ChatGPT Atlas

Credo che ormai tutti i browser abbiano il loro bel tastino “chiedi all’intelligenza artificiale”, più o meno visibile. Però OpenAI ha sempre un disperato bisogno di pubblicizzarsi, e quindi ha tirato fuori ChatGPT Atlas, dove l’intelligenza artificiale – se ho ben capito – si mette in mezzo tra noi e Internet: non è questo il significato di “agent”?

Di recensioni ne trovate quante ne volete, per esempio su Wired o Agenda digitale; sicuramente io non posso farlo perché non ho un Mac (né accesso a pagamento a ChatGPT per le funzionalità più avanzate). Ma che dicono i detrattori? Tante cose, anche se ho dei dubbi su alcune di queste. Per esempio David Gerard ritiene che la vera ragione del lancio di Atlas sia la possibilità di recuperare pagine dal web, visto che si presenta proprio come un comune browser e quindi non può essere bloccato. La cosa mi pare strana, non foss’altro che perché le pagine che si possono recuperare da un browser non sono poi tante e quindi il materiale è limitato (e probabilmente molto ripetitivo, tra l’altro), Più interessante invece uno dei punti sollevati da Anil Dash. (Beh, diciamo due: il fatto che non è Atlas ad essere il nostro agente ma siamo noi a essere un suo agente è presumibilmente vero). Anche qui non sono poi così certo che il problema di dover fare ricerche scrivendo un testo e cercando di indovinare come farlo bene sia così importante: Dash fa l’esempio di Zork, che per un vecchietto come me era un modo assolutamente standard per interagire :-) Quello che però è preoccupante è il filtro tra le nostre ricerche e i risultati di Atlas. L’esempio fatto da Dash è stato il prompt “Taylor Swift showgirl” – non si può parlare di ricerca, ovviamente, vista la logica sottostante. Il risultato, a parte i suoi commenti sarcastici, è che non è nemmeno stato mostrato il sito web della cantautrice. Come potete capire, questo non è per nulla bello, a meno naturalmente che l’unica cosa che vi interessi è avere una risposta qualunque senza dover far fatica a scegliere qualcosa. (Ok, con i motori di ricerca attuali facciamo molta fatica e non otteniamo nemmeno tutti i risultati, ma la speranza resta sempre)

Insomma, la vedo male se il futuro delle rete sarà questo: diciamo che mi tocca sperare che la bolla IA scoppi quanto prima…

Quizzino della domenica: Il postino superstizioso

771 – teoria dei numeri

Un postino deve consegnare la posta alle case che si trovano su un lungo viale, case che sono numerate da 1 a 1000. Il guaio è che il postino è molto superstizioso, e da quando ha scoperto che in cinese il numero 4 si pronuncia come la parola “morte” si rifiuta di passare da una casa il cui numero civico contiene il numero 4, come per esempio 144 oppure 314. Quante case non riceveranno mai posta?

una casa
(trovate un aiutino sul mio sito, alla pagina https://xmau.com/quizzini/p771.html; la risposta verrà postata lì il prossimo mercoledì. Problema da Stephen Siklos, Advanced Problems in Mathematics; immagine di TVLuke, da OpenClipArt.)

Ants, Bikes, and Clocks (libro)

copertina In questo libro Briggs presenta un gran numero di esercizi, che probabilmente almeno in Italia possono essere anche dati agli studenti degli ultimi due anni delle superiori. Ma la parte degli esercizì è forse la meno interessante (tra l’altro non tutti gli esercizi hanno una soluzione, anche se c’è la risposta e un “aiuto” che però a volte è inutile). Poi c’è una parte curiosa, i commenti a margine del testo. Ma ciò che è davvero interessante è la parte introduttiva dei capitoli, dove Briggs spiega come approcciare le varie di problemi. Uno studente brillante può sfruttare queste spiegazioni per imparare a risolvere i problemi: d’altra parte, i professori hanno invece un certo numero di problemi se vogliono fare delle verifiche.

William Briggs, Ants, Bikes, and Clocks : Problem Solving for Undergraduates, SIAM 2004, pag. 174, € 35,59, ISBN 9780898715743 – come Affiliato Amazon, se acquistate il libro dal link qualche centesimo va a me
Voto: 4/5

ATM: perché non online?

