misteri tranviari

Stasera dovevo andare alla presentazione di un libro in via Mercato. Nessun problema, penso, prendo il 4 che mi lascia lì a due passi. Vado verso la fermata, vedo un tram fermarsi al semaforo, corro, attraverso con lui, riattraverso per andare sul lato giusto… E quello non si ferma nemmeno. Vabbè, vedo che ne sta arrivando un altro: peccato che sia una corsa limitata in piazzale Maciachini. Salgo lo stesso, faccio l’unica fermata, me sposto dove sta per arrivare la 70: una buona idea, perché mi porta fino in piazzale Baiamonti dove magari passa un 2. Scendo e vedo arrivare un 4: strano, perché il display indica 11 minuti di attesa. Mentre il 4 si avvicina, vedo che è velettato BAIAMONTI (a volte capita, soprattutto se ci sono lavori) La cabina del 4 è chiusa, quindi non posso parlare con l’autista: gli faccio un cenno con la mano indicando se sta per girare, lui mi guarda strano, al che indico verso l’alto la veletta. Lui guarda il suo display, tocca qualcosa e mi fa cenno di salire. In effetti quando poi sono sceso la veletta indicava il corretto CAIROLI.

Certo che non è facile prendere i mezzi a Milano!

La conoscenza del digitale

Il mio amico Marco Renzi, giornalista da una vita attento al mondo del digitale, qualche giorno fa mi ha mandato questo suo testo riguardo alla conoscenza del digitale, che (parole sue) non è il «falso presente digitale che ci raccontano – meglio dire spacciano – le holding tecnologiche multimiliardarie interessate solo a detenere il controllo», ma «il passaggio epocale che ha reso il mondo un posto “calcolabile”.» Io concordo con quanto (anche se un po’ apocalittico) ha scritto Marco, soprattutto sulla parte delle “due conoscenze” che ripropone in chiave contemporanea il famigerato concetto delle due culture. Aggiungo però qualche mia considerazione personale.

Per prima cosa comincio col notare che non è che i nativi digitali siano poi così bravi anche nella conoscenza digitale: lo vedo con miei figli (ok, io sono un pioniere digitale quindi le cose le ho viste nascere e crescere, sono avvantaggiato). Loro sanno semplicemente usare le cose nel modo standard, e una qualunque deviazione li manda in tilt… più o meno come quello che succede a me se l’auto si pianta mentre sto guidando. In effetti la conoscenza (mia nel caso del funzionamento dell’automobile, dei nativi digitali per le app digitali) è puramente procedurale, e quindi di bassa qualità: serve una conoscenza almeno in parte metafisica ed epistemologica, e quindi sul perché e su come le cose funzionano.

Maurizio Codogno, [02/06/2025 13:25]
rileggendo il tuo post mi sono accorto che la prima volta avevo capito male la frase “ogni deviazione da questo percorso di conoscenza” e che tu intendevi “conoscenza del digitale” e non “il digitale ha un unico percorso dal quale non si può sgarrare” (il che è falso).

La difficoltà che io vedo nel dare una conoscenza del digitale è che essa non è “fare informatica”, cosa che comunque è utile di per sé, non foss’altro che perché se impari i rudimenti di programmazione hai a tua disposizione un percorso logico che ti aiuta anche altrove (forse anche più della matematica, almeno per i ragazzi). Secondo me conoscere il digitale significa capire come il digitale è diverso dall’analogico. La prima cosa che mi viene in mente è che nell’analogico tu hai automaticamente delle tolleranze, proprio perché hai un movimento continuo e non discreto; nel digitale invece lo sviluppatore deve prevedere a priori delle tolleranze. Esempio cretino: quando inserisci in un form il numero di carta di credito, il sistema, e quindi lo sviluppatore, deve fare in modo che se io digito degli spazi tra i gruppi di cifre è il software che deve toglierli, e non lamentarsi perché hai finito i 16 caratteri a disposizione. Peggio ancora con il codice fiscale: anche lì la conversione minuscolo-maiuscolo dev’essere qualcosa che fa il software, e in compenso non bisogna esagerare con il controllo sintattico di cifre e lettere, perché si rischia di non accettare codici modificati per omocodia. Ribadisco: per me la grande differenza tra analogico e digitale è che in quest’ultimo non puoi permetterti il minimo sbaglio. Insomma, per me la conoscenza del digitale è sapere che tu puoi simulare quanto vuoi il risultato ma devi essere certo che la simulazione sia corretta; spostandoci dallo sviluppatore all’utente, è sapere che la logica interna a un software è quella, e se non corrisponde a quello che vuoi fare tu allora devi cercare un modo per fregare il software. Questa è un’altra cosa che per noi pionieri digitali è una seconda natura, tra l’altro.

