Per Ugo Malaguti

Segnalo questa raccolta di fondi (scade domani…) per Ugo Malaguti. Se non avete mai sentito parlare di lui, saltate pure questo mio post. Se siete della mia generazione, potete averlo apprezzato o no (io per esempio non sono certo uno dei suoi più grandi estimatori), ma ricordatevi che la SF in Italia non è nata solo con Solmi, Fruttero e Lucentini ma ha anche avuto il controcanto di Vittorio Curtoni e Ugo Malaguti.

Quizzino della domenica: cento cappelli

Come sapete, i perfidi dittatori che prima di ammazzare i loro prigionieri gli ficcano in testa dei cappelli si sprecano. Questa volta ci sono 100 prigionieri, ognuno di essi ha un cappello o rosso o verde (ce ne sono scorte illimitate, quindi non si può fare conto sui colori che si vedono), i prigionieri sono in fila indiana su una scalinata in modo che ognuno possa vedere solo quelli davanti a lui (ma non sé stesso), e a partire da quello in cima ognuno deve indovinare il colore del proprio cappello, pronunciandolo ad alta voce (e quindi tutti ascoltano). Chi indovina verrà graziato.
Se i prigionieri possono consultarsi prima della prova e studiare una strategia, potranno salvarsi più di 3/4 di loro?
(un aiutino lo trovate sul mio sito, alla pagina http://xmau.com/quizzini/p145.html; la risposta verrà postata lì il prossimo mercoledì. Problema tratto da Futility Closet.

_Matematica proverbiale_ (libro)

[copertina] Che hanno a che fare i proverbi con la matematica? Beh, a prima vista poco: sì, ci sono detti come “fatto trenta, facciamo trentuno” oppure “non c’è due senza tre” che sono formalmente aritmetici, e ci sono proverbi per così dire logici come “chi non comincia non finisce”. Ma Riccardo Bersani ed Ennio Peres non si sono fermati a queste banalità e ci hanno scritto un intero libro (Riccardo Bersani ed Ennio Peres, Matematica proverbiale, Ponte alle Grazie 2013, pag. 278, € 14, ISBN 978-88-6220-761-4)!
Occhei, l’idea è quella di prendere i proverbi come spunto per parlare di matematica. Così da “Segreto di due, segreto di Dio; segreto di tre, lo sa pure il mondo” si parla di crittografia; “o tutto, o nulla” è una scusa per introdurre la notazione binaria; “chi conta sul futuro, sovente s’inganna” ci porta a parlare del problema di Monty Hall. La scelta degli autori, anche se a prima vista può sembrare balzana – e in effetti alcuni dei passaggi logici dal proverbio al tema matematico a me sembrano più che altro illogici – risulta però interessante, da un lato perché mostra come i proverbi abbiano una loro logica ancorché stringata, e dall’altro perché permettono al lettore di capire come la matematica in fin dei conti pervada il mondo, e basta una piccola scusa per ritrovarsela tra i piedi. E allora, non è meglio conoscerla che evitarla? La lettura è insomma divertente, forse più per coloro che di matematica non ne hanno mai fatta tanta. Nel peggiore dei casi impareranno nuovi proverbi.
Peccato che gli autori non siano piemontesi, perché avrebbero avuto a disposizione un bellissimo proverbio di Usseglio, paese di adozione della mia mamma, situato ai piedi del monte Lera: “Se la Lera a l’ha ‘l capel, ò ch’el fa brut ò ch’el fa bel”. Tradotto nel linguaggio della logica matematica, X AUT (NOT X) = VERO. Visto che tutto torna?

Calendari riciclati

Repubblica si è immediatamente allineata alla bufala che sta circolando in questi giorni, e illustra come quest’anno possiamo riciclare i calendari del 1986. Anzi, con le parole stesse di Rep., «I calendari vintage del 1986 tornano utili in questo 2014: le date dei due anni, infatti, sono allineate e rendono utilizzabili i vecchi calendari di 27 anni fa come fossero nuovi.» (Come? 2014 meno 1986 fa 28 e non 27? Quisquilie e pinzallacchere).
Peccato che la cosa non funzioni. Certo, anche nel 1986 Capodanno cadeva di mercoledì. Ma Pasqua capitò il 30 marzo, mentre quest’anno sarà il 20 aprile. Quindi il giorno di Pasquetta è diverso, e il calendario non funziona più. La cosa più divertente è che l’ultimo anno in cui Pasqua cadde il 20 aprile (almeno per noi cattolici) è stato il 2003; quello sarebbe un calendario riciclabile… ma non abbastanza adatto per il quotidiano scalfariano, evidentemente!

