Archivi annuali: 2017

“ciclopedonale”, certo

Il cavalcavia Eugenio Bussa, a due passi dalla stazione di Porta Garibaldi, è un manufatto assolutamente incongruo. Nacque perché il piano regolatore del 1953 prevedeva una strada di penetrazione urbana che proseguisse da viale Zara fino al parco Sempione, buttando giù un po’ di case e oltrepassando appunto la ferrovia: le case sono rimaste e ora trovate un ponte a senso unico con un enorme parcheggio e due striminzite rampe ricavate alla bell’e meglio. Ah, no: c’è anche una pista ciclabile. Arrivando da via De Castilla, si sale su una ripida rampa (con a fianco un marciapiede che però pare invisibile per i pedoni), arrivati in cima si attraversa la strada e si ha un percorso delimitato da cordoli, finito il ponte finisce la pista e si torna indietro perché la carreggiata è a senso unico nella direzione contraria. Se si ha una mountain bike si può tentare di scendere dall’altro lato, nell’erba a fianco della scaletta pedonale. Oppure ci si butta in contromano, il che è comunque scomodo perché si deve continuare in contromano fino a via Farini oppure tornare indietro e infilarsi nelle strade che portano a viale Pasubio. (Io ho smesso di farla da un pezzo in quella direzione, uso il cavalcavia solo per tornare verso casa).

Il Comune di Milano si è impegnato da un pezzo per fare “un percorso ciclopedonale in sicurezza”: quello che è uscito fuori è mostrato nella foto qui a fianco (presa da Facebook, non so se sia di Marco Mazzei o lui l’abbia a sua volta presa da qualcun altro). Non solo non ho ben capito quale dovrebbe essere la parte “ciclo” di “ciclopedonale”; ma dubito che una carrozzella o un passeggino riescano a passare di là, non aggiungendo pertanto alcun valore alla discesa preesistente. Mi è stato detto che non si poteva fare una pista ciclabile a causa di questo regolamento; ma allora nemmeno l’altra rampa sarebbe in regola, e del resto l’articolo 8 scrive che la pendenza «non può generalmente superare il 5%» (grassetto mio). Insomma, soldi sprecati.

Ultimo aggiornamento: 2017-11-22 10:33

Götterdammerung

A poche ore dalle sue dimissioni dalla presidenzae della Federcalcio, Carlo Tavecchio è accusato di molestie sessuali da parte di una dirigente sportiva.
Ora, se io dovessi dare un giudizio a pelle credo che le molestie ci siano effettivamente state, mentre ho dei dubbi sul fatto che ci siano prove audio e video a meno che non risalgano alle scorse settimane e siano state fatte apposta per una denuncia. Ma per fortuna non sono un inquirente né un giudice, quindi lascio loro fare il proprio lavoro.
Quello di cui invece vorrei parlare è questo tempismo. L’ipotesi migliore che io riesco a immaginare è che una denuncia di questo tipo sarebbe stata pericolosa fino a che Tavecchio era potente. Se è davvero così, la cosa è ancora più preoccupante: in pratica si è abdicato all’idea di riuscire a fare una qualunque denuncia nei confronti di un potente a meno che costui non sia diventato un ex-potente. Una cosa del genere non vi fa paura? Cosa potrà mai essere il futuro?

Ultimo aggiornamento: 2017-11-21 14:49

La bolla cognitiva

Chi crede al riscaldamento globale? (sondaggio Gallup del 2015)

L’altro giorno sulla mia bacheca di Facebook si è fatto perigliosamente strada in mezzo alle giaculatorie e alle metadiatribe sull’esclusione dell’Italia dai mondiali di calcio questo articolo del New York Times, sul quale penso valga la pena di spendere qualche parola.

Come probabilmente sapete, gli statunitensi sono molto fortemente divisi su una serie di opinioni, e questa divisione rispecchia parecchio quella tra repubblicani e democratici. Fin qua nulla di nuovo, come non è poi così nuova – nel senso che è così almeno da un paio di decenni – l’alta correlazione tra voti democratici e grandi città da un lato, e voti repubblicani e zone meno densamente popolate dall’altro. In un sondaggio (di due anni e mezzo fa) sulla percezione del riscaldamento globale, però, era stata testata una divisione di tipo diverso: sempre tra democratici e repubblicani, ma in ciascun gruppo rispetto al titolo di studio dei partecipanti. Bene: tra chi era al massimo arrivato a finire le superiori, era molto preoccupato del riscaldamento globale il 45% dei democratici e il 23% dei repubblicani. Se si prendevano i laureati, i democratici preoccupati crescevano al 50% mentre i repubblicani preoccupati scendevano all’8%, come si può vedere nel grafico qui a fianco. Il NYT assieme a Gallup ha allora provato a vedere cosa succedeva rispetto ad altri temi. In molti casi, pur con una differenza di base tra democratici e repubblicani, c’era comunque una correlazione tra il titolo di studio e le percentuali; in altri casi la correlazione era inversa. La cosa è abbastanza ovvia su certe domande, come quella “paghi troppe tasse?” (anzi, “pensi di pagare poche tasse o comunque una quantità corretta?”. Anche la formulazione delle domande conta), ma almeno a prima vista meno ovvia su una domanda riguardo al riscaldamento globale.