Il guaio è che non ho idea di come insegnare queste cose. Io le ho imparate sul campo, ma 40 anni fa la situazione era molto diversa. (E comunque io sono probabilmente borderline Asperger, quindi con il digitale ero favorito, proprio perché non dovevo preoccuparmi del non detto: tutto quello che serviva ce l’avevo davanti a me…) Voi avete qualche idea su come si possa farlo, sia per gli studenti che per gli adulti?

Quaternioni che non ce l’hanno fatta

I quaternioni sono un’estensione dei numeri complessi, ideata da William Rowan Hamilton che voleva estendere alla terza dimensione le operazioni geometriche permesse sul piano dall’introduzione dei numeri complessi: dopo lunghi e infruttuosi tentativi di aggiungere una nuova unità immaginaria che rappresentasse l’asse z, il 16 ottobre 1843 ebbe l’idea risolutiva mentre passeggiava con la moglie a Dublino e passava su Brougham Bridge: occorreva anche avere una terza unità immaginaria per riuscire a far tornare i conti nel caso di moltiplicazioni. Incise così sul parapetto del ponte le formule di base per i quaternioni: (ora il ponte si chiama Broom Bridge, e al posto dell’incisione c’è una targa)

$$i^2 = j^2 = k^2 = ijk = −1$$

tabella moltiplicativa per i quaternioni

Tabella moltiplicativa per i quaternioni; il primo fattore è quello della riga verticale a sinistra, il secondo quello della riga orizzontale in alto.

Ok, tecnicamente non serviva una terza unità immaginaria: Hamilton avrebbe potuto accontentarsi di $i$ e $j$, con le uguaglianze $i^2 = j^2 = -1$ e $ij = -ji$, ma evidentemente preferiva una simmetria totale. Come avete notato, passando ai quaternioni perdiamo qualcosa. Come nel caso dei numeri complessi non avevamo più un ordinamento (naturale: possiamo sempre dire che $a+bi > c+di$ se $a>c$ oppure $a=c, b>d$, ma non ce ne facciamo niente in pratica), con i quaternioni perdiamo la commutatività della moltiplicazione. Questo non dovrebbe stupirci: se i quaternioni rappresentano operazioni che si fanno nello spazio e nel particolare quelli unitari rappresentano una rotazione, sappiamo che il risultato della composizione di due rotazioni spaziali dipende dall’ordine con cui si eseguono. La cosa divertente è che come al solito in matematica non si butta mai via nulla: la moltiplicazione di due quaternioni è fondamentalmente identica all’Identità dei quattro quadrati di Eulero, che il grande matematico svizzero aveva scoperto un secolo prima…

