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matematto non praticante

_il GGG_ (film)

Con un’insolita rapidità (e riuscendo a entrare in un UCIcinema dopo i titoli di testa…) abbiamo visto Il GGG, uno dei rari esempi in cui la traduzione italiana di Big Friendly Giant è riuscita meglio dell’originale.
Avevo già letto il libro, la storia la conoscevo: posso dire che Spielberg l’ha seguita perfettamente all’inizio e alla fine, mentre la parte centrale è servita più che altro a mettere un po’ di effetti speciali in più e togliere un po’ del noir che Roald Dahl piazzava sempre. Non aspettatevi troppe strizzate d’occhio agli adulti, come ormai è d’uso nei film per bambini: in questo caso il target sono chiaramente i più piccoli, ma tutti si divertiranno comunque di gusto.

_Il cuore del potere_ (libro)

Raffaele Fiengo è stato per decenni giornalista al Corriere della Sera, e di cose ne ha viste passare sin troppe. Raccoglie ora in questo libro (Raffaele Fiengo, Il cuore del potere, Chiarelettere 2016, pag. XIX-393, € 19, ISBN 9788861908734) alcuni degli avvenimenti peggiori capitati in via Solferino, dall’arrivo della P2 alle due defenestrazioni di De Bortoli, con una via di mezzo tra visione personale e fatti pubblici. La prima parte, con appunto questo racconto, mi è parsa piuttosto ingarbugliata, con Fiengo che ripete pari pari le cose a distanza di un paio di pagine e una prosa che ogni tanto diventa così involuta da farmi leggere l’opposto di quello che evidentemente voleva significare. La mia sensazione è che abbia scelto di pubblicare in fretta e furia, senza riguardare le bozze buttate giù di getto. Molto meglio la seconda parte, dove allarga lo sguardo al di fuori del Corriere cercando di far capire come i condizionamenti alla stampa possano arrivare da più parti e svelando alcuni segreti sulla composizione di un quotidiano; anche i documenti in appendice sono utili. Alla fine si apprezzano le informazioni trovate, ma si resta con l’amaro in bocca per il loro confezionamento non certo ottimale. (Ah: potete tranquillamente saltare l’introduzione di Alexander Stille)

l’app di PosteItaliane

Ieri in pausa pranzo, oltre che andare in palestra, dovevo spedire una raccomandata (la disdetta della carta di credito corporate, visto che non capisco perché pagare 32 euro l’anno quando la mia banca me la offre gratis. Non capisco nemmeno perché uno debba restituire la carta tagliata a metà quando basta semplicemente bloccarla lato emittente, ma questa è un’altra storia). Arrivato all’ufficio postale scopro che era strapieno, e avevo nove persone davanti a me. Vabbè, mi dico, è giunto il momento di installare l’app di PosteItaliane e prenotare il mio turno. Installo, scopro che tra i permessi che chiede manca solo quello di scoprire il mio numero di mutande, seleziono l’ufficio postale, e scopro che non posso prenotare per le 13:40 ma solo per le 13:20, evidentemente perché hanno paura che ci debba mettere così tanto tempo da far loro sforare l’orario di chiusura. Mi arriva il numerino di prenotazione e mi si dice di mostrare il QRcode all’emettitrice dei numeretti. Vado in palestra, mi scapicollo per arrivare in tempo, avvicino il furbofono all’emettitrice… e non succede nulla. Per sicurezza prendo un numeretto “normale”, arriva e mi dice che non c’è nessuno in coda. Intanto do un’occhiata al tabellone e scopro che il “mio” numeretto di prenotazione è stato chiamato. Ok, vado col furbofono, spedisco la mia raccomandata e via. Magari sono io che ho capito male, penso.
Solo che poi un’ora dopo ho aperto di nuovo l’app che mostrava che avevo una prenotazione in corso, quella che avevo appunto fatto. Prenotazione evidentemente scaduta, ma che ho dovuto cancellare io esplicitamente. Posso anche ammettere di stare invecchiando, e che comincio ad avere dei problemi con le app; ma a questo punto qualcuno mi spiegherebbe come funziona?

Perché Mentana ce l’ha con l’anonimato in rete?

Enrico Mentana è generalmente noto al mondo dell’internette per la sua capacità di fare dirette televisive chilometriche e per il “blastare” i commentatori utonti che commentano in maniera beota i post che lui scrive su Facebook. Ma uno dei pallini di Mentana è l’obbligare chiunque posti su Internet a farlo con nome e cognome, e ogni tanto riprende questa sua solitaria battaglia.

