torna l'aviaria?

Oggi solo due microsegnalazioni da City. Anzi no, un’altra cosa da dire ci sarebbe: gli altri due quotidiani gratuiti oggi non hanno dedicato una singola riga ai commenti relativi alla ennesima rivoluzione di Telecom Italia. ritenendo più importanti notizione come il nuovo look tricologico dei conduttori televisivi (Leggo, of course) oppure a un risarcimento dopo trent’anni di cause (Metro). A chi si chiede come mai City qualcosa dica, rispondo che tante voci affermano che quel che resterà di Telecom, cioè la parte relativa ai media, potrebbe fondersi con RCS. Tutto torna!
Tornando alle notizie indimenticabili, segnalo un’ingiusta disparità di trattamento. La Cassazione ha infatti sentenziato che i politici che fanno il salto della quaglia e cambiano schieramento non possono dire nulla contro gli ex compagni di partito “che li definiscono pubblicamente come ‘Giuda’ e ‘traditori’. Tutto ciò è bellissimo, ma mi sa tanto che se fosse un comune mortale come noi a dire la stessa cosa la querela non ce la toglierebbe nessuno. Per quanto riguarda la salute, invece, fa scalpore l’affermazione dei ricercatori del Children’s Hospital di Boston, che hanno affermato che il virus dell’influenza è stato “cancellato” nella stagione 2001-2002 grazie al blocco dei voli aerei decretato nei giorni successivi all’11 settembre. Prendere una misura simile (il blocco, non gli attentati) potrebbe dunque essere utile in caso di un’epidemia di aviaria per guadagnare tempo per un vaccino, termina il lancio. Ovviamente i ricercatori da un lato sono convinti che basti qualche giorno perché La Scienza Riesca A Trionfare Sulla Malattia, e sicuramente non sono così preoccupati di quelli che moriranno dall’altra parte del mondo mentre gli States saranno un’isola felice.
Ma guardiamo un po’ oltre l’immediato. Com’è che si ritorna a parlare dell’aviaria? Oltre a questo, c’era un altro articoletto che spiegava che il virus non si annida principalmente nel naso come capita per la normale influenza, ma nella gola: non che io riesca a vedere cosa si può ricavare da questa scoperta, ma non sono certo un medico. Più divertente cercare di scoprire che cosa è successo in questi ultimi giorni, dopo che per mesi i media si erano praticamente scordati dell’esistenza di quella (teorica) epidemia :-)

