Archivi annuali: 2018

Sushi Shop

Tipicamente una volta al mese ordiniamo un menu sushi a domicilio. Stante la difficoltà di trovare qualcuno che fa consegne in zona nostra – manco abitassimo chissà dove, siamo tra Maciachini e Niguarda – scegliamo Sushi Shop, nonostante la sua francesità che traspare non solo dalle quantità abnormi di Philadelphia nei maki ma anche dal sito che ogni tanto sbaglia lingua. Vabbè.

Solitamente gli ordini li fa Anna col suo account: oggi però era in aula e così l’ho fatto io con il mio account. Alle 18:30 compilo l’ordine e chiedo la consegna per le 20.45, perché prima rischiamo di non essere a casa. In effetti arriviamo per le 20.30, diamo da mangiare ai novenni… e poi aspettiamo. Alle 21.15 telefono per sapere perché non si è ancora visto l’ordine. Risposta: “Eh, con la pioggia c’è stata tantissima gente che ha chiamato e siamo un po’ in ritardo. Ma il fattorino è uscito 10-15 minuti fa”. Già qui ho cominciato a incazzarmi. Certo, piove, e quindi in tanti avranno fatto un ordine al volo. Ma tu sapevi da due ore che c’era un ordine pronto, e non fai passare avanti gli altri. (Ti dicono che l’ordine può arrivare in un intorno di 15 minuti dall’ora richiesta, ma se parti più di 15 minuti dopo non funzionerà mai). E comunque, anche se ci fossero state le cavallette, tu Sushi Shop hai il mio numero di telefono e la mia email. Mandare un messaggio avvisando del ritardo è il minimo sindacale.

Continuo ad attendere: alle 21.30 (tre quarti d’ora dopo l’orario previsto) finalmente arriva il fattorino. Peccato che in ascensore gli si sia rotto il sacchetto di carta prerogativa del negozio e il sushi box si sia rovesciato per terra. Nuova telefonata, con il titolare che ci ha proposto (a) di reinviare l’ordine (al che gli ho risposto “sì, così mi arriva alle 11”); (b) di farci un buono per il prossimo ordine. Alla mia replica “no, io voglio indietro i soldi” la risposta dopo un po’ è stata “sì, se proprio vuole le rimborsiamo l’ordine, però con gli ordini online ci vogliono tre giorni perché ci arrivino i dati dell’ordine e altri tre per processarlo” e probabilmente qualche scappellamento a destra che non ho sentito, perché gli ho urlato che io mi aspetto quei soldi subito e ho buttato giù il telefono.

Sicuramente Sushi Shop avrà un cliente in meno: posso accettare tante cose ma non un servizio al cliente così pessimo. Sapete consigliarmi qualche altro ristorante che consegni sushi al domicilio?

Aggiornamento (30 novembre) Mi è appena arrivata una mail che afferma
Ci scusiamo per il disguido e come richiesto dal direttore del punto vendita qui sotto la richiesta di storno dell'operazione.

Insomma, ci è voluta davvero una settimana per stornare un’operazione. Viva il digitale.

Ultimo aggiornamento: 2018-11-30 17:42

Fatture elettroniche

Occhei, Anna è una libera professionista e quindi che esistano le fatture elettroniche lo so (come so che all’atto pratico è praticamente impossibile gestirsele da soli e quindi è nata una simpatica nicchia di aziende che vendono abbonamenti per il loro software che interagisce con l’AdE). Però mi ha lasciato abbastanza perplesso scoprire che il Garante per la privacy ha avvertito l’AdE ai sensi del GDPR che il sistema da essa preparato non garantisce la “privacy per design” come richiesto: tradotto in italiano, è stato mal progettato e quindi inerentemente poco sicuro.

Giusto per essere chiari: l’attuale governo non c’entra nulla. La valanga è partita già da un pezzo, e comunque sono due anni e mezzo che il GDPR esiste, anche se è entrato in vigore solo a maggio. La patata bollente è però loro e non so cosa penseranno di fare: un ennesimo rinvio? Un decreto attuativo che diminuisca la privacy? (difficile, ma non impossibile con loro). Più che altro mi chiedo perché un sistema di per sé giusto come quello della fatturazione elettronica sia stato implementato così male in ogni senso. Il vero guaio è quello.

Ps: mi stanno già arrivando i primi messaggi di posta elettronica con gli adempimenti che *io* (semplice cittadino) devo fare per acquistare per esempio una copia di un quotidiano online. Sarà un delirio.

Gramellinitudine

Ieri non ho parlato del rapimento di Silvia Romano, perché non avrei sapto cosa dire né riguardo a lei né all’ONG che l’ha mandata in Kenya (da sola?). Non ho nemmeno parlato del Caffè di Gramellini, perché non credo che abbia molto senso discutere di quello che in fin dei conti non è tanto diverso da un blog qualunquista se non per il numero di persone che lo leggono.

