Neanche a farlo apposta, dopo il mio pippone di ieri ho scoperto che Goodreads sta per eliminare con un preavviso minimo (una settimana…) un’enorme quantità di dati presi da Amazon, perché le condizioni d’uso sono diventate nel tempo sempre più restrittive e ora sembrano impossibili da gestire. Quelli di Goodreads stanno così chiedendo ai librarian di “salvare” i libri: c’è proprio un pulsante “rescue me” che permette di riscrivere i metadati del libro, indicando se la fonte è un sito (non una libreria online…) o la propria copia del libro. Il lavoro è massacrante: tanto per fare un esempio, io avrei 243 libri da rimettere in sesto.
Alcune considerazioni sparse:
– Mi domando quali siano i diritti che Amazon accampa sui “suoi” dati, che in pratica sono quelli che gli arrivano dagli editori qualche mese prima dell’effettiva pubblicazione dei libri.
– Come corollario, i libri che verranno salvati avranno dati migliori di quelli che ci sono stati fino ad ora. Garantisco che il numero di pagine, e a volte persino il titolo nel caso di editori minori, sono spesso errati e non vengono corretti se non dopo parecchio tempo: nulla di strano, perché tanto per dire il mio libro è stato aggiunto a fine novembre 2010 quando non avevo nemmeno terminato di correggere le prime bozze!
– È vero che i contenuti generati dagli utenti (user generated content) sono generalmente di buona qualità, soprattutto in casi come questo in cui chi opererà ha un interesse personale, ma sarebbe molto più logico che Goodreads si accordasse con gli editori. Tra l’altro già adesso c’è il campo “official URL”, che punta al sito dell’editore: una collaborazione di questo tipo è win-win, ancora più oggidì con i siti degli editori che fanno e-commerce.
Insomma, perché dover sempre sfruttare il volontariato senza mai pensare alla possibilità di accordarsi per generare dati semantici?
altro che web semantico
Premessa: come faccio quasi sempre, parlo di me stesso, visto che sono la persona che io conosco meglio.
Postpremessa: come sa chi mi legge, io nel mio piccolo cerco di produrre un minimo di aggregazione di conoscenza: recensisco i libri che leggo, faccio un po’ di post di argomento matematico, e via discorrendo. Questa conoscenza aggregata la spammo poi un po’ in giro.
Qual è il risultato pratico? Per esempio, se recensisco un libro non c’è solo il post sul blog, ma il tutto lo copio su aNobii,
Goodreads, Zazie, Amazon e Ibs (e ciascun sito ha piccole differenze, oltre a non avere a quanto ne so un’API: il che vuol dire che devo fare tutto a mano, mettendoci molto più tempo di quanto mi ci era voluto a scrivere la recensione stessa: per fortuna è ancora meno tempo di quello che ci metto a leggerlo, il libro). Per fare un altro esempio, starei cercando di raccogliere il secondo gruppo di post scritti sul Post, il che significa rimettersi a leggere quello che ho scritto, eliminare le idiozie peggiori, magari aggiungere qualche spunto dai commenti: non è un caso che stia procrastinando la cosa. Terzo e ultimo esempio: i problemini della domenica che hanno sostituito i giochi della domenica non sono solo sul blog ma anche sul mio sito, il che significa una preparazione relativamente complicata – nonostante abbia un template da copincollare per la struttura del file – e un doppio lavoro di editing.
Bene: tutte le volte che sento parlare di Web semantico, e sono più di quindici anni ormai, io continuo a chiedermi se chi ne parla ha ben chiaro tutto quello che servirebbe per fare un vero Web semantico. Io sono scettico sulla possibilità di un computer non tanto di aggregare dati (quello lo si fa egregiamente anche con metodi statistici, chiedere a Google per informazioni) quanto di estrarre effettivamente le informazioni in maniera utilizzabile da altri computer per ricavare qualcosa di diverso: e questo significa che questo lavoro lo dobbiamo fare ancora noi umani nonostante in tutto ciò di creativo non ci sia nulla. Mi sa tanto che alla fine si continuerà ad avere cose fatte alla bell’e meglio… e gli unici a guadagnarci saranno quelli che proporranno progetti sempre più arditi di Internet Molto Intelligggente.
Problema della domenica: Alla ricerca del tempo guadagnato
Tutte le sere prendo la metropolitana per tornare a casa: scendo al livello dei binari, aspetto il treno, salgo, faccio le mie cinque fermate, scendo e risalgo verso casa. Ieri però il treno mi ha chiuso le porte proprio davanti, e ho dovuto prendere quello successivo, che per fortuna è passato dopo novanta secondi (ah, la nuova segnalazione della Rossa!). Eppure ci ho messo esattamente lo stesso tempo per arrivare a casa. Come è possibile? Ho camminato alla mia solita (lenta) velocità, e non ci sono stati ostacoli come semafori o grumi osmotici di persone.
(un aiutino lo trovate qui; la risposta verrà postata mercoledì, a partire da quel link)
_Giochi matematici_ (libro)
Questo libro (Nando Geronimi (ed.), Giochi matematici, Centro Pristem 2009, pag. 134, € 12, ISBN 978-88-96181-02-7) è la raccolta dei problemi apparsi nei vari giochi matematici organizzati dalla Bocconi negli anni 2001 e 2002. Chi conosce i giochi sa che sono rivolti ai ragazzi dagli 11 ai 99 anni, anche se penso gli ultracentenari verrebbero comunque accettati: come si può immaginare, quindi, ci sono vari gradi di difficoltà. I problemi più interessanti, ma anche i piu complicati da risolvere, sono gli ultimi; le prime due parti sono invece alla portata di tutti, naturalmente con carta e penna per fare le prove e trovare il risultato o i risultati corretti… e se non ci si riesce, basta voltare pagina per trovare la soluzione spiegata in modo esauriente. Carine poi le “curiosità”, generalizzazioni dei problemi che permettono di capire come si può sempre provare a fare qualcosa di nuovo.
ricontestualizziamo!