La sconfitta

Lo sapete, io in Telecom ci lavoro, praticamente da vent’anni. Non sono certo così in alto nella gerarchia da avere notizie di prima seconda o anche quinta mano, ma le cose si vedono. E quello che vedo io è una sconfitta completa di Marco Tronchetti Provera e di Riccardo Ruggiero: ecco la storia vista da dietro i miei occhiali. Per una volta non sarò breve.
Fase 1, o “come comprare una società con i soldi della società stessa”. Dopo la privatizzazione fatta in fretta e furia dal governo Prodi I per guadagnare due lire senza pensare alla situazione italiana, arrivò il ragionier Colaninno con un’OPA fatta da una società, Tecnost, il cui capitale era una frazione di quello di Telecom. E allora, dove li ha trovati i soldi? Semplice: facendoseli prestare dalle banche, indebitando così Tecnost a dismisura, e poi fondendo Tecnost con Telecom e accollandole così il debito. Due anni dopo Tronchetti fece esattamente la stessa cosa: stavolta Telecom fu comprata da Olivetti, che poi fu anch’essa fusa con Telecom. Quindi in entrambi i casi Telecom Italia è stata comprata con i soldi di Telecom stessa, o se preferite facendo indebitare alla follia una società che era un dinosauro ma aveva una posizione invidiabile.
Fase 2, o “come tirare fuori i soldi”. MTP comprò Telecom a metà luglio 2001, praticamente in contemporanea col mio trasferirmi da Tilab a Rozzano in Saritel. Una delle ragioni di questa scelta fu la visione del piano industriale del “collega Andrea” (che di cognome fa Granelli, uno dei tanti “figli di” nel management, e che era inopinatamente diventato presidente di Tilab). Dalla mia scrivania, ho subito tutta una serie di cambi di casacca.
A gennaio 2003 Saritel e le altre società di informatica del gruppo vennero fuse in IT Telecom. L’idea era ottima: eliminare i doppioni (e un po’ di dirigenti) e creare una società con una massa critica. Peccato che tre mesi dopo la nascita di IT Telecom cominciarono le spinte centrifughe, mandando fuori un terzo dei dipendenti.
Ad aprile 2004 la spinta centrifuga era praticamente completata, e mentre molti dei miei colleghi furono assorbiti da Telecom Wirelien noi finimmo in Tim. Di per sé anche questa logica era sensata: si costruiva una società di telefonia che sapesse farsi le cose in casa. L’assunto era abbastanza falso, visto tutti i consulenti che c’erano ancora, ma facciamo finta di niente.
Arriviamo a metà 2005: viene annunciata la fusione tra Tim e Telecom. Per me la cosa era un’idiozia, perché significava aumentare ancora di 15 miliardi di euro un indebitamento che era già eccessivo. E non ero il solo a pensarlo, considerando che anche Marco De Benedetti, come già l’anno prima Mauro Sentinelli, se ne andò via sbattendo la porta. Però si poteva anche provare a dare credito a Tronchetti ed a Riccardo “Speedy” Ruggiero, un altro dei figli di. In fin dei conti è probabile che ci sarà una convergenza fisso-mobile, e se si prova ad anticipare le altre compagnie ci si può portare avanti e fregarli.
Fase 3, o “bambole non c’è una lira”. L’annuncio di ieri naturalmente non può essere fatto per “avere una maggiore flessibilità”. L’unico che può far finta di crederci è l’ineffabile Giuseppe Turani: ma di questo ne parlo dopo. La ragione è molto più banale: la scommessa è stata persa su tutta la linea. Il valore delle azioni Telecom, invece che risalire, è ancora sceso, ed è arrivato più o meno a metà di quello che la controllante Olimpia ha in bilancio. Prima o poi MTP dovrà svalutare la sua quota, e quindi essere in debito di soldi e sotto il rischio di una scalata su di lui. Si è già venduto il vendibile: non solo tutte le partecipazioni create da Colaninno (altro bagno di sangue della Niu Economi), ma anche quelle di telefonia mobile create in America Latina. Al momento resta solo Tim Brasile, ma lo sapevo persino io che non appena qualcuno fa un’offerta decente sparirà anch’essa. Persino la quota della turca Avea è stata ceduta. Ma non solo: si sono venduti anche tutte le centrali, e ricordo a chi non lo sapesse che il patrimonio immobiliare di Telecom aveva un valore enorme. Niente. Tutto questo non basta, e adesso bisogna vendere l’ultimo gioiello di famiglia, cioè l’ex-Tim, e se possibile rifilare allo Stato la parte di infrastruttura di rete. Non che sappia come Prodi II possa riprendersi a caro prezzo quello che Prodi I ha venduto, tenuto poi conto che a parte la mancanza di soldi nell’Erario Bruxelles sarà pronta a bloccare quello che in pratica è un aiuto di Stato; ma la coppia T&P è ridotta a dover sperare in questo. E al riguardo è significativo il fatto che il CdA Telecom, in cui dieci membri su venti dovrebbero in teoria essere indipendenti, ha approvato all’unanimità il piano; la situazione è davvero tragica. In una nazione normale, il padrone se ne sarebbe già andato via da solo; ma noi siamo in Italia, e T&R sono certo che resteranno al loro posto. Ma forse il simbolo più incredibile di questa rovina è la dichiarazione che Emilio Miceli (il segretario generale della SLC, la CGIL di noi telecomunicazionisti) ha scritto ieri mattina. Il testo non era da tradurre dal sindacalese. Come mi ha detto il mio collega torinese Ugo, “deve avere avuto davvero fretta per non oscurarla” :-)
Post Scriptum, o “perché queste cose non si sanno?” Se qualche anima pura si chiede allora perché Turani è così felice, forse è meglio che pensi a questo piccolo particolare: come giustamente fa notare Mantellini, Telecom è ancora oggi uno dei maggiori inserzionisti pubblicitari per i giornali e la televisione. È difficile dire le cose in maniera chiara, quando corri il rischio di vederti tagliare una buona percentuale dei tuoi introiti pubblicitari. Intendiamoci, questo vale anche per Vodafone, tanto per dire, e non è una peculiarità di Telecom; però in questi casi non si può dire “mal comune, mezzo gaudio”. Per fortuna oggigiorno è possibile recuperare le notizie per altre vie: personalmente trovo che gli interventi più lucidi siano quelli di Luca De Biase, che già sabato scorso aveva azzeccato tutto. Altri preferiscono Stefano Quintarelli o Beppe Caravita, che tanto si linkano tutti tra di loro quindi li trovate lo stesso. Ma tanto quello che conta davvero non è seguire pedissequamente quello che dice qualcuno “famoso”, (tantomeno i miei sproloqui!) ma usarlo per farsi un’idea a trecentosessanta gradi. Forse persino beppegrillo™ può essere utile.