Visto che però oggi Gramellini è tornato sul luogo del delitto, posso sprecare anch’io qualche parola. Nella rassegna stampa di stamattina a Radio Popolare Gianmarco Bachi ha esplicitato quello che è anche il mio pensiero: se tu dici che ieri stavi difendendo la giovane e nessuno ti ha capito – ma neppure al Corriere, se sono stati costretti a ingaggiare il terzista per antonomasia quale è Pigi Battista per un controcanto – allora hai un problema di comunicazione. E la cosa è davvero grave: saranno quarant’anni che tu fai il giornalista, e le parole dovresti saperle usare. Per completezza, ecco qua le ultime righe del suo Caffè di ieri, quelle che non sarebbero state lette dalle “centinaia di gabbiani da tastiera”:

Silvia Romano non ruba, non picchia, non spaccia. Non appartiene alla tribù dei lamentosi e tantomeno a quella degli sdraiati. La sua unica colpa è di essere entusiasta e sognatrice. A suo modo, voleva aiutarli a casa loro. Chi in queste ore sul web la chiama «frustrata», «oca giuliva» e «disturbata mentale» non sta insultando lei, ma il fantasma della propria giovinezza.

Ragazzi, è un trucco retorico vecchio come il cucco. Stai formalmente difendendola, dicendo che la vera colpa è nostra che rimpiangiamo la nostra giovinezza, ma in realtà insinui il dubbio che un po’ “oca giuliva” lo sia davvero. Controprova: i miei ventun lettori sono tipicamente un po’ più giovani del pubblico medio del Corriere, ma non proprio teneri virgulti. Avete rimpianti per non essere andati voi da giovani in missione? Il problema insomma non è tanto l’incapacità di pensare figlia dei socialcosi, quanto l’incapacità di scrivere in modo che anche i socialcosisti capiscano, tipo con l’altro trucco retorico vecchio come il cucco di scrivere tutto il testo contro la cooperante e terminare con “O no?”. Prima di parlare di “dittatura dell’impulso”, insomma, forse Gramellini dovrebbe provare a ripensare a come ha scritto il pezzetto di ieri. “Cosa” ha scritto è una sua scelta che io non sindaco, ma sul come se ne può parlare eccome.

Ultimo aggiornamento: 2018-11-23 12:17

Caro Bezos, ti rispondo


Jeff,
io voglio tanto bene ad Amazon. Credo di avere cominciato a comprare libri sul sito americano lo scorso millennio, quando c’erano solo libri – il che a me andava bene, qui nella periferia dell’impero non si trovava mai nulla. Ho continuato a seguirla fedele in tutti questi anni, mi faccio persino stampare i libri autoprodotti; ancora martedì mi sono arrivati gli ultimi libri che ho comprato.
Però c’è qualcosa che non mi è chiara. Perché mi hai scritto quella letterina mostrata sopra, compresa di finta credit card con allegato ologramma, per convincermi a iscrivermi ad Amazon Prime Video? Tu sai praticamente tutto di me. Mentre scrivevo questo post mi sono collegato e mi hai proposto The Ultimate Mathematical Challenge che avevo sì cercato come stringa, ma non da te né dai tuoi siti affiliati come Goodreads o BookDepository. Sai anche che passo spesso dal mio account a quello di mia moglie e in entrambi i casi pago con la stessa carta di credito. Non ti sei accorto che Anna ha Prime, quindi io di Prime Video non me ne faccio nulla perché usiamo al limite il suo account?
Ecco, però. Una cosa potresti farla, visto che ti scrivo. Negli USA dai la possibilità di avere un Prime “familiare”, con pagamenti comuni ma liste separate per persone. In Italia no, ho anche chiesto ma mi hanno risposto picche. Perché non ci vuoi bene?

Test: quanto sei populista?


Il test di oggi (via Massimo Manca) è gentilmente offerto dal Guardian. Non so quanto sia bello trovarmi praticamente sovrapposto a Macron (ma Obama è lì, giusto un pelino più populista e meno di destra), né riesco a capire quanto sia normale che tranne l’Angelona Merkel e in parte il duo di cui sopra tutti i politici scelti, di destra o di sinistra, siano tutti populisti più o meno allo stesso modo. Ma non è di questo che volevo parlarvi, quanto della parte più socialcosistica del test.

Il Guardian ha lavorato molto bene sulla parte visiva. A parte il codice (non credo sia solo Javascript, penso ci sia dell’HTML5, ma non sono così esperto da riconoscerlo) e la struttura a celle esagonali che fa tanto gioco di ruolo, la parte che mi ha colpito di più è la localizzazione dei risultati di tutti coloro che hanno preso parte al test, con gli esagoni più o meno scuri. Che il pubblico che fa i test del Guardian (una minoranza tra i lettori del giornale) sia tendenzialmente di sinistra non è una notizia, così come non è una notizia che ci siano outlier più o meno ovunque: vuoi che nessuno si metta a giocare con le risposte per vedere quanto riesce a spostarsi rispetto al centro? Mi pare però molto più interessante vedere che i cluster di risposte tendono comunque a un populismo abbastanza accentuato, cosa che non mi sarei aspettato. Certo, bisognerebbe leggere come è stato studiato il test per capire quanto questa tendenza sia naturale e quanto indotta dalle domande del sondaggio (matrimonio e adozione gay cosa hanno esattamente a che fare con il populismo?) però è una cosa che fa pensare. Purtroppo, almeno dal mio Firefox, non sono riuscito a far funzionare i pulsanti per mostrare i risultati esplosi per fasce d’età, nazione e sesso. L’ho poi fatto da Opera, ma non ho trovato grandissime differenze.