Quello che succede probabilmente è che è vero che la grande maggioranza degli scienziati conviene che il riscaldamento globale esiste ed è pericoloso (al limite discute sulla causa principale), ma c’è una minoranza che è in disaccordo, e non si perita di affermarlo con dovizia di ragionamenti. Cosa capita allora? Che i primi a prendere posizione netta sono i più acculturati, che sono più esposti a questo tipo di discorsi. Però il tema non viene visto come scientifico ma come politico, e ogni gruppo segue soltanto la bolla di chi la pensa come lui: il confirmation bias, il pregiudizio della conferma, che ti fa accettare solo quello che corrobora le tue opinioni non informate. Tutto questo è un problema, perché sposta la discussione fuori dal piano scientifico e quindi la rende assolutamente inutile (perché la discussione non è neppure nel piano politico; il cittadino medio sa di politica quanto di scienza, il che non sarebbe nemmeno un guaio se poi non si finisse nel tifo da stadio).

Ad ogni modo, la cosa che mi ha fatto più sorridere è la fiducia nei mass media degli americani. I democratici ne hanno molta più dei repubblicani, e soprattutto nei repubblicani diminuisce con l’aumento del livello di studi mentre nei democratici aumenta. Tenendo conto che i media cartacei negli USA sono di solito smaccatamente filodemocratici, direi che riescono molto bene a fare il loro lavoro: peccato (per i democratici, intendo) che ormai siano residuali. I repubblicani mi paiono molto più seri a non credere a Fox News :-)

Ultimo aggiornamento: 2020-07-09 16:41

Quizzino della domenica: fattoriali a gogo

Quanto fa

(10! + 9!)(8! + 7!)(6! + 5!)(4! + 3!)(2! + 1!)
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(10! - 9!)(8! - 7!)(6! - 5!)(4! - 3!)(2! - 1!)

approssimato all’intero più vicino? L’esclamativo è il simbolo del fattoriale, naturalmente.

(un aiutino lo trovate sul mio sito, alla pagina http://xmau.com/quizzini/p283.html; la risposta verrà postata lì il prossimo mercoledì. Problema tratto da Mind Your Decisions)

_Parole in gioco_ (libro)

Stefano Bartezzaghi tipicamente gioca con le parole. Ma è una persona serissima – d’altra parte per giocare davvero bene bisogna esserlo – e ha meditato a lungo sin dai tempi dell’università su come funzionino. In questo libro (Stefano Bartezzaghi, Parole in gioco : Per una semiotica del gioco linguistico, Bompiani 2017, pag. 272, € 17, ISBN 9788845282362, link Amazon) raccoglie i suoi pensieri, e cerca di farne una classificazione non puntuale ma semiotica, partendo sia dalla teoria di Saussure e Caillois che dallo sviluppo della cosiddette “enigmistica classica” avvenuto in Italia nel secolo scorso. Il risultato finale è per forza di cose incompleto, come chiunque abbia mai provato a costruire teorie di questo tipo scopre da sé; ma a mio parere la rappresentazione e il posizionamento del materiale aiuta a comprendere meglio ciò che sta dietro ai giochi di parole anche all’interno della struttura del discorso. Per esempio, è proprio vero che il gioco di parole abbassa sempre il registro linguistico? L’unica parte che ho trovato pesante è l’appendice sul pensiero di Saussure, che non mi pare aggiunga valore al testo.

Ultimo aggiornamento: 2017-12-27 22:13

Totò Riina

Stanotte è morto Totò Riina, dopo che ieri sera era entrato in coma. Stranamente non ho visto su Facebook (rectius: sulla mia bolla Facebook personale) moltissimi commenti, non dico in confronto all’eliminazione della nazionale dai Mondiali ma proprio in assoluto.
Io mi limito a ripetere quello che scrissi quando alcuni anni fa gli furono negati gli arresti domiciliari chiesti dai suoi legali viste le cattive condizioni di salute. Riina aveva diritto a tutte le cure mediche esattamente come una qualunque altra persona; ma non vedo perché potesse uscire dal carcere. Non era pentito. Perché avrebbe dovuto essere “premiato”?

Ultimo aggiornamento: 2017-11-17 12:36

Grande saggistica


Io so bene che la mia prosa è spesso arzigogolata, con incisi e sottoincisi che nemmeno Machiavelli. (Poi quando scrivo qui sul blog ci sono anche erroracci, ma questa è un’altra storia). Però non riuscirei proprio a terminare un capoverso e cominciare il successivo con un gerundio legato al capoverso precedente. Anzi, nel testo qui sopra non avrei neppure messo una virgola, altro che un a capo.

Temo che troverò molto pesante leggere questo saggio.

Ultimo aggiornamento: 2017-12-11 14:43

Ancora tNotice®

Ricordate la storia di tNotice®? Mario Velucchi mi segnala che in questi giorni tNotice® ha stretto un accordo con Tiscali. Del fantomatico algoritmo SHA-7 non sembra si parli più (per fortuna); restano tutti gli altri punti indicati nel mio post di tre anni fa, e per i quali non ho mai avuto risposta. (Ah, ho scoperto che c’era stata una discussione a riguardo anche su Wikipedia). L’unica cosa chiara è che tNotice® non può venire usato per atti giudiziari e multe, ma quello è dovuto alla legge 890/1982 che non è mai stata aggiornata nel suo articolo 1. D’altra parte non si vede perché il destinatario della “raccomandata elettronica tNotice®” debba “ritirarla”, quindi non vedo un grande miglioramento rispetto a una raccomandata qualsiasi.

Ultimo aggiornamento: 2017-11-16 09:56