<em>Off Broadway</em> (mostra)

La mostra al Pac chiuderà il 17 settembre; domenica Anna mi ha chiesto se volevamo andare a vederla e io ho quasi immediatamente accettato, pur immaginando a che cosa sarei andato incontro. Off Broadway è una collettiva di giovani fotografi – che poi tanto giovani non sono, ce n’è uno che ha due anni più di me – dell’agenzia Magnum. Il foglietto esplicativo spiega che la mostra è «una blanda coalizione tra creatori di immagini profondamente individualisti», che io traduco come “da soli non ce la facciamo a farci fare una mostra, magari tutti assieme sì”. È vero che io sono assolutamente refrattario alle foto, se non in casi eccezionali, diciamo uno scatto su venti presentati: quindi non prendete come oro colato questa mia recensione. Però scoprire che Rosso, l’«opera creata site specific per la mostra milanese» (è sempre l’anonimo estensore delle note che lo fa presente) è un’ecografia di un cuore durante un’operazione, pardon, «il cuore pulsante di Off Broadway, organismo che ha preso corpo nelle sale del PAC», mi ha fatto capire che i cinque euro di ingresso che ho speso avrei potuto sfruttarli meglio. Le uniche installazioni che mi sono abbastanza piaciute sono Landscape, una serie di scatti di distruzioni varie – guerra, inondazioni e altre tragedie – e Propaganda, un video con spezzoni ultrarapidi di immagini di politici che serve per costruire un’impressione in chi lo guarda. In tutto, un po’ poco.

tutti in giro!

Qualche giorno fa mi chiedevo come mai la gente per strada sembrava sempre più imbranata. Non sono ancora certo sicuro di quale o quali fossero le risposte giusto, però un dato oggettivo ce l’ho: c’è più gente. D’accordo che piazza XXV Aprile è chiusa per lavori, ma gli anni scorsi non mi è mai capitato di trovare un ingorgo unico da Melchiorre Gioia a Moscova; e quello in circonvallazione all’altezza del Naviglio Pavese era anche superiore al solito.
Non ho bene capito che cosa abbiano tutti da fare, ma sarei molto più felice se riuscissero a farselo a casa, e/o quando io sono in ufficio :-)

Tempi duri per i ladri!

Ieri avevo parecchia roba da scrivere (per la gioia dei miei affezionati lettori…) e poco tempo a disposizione, visto che qua bisogna anche lavorare; così non mi è riuscito di segnalarvi un’interessantissima notizia tratta dalla sezione “metrosoldi” di Metro. In pratica, la Corte di Cassazione ha confermato la validità della norma del 1994 sulla “tassazione dei proventi illeciti”. Che significa? Che il malandrino che commette rapine, furti, truffe e quant’altro non solo – ammesso e non concesso che venga pizzicato e condannato – dovrà rispondere dal punto di vista penale; ma l’Agenzia delle Entrate ha il diritto di chiedere che sui redditi percepiti in questa maniera vengano pagate le tasse, immagino con un’aliquota forfettaria tipo il TFR considerando che i soldi saranno stati grattati parecchi anni prima. Ma c’è di più: quest’anno il decreto numero 223 ha ultimamente stabilito che le spese sostenute per conseguire questi redditi illeciti non sono deducibili, e quindi non si può chiedere un rimborso per il costo dell’acquisto delle mitragliette… di cui sicuramente il grassatore aveva conservato la fattura d’acquisto. Il tutto almeno fino al prossimo pronunciamento dell’Alta Corte: secondo alcuni fiscalisti quest’ultima norma è infatti incostituzionale, credo secondo il famoso principio “Gli Affari Sono Affari” (© Filo Sganga)
Permettetemi un’ultima battuta. La norma indicata all’inizio non è del 1994, ma è contenuta nella finanziaria 1994 (articolo 14, comma 4, della legge n. 537 del 24-12-1993, potete leggere qualcosa in più qua). Non avevate mica pensato che fosse arrivata all’inizio della XII legislatura, vero?