Sarebbe facile rispondere alla sua domanda retorica “Perché in un social network di un paese democratico dovrebbe essere garantito l’anonimato?” dicendo che se il paese diventa non democratico l’anonimato non verrebbe certo ripristinato, ma sarebbe barare. Per come la vedo io, il punto è sostanzialmente diverso. Innanzitutto, non è poi vero che ci sia tutto questo anonimato: nel caso ci siano minacce reali (mi piacerebbe scrivere “REATO PENALE!”, ma in pochi capirebbero la battuta) basta fare denuncia. A questo punto la polizia postale ha la possibilità di raccogliere tutti i dati e non ha grandi problemi a risalire a chi ha pubblicato queste minacce. Certo, uno davvero bravo riuscirebbe comunque ad anonimizzarsi, ma questo lo farebbe in ogni caso, anche se ci fosse l’obbligo di presentarsi con le proprie generalità. Certo, lo stato se volesse potrebbe anche costringere i provider a bloccare questo tipo di accessi: in Cina per esempio lo sanno fare molto bene, e credo che in Turchia stiano imparando. Né il problema può essere quello delle bufale in rete: molti bufalari scrivono con nome e cognome, e la gente va loro dietro senza problemi.

Resta tutta la parte dei beceri insulti, quella dei leoni da tastiera che accorrono a frotte non appena qualcuno che è appena un po’ famoso interagisce in rete. Ecco, la risposta a questa gente non dovrebbe essere lo spiattellamento delle proprie generalità – e poi che fai, mandi a casa loro una ronda per corcarli di botte? – ma l’ignorarli. Ignorarli nei commenti ai post, ignorarli negli articoli di giornale, evitare una volta per tutte di parlarne. Certo, occorre comunque un intervento legislatorio, altrimenti ci ritroviamo con sentenze come questa e caschiamo dalla padella alla brace. Ma molti insultatori seriali lo fanno per recuperare un po’ di notorietà riflessa, e il silenzio li seppellirebbe.

(Che io scriva sempre con nome e cognome è irrilevante, naturalmente. Questa è una mia scelta, non un’imposizione)

_Harry Potter e la pietra filosofale: versione illustrata_ (libro)

Con la scusa di leggerlo ai bambini la sera prima che vadano a dormire, ho preso l’edizione italiana illustrata del primo libro della saga di Harry Potter (J.K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale [Harry Potter and the Philosopher’s Stone], Salani 2015 [2015], pag. 245, € 29, ISBN 9788869183157, trad. Marina Astrologo), che tra l’altro avevo letto come tutti gli altri in inglese. Le immagini sono davvero belle, e hanno affascinato i settenni. La storia, letta con il senno di poi, presenta degli aspetti molto interessanti, come per esempio il tratteggio della figura di Piton ma soprattutto quello di Harry e dei suoi amici, che sembrano a prima vista solo abbozzati… prima di ricordarsi che in quel momento avevano undici anni e quindi il loro carattere doveva per forza essere più infantile. Insomma, un’interessante rilettura anche per i vecchietti come me. Dopo tutti quegli anni dalla prima lettura, non saprei dire quanto la traduzione di Marina Astrologo segua l’originale – ricorderete probabilmente la diatriba sulla prima traduzione… – ma sicuramente è scorrevole.

Scilipoti e la NATO

Penso abbiate letto ieri su tutti i giornali, se non sui social, che Domenico Scilipoti ha avuto una prestigiosa carica alla NATO, dove si occuperà tra l’altro della crisi con l’Ucraina. Se non l’avete letto, eccovi una rapida lista creata al volo: Corriere, Fatto Quotidiano, Espresso.

Peccato che la carica di Scilipoti non sia alla Nato, ma alla NATO Parliamentary Assembly, che come potete leggere da soli «was created independently from NATO and is institutionally separate from the NATO structure. Nevertheless, the Assembly serves as an essential link between NATO and the parliaments of the NATO nations.» In pratica è un club di parlamentari dei paesi NATO che non ha nulla a che fare con la gestione militare dell’Alleanza; Scilipoti ne fa parte da un po’, e in questi giorni non è successo nulla di particolare: questo documento del 14 dicembre lo indica già.

Bene. I link li ho cercati adesso per fare il post, ma che fosse Nato-PA e non NATO l’ho scoperto… sul tanto vituperato Facebook. Inutile rimarcare che ognuno ha il Facebook che si crea: nel mio ci sono pochissimi gattyni, un po’ di cazzatelle perché ogni tanto uno si vuole anche divertire, e alcune pagine con gente tosta. Nulla di trascendentale, ogni tanto tutti scriviamo delle corbellerie, ma ce ne accorgiamo in fretta e correggiamo. A quanto pare invece le redazioni dei quotidiani non si sono affatto preoccupate di fare una sia pur minima verifica su quella che con tutta probabilità è stata una notizia di agenzia (sempre al volo ho visto ADNKronos e Askanews); e se hanno scoperto che era non corretta (dire “falsa” mi pare un’esagerazione, oggettivamente) non si sono dati la pena di correggerla. E l’emettitore di bollini “bufala” dovrebbe essere applicato ai siti web e non alla stampa?