Quello che però ho scoperto in questi giorni è che i quaternioni non sono stati l’unico modo per rappresentare l’algebra corrispondente agli spazi 3D e 4D! I primi esempi sono stati trovati da James Cockle, un altro avvocato prestato alla matematica. Nel 1848 Cockle propose i tessarini, che sono definiti dalle seguenti relazioni:

$$i j = j i = k, \quad i^2 = -1, \quad j^2 = 1$$

tabella moltiplicativa per i tessarini

tabella moltiplicativa per i tessarini

I tessarini sono stati creati per rappresentare seno e coseno iperbolico, ma hanno lo svantaggio di avere dei divisori dello zero, cioè due numeri non nulli tale che il loro prodotto sia zero. L’anno successivo Cockle propose così i coquaternioni, con le relazioni

$$i^2 = -1, \quad j^2 = k^2 = 1, \quad ij = k = -ji $$

tabella mottiplicativa per i coquaternioni

tabella mottiplicativa per i coquaternioni

Anche in questo caso però abbiamo divisori dello zero e addirittura elementi nilpotenti (che cioè elevati a una potenza sufficientemente alta danno zero.

Tutti questi tipi di numero vengono oggi visti come matrici 2×2: abbiamo per i quaternioni le unità

$$1 = \begin{pmatrix} 1 & 0 \\ 0 & 1 \end{pmatrix} \qquad
i = \begin{pmatrix} i & 0 \\ 0 & i \end{pmatrix} \qquad
j = \begin{pmatrix} 0 & 1 \\ -1 & 0 \end{pmatrix} \qquad
k = \begin{pmatrix} 0 & i \\ i & 0 \end{pmatrix}$$

Per i tessarini valgono invece le uguaglianze

$$1 = \begin{pmatrix} 1 & 0 \\ 0 & 1 \end{pmatrix} \qquad
i = \begin{pmatrix} 0 & 1 \\ -1 & 0 \end{pmatrix} \qquad
j = \begin{pmatrix} 0 & 1 \\ 1 & 0 \end{pmatrix} \qquad
k = \begin{pmatrix} 0 & i \\ i & 0 \end{pmatrix}$$

Per i coquaternioni infine abbiamo

$$1 = \begin{pmatrix} 1 & 0 \\ 0 & 1 \end{pmatrix} \qquad
i = \begin{pmatrix} i & 0 \\ 0 & i \end{pmatrix} \qquad
j = \begin{pmatrix} 0 & 1 \\ 1 & 0 \end{pmatrix} \qquad
k = \begin{pmatrix} 1 & 0 \\ 0 & -1 \end{pmatrix}$$

In pratica tutte queste algebre sono casi speciali dei biquaternioni, che sono appunto algebre sulle matrici 2×2. Non potete dire che i matematici non abbiano fantasia…

I referendum del 2025

Domenica e lunedì prossimi si vota per cinque referendum. Io come praticamente sempre andrò a votare – solo una volta non chiesi una scheda, quella per l’abolizione del ministero dell’Agricoltura che era un’idiozia totale che poteva venire in mente solo ai radicali, tanto che subito dopo nacque il ministero dell’Agricoltura e delle politiche forestali… – sia che fossi a favore che contro i quesiti.

La storia dell’astensionismo come legittima scelta è una palla, non nel senso che non sia legittimo non votare ma in quello che in un periodo storico in cui la gente non vota comunque ci si attacca a quelli a cui non importa nulla che la legge ci sia o no. Fosse per me, riformerei l’istituto referendario portando il numero di firme necessario per indirlo al 2% dell’elettorato (attualmente un milione di persone, ma con SPID è molto più semplice votare), dimezzerei il rimborso ai comitati elettorali (per la stessa ragione) e metterei il quorum alla metà della percentuale di votanti alle ultime politiche, eventualmente con un limite minimo di voti positivi pari al 25%. Se vi interessa, Alberto Saracco ha dato anche una spiegazione matematica per un quorum ridotto. In questo caso comunque il problema non si pone, non credo che si supererà il 20% di votanti: non ci credono più di tanto nemmeno i promotori, e mi sa che Il Post abbia ragione quando dice che a Landini non importa vincere quanto contarsi per un ingresso in politica. E a proposito di comunicazione: hanno messo gli spazi per la pubblicità elettorale, con i cartelloni messi in coppia dove uno (e mezzo) di essi ha i manifesti “Spazio non assegnato”. E non potevano allora metterne uno solo?