Bip Immobile

(attenzione: questo mio post è molto basato su sensazioni personali e poco su fatti. Non fidatevi troppo).
A quanto pare, gli utenti di Bip Mobile sono stati “terminati” il 30 dicembre, quando il suo fornitore di connettività, Telogic, ha chiuso i rubinetti a causa di suoi crediti insoluti. Telogic (Italia) a sua volta è più o meno sopravvissuta al fallimento della casa madre, Telogic Dansk, tanto per dire.
Quello che sta succedendo poteva forse essere prevedibile. Innanzitutto ho scoperto – e non ditemi che lavorando nel campo avrei dovuto saperlo – che in telefonia mobile non ci sono solo gli MVNO (Mobile Virtual Network Operator, operatori mobili virtuali che non hanno reti proprie ma le affittano dagli altri operatori, come CoopVoce, PosteMobile e simili) ma anche gli MVNE (Mobile Virtual Network Enabler), cioè attori che si mettono in mezzo tra gli MVNO e gli operatori reali. Continuo a pensare che l’aumento degli intermediari incasini soltanto le cose.
Ma poi, avete fatto caso alla pubblicità che Bip Mobile faceva? Si definivano “operatore telefonico low-cost”. Il modello low-cost è nato nel trasporto aereo con la deregulation: gli operatori offrivano un servizio più spartano sulle direttrici più profittevoli, e quindi permettevano di risparmiare sui vettori di bandiera che avevano prezzi improponibili ma un servizio più capillare. Peccato che gli operatori sopravvissuti (quindi non considero Alitalia, ma se per questo nemmeno Sabena…) abbiano contrattaccato, e anzi è strano che in queste vacanze di fine anno non sia fallita nessuna società aerea (sempre non considerando Alitalia). In telefonia mobile il concetto di “servizio più spartano” non è ben chiaro; inoltre in questi ultimi tre anni c’è stata una guerra feroce sulle tariffe che ha lasciato mezzo morti anche gli operatori veri e propri. Di Tim sapete fin troppo bene, Wind sembra avere 12 miliardi di debiti, e non stiamo a parlare di Tre, con Hutchinson Whampoa che ha tentato di fonderla con Tim per scappare dall’Italia. Gli unici che al momento respirano sono quelli di Vodafone, perché hanno avuto un’iniezione di capitale fresco vendendo la rete USA. In queste condizioni, su quali margini possono contare gli intermediari? Ecco.

Test di Capodanno: qual è la tua età mentale?

Anno nuovo vita nuova? Non lo so, però se volete potete divertirvi con questo test che in 31 semplici domande misura la vostra età mentale.
Per vostro sollazzo, questi sono i miei risultati:
Età anagrafica: 50
Età mentale: 29
Grado di innocenza: 72
Grado di maturità: 43
Grado di anzianità: 44
Non avevate dubbi, vero?
(per vedere i dettagli io sono stato costretto a cliccare il tab “dettagli”, poi “età mentale” e ancora “dettagli”. Mica ho capito perché…)