Lunedì Cecilia mi telefona dicendo che in metro ha perso la tessera ATM. Tra l’uno e l’altro gemello capita tre-quattro volte l’anno, e io pago. No, non è vero: il costo di riemettere la tessera glielo tolgo dalla paghetta: però quello che mi tocca fare è prendere e andare a rifare la tessera a un ATM Point. Solo che ATM ha deciso di chiuderli quasi tutti, per favorire le interazioni virtuali: ora ne rimangono solo tre, e la coda per prenotare è inenarrabile. Alla fine sono riuscito a trovare un buco mercoledì pomeriggio, nel carnaio della Centrale – crederete mica che i numeretti funzionino davvero? – e ho fatto tutto. Nessun modulo: quello che serviva era la carta d’identità di Cecilia e ovviamente i 15 euro.

Quello che mi chiedo è perché uno possa farsi fare un abbonamento tutto online e poi andare a una “Tessy” per farsi stampare la tessera, ma questo non valga per il rinnovo. Quale sarebbe il problema? Si mandano i documenti, si paga e via. Occorrono 24 ore perché qualcuno processi la richiesta? È sempre meno che il tempo necessario per trovare uno slot libero.

(sì, lo so che si può mettere la tessera sul telefono. Per i miei figlioli che sono nativi digitale “è troppo scomodo”)

Accise dolci accise

Vabbè, non credo che nessuna persona dotata di cervello avesse davvero creduto che Meloni & Salvini avrebbero ridotto (non dico tolto…) le accise sui carburanti. Trovo però interessante questa accelerazione sull’equiparazione delle accise su benzina e gasolio per autotrazione, che anziché in cinque anni avverrà a capodanno 2026. Ed è anche interessante notare come il PresConsMin riesca ad alzare il carico fiscale facendo finta di nulla, un po’ come il taglio dell’aliquota IRPEF per i redditi da 28000 a 50000 euro che è comunque inferiore all’aumento implicito dovuto al fiscal drag (e per fortuna che le retribuzioni lorde sono appunto cresciute, anche se meno dell’inflazione.)

Sono andato a verificare i dati 2024: sono stati venduti 11,6 miliardi di litri di benzina e 28,3 miliardi di litri di gasolio. Questo significa che un vero riequilibrio avrebbe dovuto vedere un aumento delle accise del gasolio di 2,35 centesimi al litro e un ribasso di quelle sulla benzina di 5,75. Sommare e sottrarre 4,05 centesimi corrisponde a 676 milioni di maggiori introiti (più IVA che per comodità non conto) nascosti nelle pieghe del bilancio. E chissà come mai ho il sospetto che in questo caso non sia il governo a non sapere fare i conti…

Un trucchetto con le percentuali

Scrivendo il post di stamattina mi è venuto in mente un trucchetto che può permettervi di fare bella figura con poca fatica. Riuscite a calcolare a mente quant’è il 60% di 25?

Il calcolo è molto più semplice di quanto sembri a prima vista. Per definizione, una percentuale si calcola moltiplicando i due numeri presenti e dividento per 100, cioè 60×25/100 nel nostro caso. Questo equivale a 25×60/100, che è il 25% di 60. Ma il 25% è un quarto, quindi basta dimezzare due volte 60 e trovare il risultato che è 15. Semplice, no?

Il metodo d’Hondt… o dovrei dire Jefferson?

Vi siete mai chiesti come si suddividono i seggi in un sistema proporzionale? Un metodo abbastanza comune è quello dei resti. Se hanno votato 10000 persone e ci sono 15 seggi, si comincia a fare la divisione, ottenendo un quoziente di 666 e 2/3. Si dividono ora i voti presi dai partiti per quel quoziente, e si comincia ad attribuire un seggio per ogni quoziente. Tipicamente a ciascun partito avanzeranno dei voti, i “resti”; e parallelamente ci saranno dei seggi non assegnati: questi seggi verranno distribuiti ai partiti che hanno i resti più alti. Il metodo è a prima vista equo, ma non è proprio così: potrebbe darsi che assegnando un seggio in più in totale ci sia un partito che ne prenda uno in meno. Questo è il cosiddetto paradosso dell’Alabama: ne avevo parlato tanti anni fa sul Post, e qui trovate una copia di quel post. Vi svelo subito che non c’è un metodo perfetto per suddividere i seggi, ed è per questo che sono stati proposti vari sistemi.