Detto tutto questo vediamo i quesiti, e per i curiosi come voterò, anche se come dicevo il tutto è puramente teorico perché nessuno dei quesiti si avvicinerà anche solo al quorum.

* Quesito 1, scheda verde: Contratto di lavoro a tutele crescenti – Abrogazione dei licenziamenti illegittimi. Qui sono indeciso. Premesso che il contratto a tutele crescenti è una idiozia e lo vedo bene nel mondo dei call center che seguo parzialmente come sindacalista, mi chiedo cosa succede dopo che ti riassumono. Ok, l’azienda è sopra i 15 dipendenti e quindi non c’è il padrone che ti controlla a vista, ma secondo me rimani comunque mobbato finché non te ne vai via tu da solo. Diciamo che può essere utile semplicemente per darti il tempo di cercare un nuovo lavoro, ma allora tanto vale prendere l’indennizzo.

* Quesito 2, scheda arancione: cancellazione tetto massimo di indennità per licenziamento illegittimo. Qui invece voto SÌ convinto. Non cambierà probabilmente molto, non so quanti giudici del lavoro alzerebbero di molto le attuali sei mensilità, ma è un principio sacrosanto.

* Quesito 3, scheda grigia: contratti a termine fino a 12 mesi senza causale. Il risultato pratico sarà che le aziende scriveranno una causale più o meno standard e tutto sarà come prima. Pertanto il referendum è capzioso e voterò NO.

* Quesito 4, scheda rossa: responsabilità del committente anche in caso di subappalti. Qui voto SÌ in modo convinto: è troppo facile fare contratti al ribasso e far finta di non sapere cosa faccia l’appaltatore.

* Quesito 5, scheda gialla: dimezzamento dei tempi per richiedere la cittadinanza. Qui voto SÌ senza se e senza ma. Dieci anni sono un periodo lunghissimo, e tra l’altro il tempo necessario per chiedere la cittadinanza era già di cinque anni fino alla legge 91/1992 (governo Andreotti VII, DC-PSI-PSDI-PLI, ma il voto fu unanime) che appunto lo raddoppiò. Ricordo che comunque gli altri vincoli, come un livello di conoscenza della lingua italiana almeno a livello B1, resterebbero comunque in vigore, e mi pare il minimo.

Google, perché lo fai?

pensieri sconnessi
Cara Google, perché devi sprecare energia elettrica per infilare nei risultati il testo “AI Overview” che non solo non ha nessuna idea di quello che emette (come del resto tutti i chatbot), ma non riesce nemmeno a scrivere pensieri connessi? Alla ricerca “aruspice accento” (perché mio figlio non era convinto che andasse sulla u) è riuscita a scrivere

L’accento della parola “aruspice” è sull’ultima sillaba, “ce”. Quindi, si pronuncia a-rùs-pi-ce. L’accento è l’accento grave (“)

Se l’accento fosse sull’ultima sillaba sarebbe “aruspicé”, e allora non mi scrivi “a-rùs-pi-ce” con l’accento sulla u. Il tutto senza considerare l’errore nella sillabazione (è “a-ru-spi-ce”) e il fatto che non è l’accento a essere grave ma il segnaccento: i e u infatti hanno accento acuto (ed Einaudi continua per vezzo a scrivere í e ú nei suoi libri).

Quello che mi preoccupa è che ovviamente Google vuole fare in modo che la gente non vada a cliccare sui link. E temo che sia già così da un pezzo: alla fine quasi nessuno sarà in grado di comprendere un testo anche se semplice….

L’IA mi ha mangiato il compito!

Non ho seguito la storia del professore che ha postato un testo vergognoso nei confronti della presidente del consiglio e di sua figlia, rubricandola nella categoria “idioti che pensano di essere al bar coi loro amici”. Quando però Anna mi ha segnalato che il professore in questione avrebbe detto di avere “chiesto supporto perfino all’intelligenza artificiale per comporre il post” ho deciso che due righe potevo scriverle anch’io.