Gli sconti di Esselunga

Chi vive a Milano è probabile che sia andato qualche volta a comprare da Esselunga. Un paio di settimane fa Altroconsumo ha persino affermato che il negozio di via Cagliero è il più economico di Milano. Secondo me hanno semplicemente provato tutti i punti vendita a meno di 1500 metri dalla loro sede milanese, perché è l’unica possibilità logica che ci sia per avere provato quel punto vendita; ma non divaghiamo.
I supermercati del signor Caprotti hanno sempre avuto una politica peculiare: avevano iniziato con i prodotti low cost con il marchio Fidél, poi sono passati a quelli di qualità brandizzati (bleah) con il marchio Esselunga; avevano tirato fuori la carta di fidelizzazione, con il poco fantasioso name “Fìdaty card” e gli sconti per chi aveva la carta; da qualche mese non c’è nemmeno più il blocchetto degli sconti, ma essi vengono calcolati automaticamente facendo la spesa con la carta, il che è anche una comodità. Lo so, la si paga con il fatto che sanno quello che compri: ma su questo ognuno deve fare delle scelte. Una delle cose che però sta capitando ultimamente è vedere dei bollini gialli “20%” “30%” “40%” che indicano la percentuale di sconto sul prodotto (per chiunque), e la scritta “il prezzo sulla confezione è già scontato”.
Domenica eravamo al supermercato di viale Zara a prendere due cose, e ho anche comprato una confezione di erba gatta, che aveva il bollino “30%”. Guardo il prezzo, che era 80 centesimi tondi, e faccio un po’ di conti. Per raggiungere questo prezzo, quello originale doveva essere di 1.13 euro che – come tutti quelli che frequentano un supermercato sa – non è così probabile. Ho quindi dedotto che all’Esselunga i bollini di sconto sono solo degli specchietti per le allodole. Ma io sono notoriamente pignolo, e mi sono ricordato che la settimana scorsa avevamo comprato la stessa confezione con solo il 20% di sconto. L’erba era stata buttata via, ma il cartoncino intorno era stato messo nel sacchetto della carta per essere riciclato con calma. Così, arrivato a casa, tiro fuori il cartoncino, già tutto goduto: e scopro che il prezzo era 91 centesimi, il che torna perfettamente con l’ipotesi di un prezzo ufficiale di 1 euro e 13 e sconti variabili. Insomma, almeno in questo caso, io ho peccato di cattivi pensieri!

Moggi e Mastella

Ieri a Quelli che il calcio e…, o qualunque sia il nome della trasmissione quest’anno, c’è stata un’intervista a Lucianone Moggi, che ovviamente non ha perso tempo nel sostenere che lui è soltanto una vittima e che la vera cupola è un’altra. Per quel poco che può valere la mia opinione, la pena inflitta alla Juventus è corretta ma avrebbero dovuto infliggere condanne simili alle altre squadre, e quindi in un certo senso Moggi avrebbe anche ragione di lamentarsi, ma ammetto che della cosa me ne importa poco.
Molto più divertente è vedere la levata di scudi dei giornalisti Rai che si sono lamentati per la mancanza di contraddittorio in trasmissione, con «l’informazione sportiva della Rai» che ha «subìto l’ennesimo esproprio». Tralascio i commenti sull’informazione Rai e faccio solamente notare che la trasmissione in questione non è una trasmissione sportiva credo dalla sua nascita, e sicuramente non negli ultimi due anni. Quello che mi aspettavo là era appunto Gene Gnocchi che tira fuori una cartina dell’Italia, la mostra a Moggi e gli chiede “scusi, lei che è esperto, mi sa dire dove il telefonino non prende?”. E quello che purtroppo mi aspettavo pure è la prezzemolaggine del nostro Guardasigilli, il Clemente Mastella da Ceppaloni che al momento è migliore dell’ingegner Roberto Castelli solo perché a differenza di quest’ultimo non si è messo a fare leggi sulla giustizia. Ma in effetti non si poteva credere a un’atto di accusa dell’Usigrai contro un ministro.

una volta c'era Popov

Trent’anni fa o giù di lì c’era una barzelletta sui russi che affermavano che tutte le invenzioni moderne erano in realtà state fatte da un russo, un certo Popov. Non mi ricordo come andasse a finire la barzelletta, forse non era nemmeno tanto divertente. Però quando stamattina ho letto il trafiletto su Metro la cosa mi è tornata in mente, e adesso che Rep. è arrivata sulla notizia non posso esimermi dal commentarla.
A quanto pare Muhammar Gheddafi, durante i festeggiamenti per il settimo anniversario dell’Unione Africana, ha affermato che “Coca-cola, Pepsi Cola e Kiti Cola sono fatte con piante africane” e quindi le multinazionali devono ricompensare. Metro diceva addirittura che le piante sono libiche, il che avrebbe più senso. Ci si può chiedere come mai Repubblica abbia deciso di attenuare il discorso; ma io mi faccio un’altra domanda. Ho provato a fare una ricerchina su Google News; naturalmente non ho messo come chiave “gheddafi”, visto che lo potrei trovare scritto Kaddafi, Qaddafi o chissà come, ma più banalmente “Kiti”. Bene: le uniche fonti che ho trovato sono italiane. Direi che parte tutto da questo lancio Adnkronos. Ergo, amemsso che io non abbia sbagliato a fare la ricerca, significa che nel resto del mondo di tutto questo non gliene può fregare di meno. Insomma, il nostro giardinetto di casa non va dalle Alpi al Lilibeo, ma continua a raggiungere anche la Libia: e poi ci stupiamo delle sortite di Gheddafi? Lui lo sa bene che lo stiamo ad ascoltare!