A margine della morte di Giancarlo Bigazzi, oggi il Corsera cartaceo ospita un coccodrillo di Mario Luzzatto Fegiz, che mi è capitato sotto gli occhi mentre cercavo di svegliarmi con un cappuccino. Una frase mi ha colpito particolarmente:
«”Ti amo”, un testo apparentemente banale che ripete fino all’ossessione le due parole del titolo, ma ricontestualizzate in continui cambi di accordo»
A me delle critiche positive o negative importa poco. Però pensare che i “continui cambi di accordo” sono in pratica un giro di do (praticamente la seconda cosa che ti insegnano quando strimpelli la chitarra, la prima è La canzone del sole che di accordi ne ha tre invece che quattro) e metterci assieme una ricontestualizzazione fa venire in mente almeno a me una cosa sola: che si era preso MLF prima di scrivere?
(ps: sì, lo so che Bigazzi ne scrisse solo il testo e non la musica. Ma perché infierire?)
(pps: corretti i cognomi del critico)
Sii grassetto!
In questi giorni ha circolato per la rete una foto che mostra la prima e l’ultima pagina del Gazzettino di domenica scorsa. I titoloni in prima pagina parlavano del naufragio della Concordia: la pubblicità in ultima pagina ci invita a vincere… una crociera. L’immagine è vera, non un fotomontaggio: il direttore del Gazzettino si è scusato pubblicamente, spiegando che in effetti c’è un controllo che blocca le pubblicità “inopportune”, ma in questo caso il committente della pubblicità era un produttore di confetti (la crociera è semplicemente il primo premio del concorso), e i giornalisti in redazione sanno solo chi è il committente. Il sottinteso è che gli unici che avrebbero potuto accorgersi del problema sarebbero stati il committente e i tipografi: ma essendo capitato di sabato probabilmente non c’era nessuno nell’agenzia del committente, e questo non è certo lavoro per i tipografi.
Ci ho pensato un po’ su, e mi è venuto in mente uno dei concetti chiave di Wikipedia: il “be bold!”, che letteralmente dovremmo tradurre come “osa!” ma in maniera ufficiosa è reso iperletteralmente come “sii grassetto”. Sarà la mia abitudine a lavorare dal basso, ma mi sarebbe sembrato naturale che l’impaginatore notasse la pubblicità non proprio adatta al momento e cercasse qualcuno in redazione perché prendesse una rapida decisione.
Poi ci ho pensato ancora un po’, e ho capito che la cosa non poteva funzionare. Tralasciamo la considerazione banale “ma gli impaginatori ce l’hanno un numero di telefono per le emergenze?”, e vediamo cosa sarebbe successo se fosse effettivamente successa una cosa simile. Il giornale sarebbe uscito con un’altra pubblicità, il committente magari sarebbe stato più felice (non è detto, visto che comunque il primo premio del concorso resta quello, ma immaginiamo di sì), ci sarebbero state meno polemiche… Sì, ma. Il “ma” è che nessuno si sarebbe accorto di nulla, quindi il tutto non sarebbe esistito. E allora, chi gliel’avrebbe fatto fare agli impaginatori?
Un titolo che avevo pensato per questo post era “la banalità del meglio”: su queste cose sono un inguaribile utopico, ma credo davvero che sia appunto questa banalità del meglio che ci sta mancando per riuscire a tirarci su. Voi che ne pensate?
Giancarlo Bigazzi
Io ero convinto che Bigazzi fosse solo un (grande) paroliere. Gli potevo anche perdonare le collaborazioni con Marco Masini. Purtroppo è dovuto morire perché io potessi scoprire che era il leader degli Squallor, e soprattutto che non è solo stato un paroliere ma ha anche composto musica. Diciamolo: avrei preferito scoprirlo tra vent’anni.
i polli del Messaggero
<img src="http://xmau.com/notiziole/thumb/pollo.PNG" alt="[polli]" La tragedia della Concordia, e le italiane farse al contorno, sono arrivate sulle pagine dei quotidiani di tutto il mondo: soprattutto l'audio della telefonata tra De Falco e Schettino è diventata un hit internazionale. Così per esempio il New York Post ha sbattuto in prima pagina il "Torni subito a bordo, c*zz*!" (diventato "Get back on board for f*** sake!") denominando il capitano della nave da crociera "Chicken of the sea".
Ma non sono solo i blogh che si parlano addosso: anche la stampa spesso indulge a tali pratiche. Così il Messaggero nella sua versione online riporta la foto della prima pagina del New York Post spiegando all’italico lettore che all’estero Schettino è diventato “il pollo dei mari”. In effetti, se uno apre un qualunque vocabolario e cerca il lemma “chicken”, la prima parola che trova è “pollo”. Su questo non ci sono dubbi. Peccato però che una lingua non sia semplicemente un assemblaggio di parole: non per nulla i traduttori automatici sono spesso usati per fare quattro risate alla vista della “traduzione”. Ecco: il concetto inglese di “chicken” come persona paurosa è reso in italiano non da “pollo” bensì da “coniglio”, come credo tutti i miei ventun lettori sanno perfettamente, e come del resto sanno anche alcuni giornalisti del Messaggero: cliccando sul collegamento interno presente nell’articolo si arriva a un altro articolo dove il titolo inglese viene correttamente reso come “coniglio dei mari”.
È vero che un pollo non sa nuotare, ed è anche vero che questa figuraccia probabilmente non supererà le acque territoriali italiane: ma non sarebbe bello avere un minimo di controllo su quanto si scrive?