Ovviamente non credo per nulla a quanto ha detto il tipo. Di per sé è possibile aggirare i blocchi dei chatbot e fare loro produrre un testo di quel tipo, ma occorre costruire un prompt molto particolare, il che non è alla portata della maggior parte della gente (non garantisco che ci riuscirei così facilmente nemmeno io, che pure qualcosa ne so). Il fatto che qualcuno dica una cosa del genere dimostra solo un’ignoranza sul tema “intelligenza artificiale”, e mi sa che saranno comunque in molti a crederci.

Ma quello è il minore dei problemi: in fin dei conti è vero che praticamente nessuno sta spiegando come funzionano questi oggetti che ormai usiamo tutti i momenti senza pensarci. Ma c’è qualcos’altro che invece dovrebbe essere chiaro a tutti, ed evidentemente non lo è. Supponiamo pure che il testo sia effettivamente stato composto da un chatbot. E tu te lo prendi e lo copincolli sui tuoi social preferiti senza nemmeno rileggerlo? Troppo facile dare la colpa a qualcosa di inanimato per togliersi responsabilità che sono personali, anziché avere il coraggio di ammettere di aver fatto un’enorme cazzata. E questo capitava anche prima delle IA.

Camarille autostradali

Giovedì sera siamo partiti per Chiavari, visto che venerdì mattina sarebbero arrivati a portarci i mobili Ikea e il frigorifero (e sabato sarebbe passato il tecnico per la finta fibra). Ci siamo messi tranquilli in autostrada, e tutto è andato bene fino a dopo Serravalle, quando vedo il cartello a messaggio variabile che diceva che il tratto Busalla-Bolzaneto sarebbe stato chiuso dalle 22 alle 5 del giorno dopo. Ho provato ad andare molto più veloce del solito, mi sarò forse preso una multa (anche se hanno cancellato la scritta “Tutor” dai cartelli), ma non ce l’ho fatta: sono arrivato a Busalla alle 22:05 mentre gli operai stavano mettendo i coni per farci uscire.

Da lì è stata un’odissea, perché non so come Anna avesse settato Waze ma mi ha fatto fare la val Fontanabuona, che non è esattamente una gioia da percorrere di notte: ma quello è un problema nostro. Quello che invece non ho capito è perché non mi sono trovato nessuna segnalazione prima di Novi, quando avrei potuto prendere la A26 allungando il percorso ma mettendoci comunque molto meno tempo. L’unica risposta che mi sono dato è che il tratto fino a Serravalle è in concessione alla MilanoSerravalle, mentre quello fino a Genova è di Autostrade per l’Italia. Evidentemente le due concessionarie non si parlano, il che non mi pare una bella cosa.

Servizio postale “pedonale”

Per le pratiche di successione di mia mamma sia io che mio fratello dovevamo inviare una richiesta firmata in originale alla banca dove aveva il conto corrente. Non avendo la FEA (Firma Elettronica Avanzata) ho detto “non c’è problema: scrivo una lettera cartacea e la spedisco a mio fratello così le porta assieme. Inutile fare raccomandata, che poi lui deve andare a ritirarsela. In tre giorni arriverà bene da Milano a Torino.”

Mercoledì 14 maggio vado in ufficio postale e spedisco la mia bella letterina. Risultato: niente. Alla fine domenica 25, visto che tanto sarei andato su a Usseglio per la messa di trigesima, ho riscritto la lettera e gliel’ho data a mano. Ieri poi mio fratello mi ha detto che la lettera era arrivata giovedì 29. Quindici giorni per fare 150 km: ci avrei messo molto meno tempo camminando.

Lo so che le lettere sono diventate un servizio residuale per PosteItaliane: ma non pensavo facessero così schifo.