La grande bellezza

Per dare un po’ di gioia a Guia Soncini (che è già uscita con uno dei suoi amabilissimi commenti prima ancora che io mi mettessi a scrivere qualcosa… mica posso deluderla) mi sono deciso a leggere e commentare questo post di Massimo Mantellini che racconta della sua ricerca negli inferi delle pagine di risultati di una ricerca di Google. A Mantellini pareva di ricordare che quando il film era uscito le recensioni fossero state molto schierate (o estremamente positive o estremamente negative), ma i primi risultati non erano quelli che voleva lui e quindi è dovuto andare sino alla ventesima pagina. Bene. Ho provato anch’io a fare la stessa ricerca (“la grande bellezza”, senza le virgolette) e ho avuto risultati simili, tranne che il suo post adesso è nella top ten. Peccato che questo non significhi nulla, se non che in effetti gli algoritmi di Google ogni tanto hanno delle pecche (e sarebbe divertente scoprire dove *questo* mio post si situerà: qualcuno vuole fare la prova?) Ecco perché la cosa non significa nulla, almeno a mio parere.
(1) Google non sa cosa voglio cercare (beh, non è proprio vero, ma di quello ne parlo dopo). Tanto per dire, fino a stamattina la frase “La grande bellezza” a me non diceva proprio nulla: è tanto se sapevo che l’ultimo film di Sorrentino, qualunque fosse il suo nome, era entrato nella short list dei nove film stranieri tra cui verrà scelta la cinquina. (Occhei, a me il cinema interessa zero, ma quello è un mio problema). Di per sé, il fatto che Google abbia “capito” che si parlasse del film è un grande risultato.
(2) Scordatevi tutte le palle che avete sentito sui motori di ricerca semantici. Non funzionano, scommetto che non funzioneranno nei prossimi cinque anni, e scommetto che tra cinque anni potrò rifare la stessa identica scommessa. Gli algoritmi di Google funzionano secondo tecniche di tutt’altro tipo (fondamentalmente statistiche su quantità enormi di dati): è sempre stato così e le cose non cambieranno presto. Non è un caso che tra i primi link ritornati da una ricerca ci sia quasi sempre la voce di Wikipedia al riguardo e che in alto a destra di questa ricerca particolare ci siano i siti di recensioni cinematografiche: l’unico modo che Google ha per inserire della “semantica” nei suoi risultati è decidere a priori che certi siti sono semanticamente importanti in assoluto (Wikipedia) o in relativo (se statisticamente La grande bellezza è un film, allora si evidenziano i siti che recensiscono film)
(3) Non è nemmeno strano che ci siano le ultime notizie dei media e non quelle uscite a suo tempo. Perché io che faccio una ricerca oggi dovrei essere più interessato al passato che al presente? E se la gente clicca sui siti dei media, perché Google non dovrebbe indicizzarli più che altri siti snobbati? (a parte naturalmente perché gli editori non lo vogliono… mai capito perché non facciano un opt-out esplicito sullo spider di Google, è banalissimo) (no, lo capisco benissimo, tranquilli). In effetti nelle opzioni di ricerca avanzata manca una spunta “elimina le voci più recenti di tot”, ma non saprei in quanti la userebbero.
(4) In realtà Google sa fin troppe cose di noi che non siamo i suoi clienti ma i suoi fornitori (di dati): quindi, se Mantellini cercasse spesso recensioni, le recensioni dovrebbero salire in alto nei risultati della *sua* ricerca. Non so se ipotesi e tesi siano vere, però.
(5) Riprendendo il punto 2: come fa Google a immaginare che Mantellini (o chiunque altro) voglia comunque vedere le recensioni negative e non solo le positive, e voglia vedere le recensioni “della rete” (qualunque cosa voglia dire) e non quelle dei siti specializzati? Per il secondo punto, ricaschiamo sul modello statistico: al 99% delle persone che vogliono leggere una recensione di quel film importuntubo che Leonardo ne avesse parlato a suo tempo. Per il primo punto, per non saper né leggere né scrivere avrei fatto una ricerca “la grande bellezza recensioni negative” (che tra l’altro mi appare prima di finire la frase, il che significa che non sono l’unico ad avere avuto questa brillante idea). I risultati, da una mia veloce scorsa, non saranno il massimo: ma abbiamo tolto Wikipedia, abbiamo tolto giornali e affini, abbiamo mandato molto in giù i siti di cinema mainstream. Certo, poi possiamo discutere sulla qualità delle pagine che vengono ritornate: ma ancora una volta non esiste un modo di valutare automaticamente la qualità di una pagina, ma solo la sua popolarità.
Su una cosa però mi sento di dare ragione a Massimo. Nell’ultimo anno o due c’è un forte inquinamento di risultati, con una serie di siti fotocopia che incollano lo stesso testo (anche in ispregio al copyright, ma non è di quello che voglio parlare). Dieci anni fa questo non succedeva per l’ottima ragione che non capitavano così spesso queste scopiazzature. Il guaio è che l’algoritmo che trova “le pagine simili” non sta funzionando così bene come un tempo, e Ciò È Male… anche se poi basta saper fare bene la ricerca e tutto si rimette a posto.
In definitiva? L’internauta comune dovrà reimparare a fare ricerche. Se non ci riuscirà, peggio per lui.