Uno di questi, che ha avuto molta fortuna in Europa – in Italia lo si usava per le elezioni al Senato fino al 1992, e ancora adesso i seggi di minoranza nei consigli comunali si assegnano in quel modo – è il metodo d’Hondt, che prende il nome dallo studioso belga che l’ha formalizzato. In questo caso si prendono i voti ottenuti dai vari partiti e li si divide per 1, 2, 3, 4, … fino al numero n di seggi da assegnare (in genere non serve andare così avanti). Si prendono quindi gli n valori più alti, a cui sarà assegnato un seggio. Facciamo un esempio pratico. Abbiamo quattro partiti (A, B, C, D) che si contendono otto seggi. I voti totali sono stati 23000, e i singoli partiti hanno ricevuto rispettivamente 10000, 8000, 3000 e 2000 voti. La tabella che si costruisce è la seguente, dove per semplicità ho saltato le ultime colonne inutili:

$$
\begin{matrix}
\textrm{partito} & 1 & 2 & 3 & 4 & 5 & \textrm{seggi} \\
A & \bf{10000} & \bf{5000}& \bf{3333.3} & \bf{2500} & 2000 & 4 \\
B & \bf{8000} & \bf{4000} & \bf{2666.6} & 2000 & 1600 & 3 \\
C & \bf{3000} & 1500 & 1000 & 750 & 600 & 1 \\
D & 2000 & 1000 & 666.6 & 500 & 400 & 0 \\
\end{matrix}
$$

Il metodo d’Hondt non soffre del problema del paradosso dell’Alabama, ma in compenso indebolisce i partiti minori. Con i resti, infatti, il quoziente sarebbe stato 23000/8 = 2875 e avremmo avuto il seguente risultato: un seggio è stato spostato dal partito A al D.

$$
\begin{matrix}
\textrm{partito} & \textrm{voti} & \textrm{quoziente} & \textrm{resto} & \textrm{seggi} \\
A & 10000 & 3 & 1375 & \bf{3} \\
B & 8000 & 2 & \bf{2250} & \bf{3} \\
C & 3000 & 1 & 125 & \bf{1} \\
D & 2000 & 0 & \bf{2000} & \bf{1} \\
\end{matrix}
$$

Quello che non sapevo, e ho scoperto da questo articolo – ma Wikipedia lo diceva già… – è che un sistema equivalente era stato ideato da Thomas Jefferson e proposto a George Washington quando il presidente degli Stati Uniti d’America era quest’ultimo e non il primo. Jefferson divideva i voti ottenuti dai vari partiti per un numero, che chiamava “quota”, e prendeva i quozienti. Come nella fiaba di Riccioli d’oro, c’erano le quote troppo grandi, che non permettevano di assegnare tutti i seggi: nel nostro esempio, una quota di 3000 dà come risultato (3, 2, 1, 0) per un totale di 6 seggi assegnati. C’erano poi le quote troppo piccole: una quota di 2000 dà come risultato (5, 4, 1, 1) per un totale di 11 seggi. E infine c’erano le quote proprio giuste, come 2500 che dà come risultato (4, 3, 1, 0). Ecco dunque la ripartizione dei seggi: si prende la più grande quota che dia una suddivisione esatta dei seggi a disposizione.

Ma perché i due metodi sono esattamente gli stessi? Ci ho dovuto pensare un attimo, ma la cosa è davvero banale: se facciamo scendere man mano la quota, il valore finale di Jefferson è per definizione il primo per cui viene allocato l’ultimo seggio a disposizione. (nel nostro esempio al partito A, ma potrebbe essere uno qualunque). Ma dire con Jefferson che 10000/2500 = 4 è la stessa cosa che dire come d’Hondt che 10000/4 = 2500, no? E a questo punto tutti gli altri valori si ottengono automaticamente, perché aumentare o diminuire il numero di seggi agli altri partiti cambierebbe automaticamente il valore della quota.

Dobbiamo insomma cambiare nome al metodo d’Hondt? Secondo me no. Esso è sicuramente molto più facile da implementare di quello di Jefferson, e soprattutto quando i conti si dovevano fare a mano era fattibile. Insomma, teniamocelo così!