il frenf.it). Il tabaccaio dove lunedì ho comprato cartolina e francobollo non ha una buca delle lettere vicino, e fin qui nulla di troppo male: andrò in posta.
Oggi pomeriggio passo dall’ufficio postale in Rupinaro, giustamente chiuso essendo pomeriggio. Quello che non è così giusto è che sui muri dell’ufficio non ci sia nessuna buca delle lettere.
Capisco che si fa più soldi a vendere la quaunque, e che il servizio postale è coooosì antiquato: ma non gli pare di esagerare?

_Renascence_ (ebook)

(disclaimer: ho ricevuto questo libro via LibraryThing Early Reviewers)

L’idea alla base del libro (Leigh Goodison, Renascence, Sheffield Publications 2017, pag. 243, € 0,99) è interessante, anche se non troppo originale: la Terra sta morendo, e alcuni giovani sono inviati nello spazio per trovare sostanze che potranno essere usare per far rinascere il pianeta. Peccato che il risultato sia deludente.

La sospensione dell’incredulità che occorre per leggere il titolo è molto alta, partendo dai viaggi galattici che dovrebbero avvenire tra pochi anni e arrivando all’invalidamento della teoria della relatività. Ma in fin dei conti questa è fantascienza e non ho nessun problema ad accettare queste premesse, se la storia funziona. Questo purtroppo non è il caso. I primi capitoli sembrano scritti per dei bambini che non sanno nulla; d’accordo preparare lo sfondo del libro, ma è molto meglio aggiungere man mano i particolari nel corso del testo anziché fare una specie di testo da sussidiario. L’OWL, il consiglio che regge quello che è rimasto il pianeta, è necessario per la trama ma rimane una specie di deus ex machina; si accenna ad alcune possibili liti interne (sempre necessarie alla trama) in maniera inconcludente. Il personaggio di Lucian è inutile, ma viene ogni tanto rievovato. Reynard è presentato in vari modi diversi, con un cambio netto da un capitolo all’altro e senza nessuna spiegazione – almeno che io abbia capito – di quali siano le sue vere motivazioni. L’unico personaggio con un minimo di spessore è la protagonista Zeta. Il risultato finale è che ho trovato davvero difficile seguire la storia, perché non sono mai riuscito a farmi un’idea di dove l’autrice voleva arrivare.

Laura Boldrini e le vie legali

La presidente della Camera Laura Boldrini ha deciso che comincerà a passare alle vie legali contro coloro che continuano a insultarla via Facebook.

Primo mio pensiero: ma allora non serviva fare chissà quale legge ammazzainternet come continuavano a dirci? Si poteva fare già con le leggi attuali? (Il pensiero è retorico, lo sapevo perfettamente come lo sapevamo in tanti. E presumo lo sapessero anche parecchi politici)

Secondo mio pensiero: poteva decidersi molto prima. Quando si è una delle prime cariche dello Stato si ha il dovere di proteggere non solo il proprio nome, ma anche quello della carica. Il fatto che la stragrande maggioranza di quelli che scrivono e diffondono certe sconcezze siano dei minus habens è irilevante; al più in sede penale si potrà concedere loro le attenuanti generiche in quanto parzialmente incapaci di intendere e volere.

Terzo mio pensiero: Boldrini fa bene a non oscurare i nomi di chi scrive. Io lascerei addirittura i link alle loro pagine Facebook, ma si sa che sono un iconoclasta. Non è per mettere queste persone alla gogna: tanto – vedi il punto sopra – non se ne accorgerebbero nemmeno. Trent’anni di imbarbarimento ci hanno portato a questo. Ma almeno potrei scoprire qualcuno da evitare.

Ps: anche se si fosse del tutto contrari a quanto faccia Boldrini, c’è modo e modo per dirlo.

Pastone

Ieri sera mi è capitato per caso di avere la tv accesa e sintonizzata su un telegiornale (il tg3 delle 23 o giù di lì). A dire il vero io stavo leggendo, ma non ho potuto fare a meno di accorgermi che continua ad esserci l’abitudine del pastone politico, anzi dei pastoni perché ce ne sono stati due su due diversi argomenti, che non ricordo nemmeno.
Mi rammentavo dei pastoni di venti anni fa: una sfilza di dichiarazioni dei vari esponenti dei vari gruppi politici, in un ordine che è rigidamente stabilito secondo qual è l’attuale governo (il famigerato “panino”) il tutto accoppiato da immagini di repertorio del relativo esponente. Dopo quattro lustri non è cambiato nulla se non che forse ci sono più politici. Quello che però non capisco è se effettivamente ci sono telespettatori che stanno a sentire questo trito teatrino, oppure è solo un tributo da pagare alla politica.

_Punto : Fermiamo il declino dell’informazione_ (libro)

«Quod est post-veritas?» Chissà se Ponzio Pilato avrebbe potuto pronunciare questa frase dopo aver udito la narrazione delle gesta di quell’ennesimo profeta ebreo che però a differenza dei precedenti sembrava essere particolarmente odiato dalle autorità religiose locali. Diciamocelo: mentire è un’attività nella quale noi tutti siamo particolamente versati, ma in questi ultimi anni sembra che essa sia giunta a un livello ancora superiore, tanto che si è sentito il bisogno di coniare un nuovo termine di stampo orwelliano.
Ecco che Paolo Pagliaro, in questo breve saggio (Paolo Pagliaro, Punto: Fermiamo il declino dell’informazione, Il Mulino – Voci 2017, pag. 127, € 12, ISBN 9788815270498), ci offre una panoramica di cosa è cambiato: i grandi attori di Internet come Google e Facebook hanno sottratto pubblicità ai media tradizionali che sono stati costretti a inseguirli nel propalare narrazioni – il famigerato storytelling – anziché fatti; nel frattempo la politica, che già di suo non è mai stata così amante della verità, si è gettata a pesce nel nuovo paradigma di (dis)informazione. Pagliaro ci fa notare come tutto ciò dipende in prima battuta dall’unica cosa che è rimasta costante se non in calo in questa epoca di ipertrofia dell’informazione: la nostra attenzione, che è quindi diventata un bene prezioso e viene catturata sparandole sempre più grosse nella speranza che noi ci fermiamo per qualche secondo in più (e vediamo qualche banner pubblicitario, ça va sans dire).
Ecco: una pecca del libro è che anche Pagliaro è inconsapevolmente cascato nello stesso peccato che ha giustamente presentato. Nel testo sono mostrate tante fake news, raccontate molto bene e affiancate a quello che è davvero successo. Ma sarà proprio così? Una delle regole – di fondamentale buon senso – presentate nel libro per evitare di fare da cassa di risonanza dice di diffidare di una notizia se non c’è l’indicazione dell’autore o della fonte. Io mi sarei aspettato una sezione finale di note con una sfilza di riferimenti a quanto scritto: invece la bibliografia (solo cartacea, come se la carta fosse sinonimo di qualità) non ne riporta traccia. La speranza è che il lettore si sia così tanto appassionato da diventare un detective e cercarsi da solo le confutazioni qui presentate (e accorgersi delle imprecisioni, come la data della definizione di post-truth come parola dell’anno da parte dell’Oxford Dictionary o la definizione di Eric Schmidt che si riferiva alla produzione di informazione fino al 2003). Ma in quanti lo faranno?