P.S.: se uno apre il codice sorgente della pagina si trova il “commento” che mostro qui sotto. In effetti ha senso scriverlo lì :-)

Donazione volontaria obbligatoria

Io sono un donatore di sangue (attualmente sospeso causa distacco retina, ma magari la prossima estate potrò riprendere). Credo che sia una delle pochissime cose, assieme al sesso anagrafico, che ho in comune con Matteo Salvini; poi non so se lui prima di fare le sue fotografatissime donazioni consegni un foglio in cui ingiunge di non dare i suoi globuli rossi a qualche negher-o-assimilato.

A parte le battute, l’idea di obbligare gli studenti (maggiorenni, quindi nemmeno tanti) a donare il sangue è una cosa che mi fa rabbrividire. Capisco che dulce et decor est pro patria sanguinem dare, ma un obbligo imposto è il modo migliore per far sì che questi ragazzi in futuro staranno ben lontani dalle autoemoteche.

Ma probabilmente sono io che come al solito non ho capito. A Salvini non gliene frega un tubo della cosa, gli basta avere avuto anche ieri i titoloni sui giornali.

Google One

Forse non sapete che Google sta lanciando il suo nuovo brand per i dati su cloud: Google One. Quello che io non avevo capito, almeno dai primi teaser, è che all’atto pratico non è molto più di un rebranding del vecchio Google Drive: le FAQ dicono «Google Drive is a storage service. Google One is a subscription plan that gives you more storage to use across Google Drive, Gmail, and Google Photos. Plus, with Google One, you get extra benefits and can share your membership with your family.»

Spero che gli esperti Google funzioneranno meglio di quanto facciano adesso (zero), e potrebbe essere interessante per una famiglia l’account familiare. Mi è anche chiaro che Google non è Babbo Natale e non è che debba dare cose gratis. L’unico mio dubbio è che una campagna come quella funzioni…

È il mercato, bellezza!

Leggo sulla Stampa che la Grande G ha minacciato di chiudere il suo servizio Google News se nella direttiva sul copyright nel mercato digitale resterà la formulazione dell’articolo 11 votata dall’Europarlamento, e cioè che occorrerà chiedere una licenza ai produttori media se oltre al link viene usata più di una parola (il testo votato recita «I diritti di cui al paragrafo 1 non si estendono ai semplici collegamenti ipertestuali accompagnati da singole parole.»)

Onestamente non capisco tutti questi pianti sulla snippet tax (“tassa sulle citazioni”, se vogliamo dirla in italiano: chi aveva coniato l’espressione “link tax” avrà avuto le migliori intenzioni del mondo, ma non ha pensato che sarebbe stato facile mostrare che tecnicamente quel nome era errato e chiudere così il confronto sui veri temi). Premessa: copiare integralmente o in buona parte un articolo era ed è una violazione di copyright, e su questo penso siamo tutti d’accordo, anche chi è per principio contro il concetto di copyright. Parliamo ora della citazione di un articolo – dove per “citazione” basta anche solo il titolo, ricordo: non sono poi molti i titoli formati da singole parole. Gli editori ritengono che la citazione abbia un valore commerciale e quindi chiedono di poter essere ricompensati per il suo uso; Google ritiene che il valore commerciale dal proprio punto di vista sia zero, e quindi non intende fare alcun accordo che abbia un costo maggiore di zero. Vivaddio, non siamo in regime di monopolio: se ci sarà qualcuno che invece ritiene che fare una raccolta di citazioni abbia un valore commerciale, costui non avrà nessun problema a ottenere la licenza necessaria. Con una battuta: «Non capisco, Google. Perché non vuoi pagarci per il piacere di permettere alla gente di arrivare sui nostri siti?» Certo, sarebbe stato molto meglio avere una direttiva che dicesse chessò che un certo numero di caratteri fosse permesso, in modo che il visitatore avesse un teaser che lo convincesse ad andare a leggere tutto l’articolo sul sito del giornale, ma a quanto pare quest’idea non è venuta in mente a nessuno.

Se siete curiosi di sapere come Wikipedia sarà impattata da questo articolo della direttiva, lo sono anch’io :-) Non facendo parte di Wikimedia Foundation posso solo presumere che cosa succederà. La mia ipotesi è che WMF chiederà licenze gratuite per l’uso dei titoli degli articoli di giornale, visto che per il resto il lavoro dei volontari è sempre fatto manualmente e non ci vuole molto a riformulare il testo per non incorrere nelle ire del legislatore. In caso di diniego, rimarranno i link e i metadati (testata, data, autore) ma verranno eliminati i titoli. I fruitori dell’enciclopedia libera ci perderanno qualcosa, ma se è l’Europa che lo vuole… Dal mio punto di vista sono più preoccupato di cosa potrebbe succedere ad archive.org, se devo dirla tutta.

Ultimo aggiornamento: 2018-11-20 10:13