Ieri eravamo in spiaggia, io e Anna sulle sdraio e il duo sugli scogli del frangiflutti, a una trentina di metri dalla spiaggia. Per un po’ se ne sono stati a disturbare un povero pescatore, poi sono scesi più in basso. A un certo punto sento degli alti lai con una voce che riconosco: era Jacopo che strillava come un ossesso perché era scivolato e si era ferito al torace (nulla di profondo, solo tanta scena come si vede dalla foto). Io non sarei stato di nessun aiuto, ammesso che fossi riuscito a nuotare fino a là, così Anna è andata a prenderlo e a convincerlo a rientrare nonostante il dolore dell’acqua salata sulla ferita: dopo un po’ si è scocciata, è ripartita e il giovyne l’ha seguita mesto a ruota. (Non preoccupatevi, oggi era di nuovo in acqua).
In tutto questo è brillato il ruolo del bagnino. Non dico che sarebbe dovuto andare lì, in fin dei conti c’era mia moglie. Ma magari chiedere se c’era bisogno di qualcosa, una volta che sente le urla di qualcuno, magari sì (la sua postazione era alla nostra stessa distanza). Invece niente di niente. A che diavolo servono allora?

«Quod est post-veritas?» Chissà se Ponzio Pilato avrebbe potuto pronunciare questa frase dopo aver udito la narrazione delle gesta di quell’ennesimo profeta ebreo che però a differenza dei precedenti sembrava essere particolarmente odiato dalle autorità religiose locali. Diciamocelo: mentire è un’attività nella quale noi tutti siamo particolamente versati, ma in questi ultimi anni sembra che essa sia giunta a un livello ancora superiore, tanto che si è sentito il bisogno di coniare un nuovo termine di stampo orwelliano.