ALG mi fa notare una chicca niente male legata alla Rai e ai telefilm della serie Numb3rs. Uno dei personaggi della serie si chiama Amita Ramanujan, e il suo nome è un chiaro omaggio a Srinivasa Ramanujan, matematico autodidatta indiano noto per la sua collaborazione con G.H.Hardy all’inizio del secolo scorso.
Il punto è che per l’estensore della scheda sul sito della Rai Ramanujan (la persona realmente esistita, non il personaggio del telefilm) è «unautodidatta matematica indiana». Insomma, ha cambiato sesso: in fin dei conti, il nome non finisce per a? Chissà, magari l’estensore ha pensato che tra i due ci fosse stata una storia di sesso… (che, data l’omosessualità di Hardy, sarebbe stata ancora più improbabile :-) )
Ambientalismo kazako?
No, Borat non c’entra nulla. Qui si parla di cose serie, tipo il grande giacimento petrolifero sotto il mar Caspio per il quale si sta aprendo un contenzioso tra il governo del Kazakistan e l’Eni, che inopinatamente è a capo del consorzio internazionale di sfruttamento. L’ultima notizia è che il governo locale ha imposto uno stop di tre mesi, “per mancato rispetto delle normative ambientali”.
Si può credere a tutto, non c’è problema. Però Anna lì ci è stata due anni fa, per tenere delle aule di formazione ai tecnici di quel consorzio, e mi aveva detto (ripeto, due anni fa) che il Caspio era del tutto inquinato e non gliene fregava nulla a nessuno, ma in compenso erano tutti incazzati con l’Eni (il governo kazako, ma anche i partner del consorzio) per i ritardi enormi. In pratica l’estrazione sarebbe dovuta iniziare l’anno scorso, mentre adesso le stime parlano del 2010. Non mi stupirei, insomma, se “casualmente” tra un mese o due trovassimo sui quotidiani un trafiletto dove tutti i contrasti saranno stati sanati epperò il nuovo capofila sarà Shell oppure Exxon.
Lo Schaum del XXI secolo
Non so se ne abbiate mai sentito parlare, ma quando ero un giovane studente universitario i manuali ed eserciziari Schaum erano la cosa più simile a una premasticazione dei corsi di laurea in materie scientifiche. Con una copertina arancione che riusciva a mettere tristezza solo a vederla, venivano considerati l’ultima spiaggia per chi proprio non riusciva a capire il programma di studi e cercava in qualche modo di strappare un diciotto, da cui il motto “Chi sa, sa; chi non sa, Schaum”.
Nell’era elettronica giocano un concetto simile i cheat sheet. Questi “fogli per barare” contengono in una dimensione ridottissima – spesso si possono stampare in un foglio A4 – i comandi di base per usare un programma: a differenza degli Schaum (o forse proprio come da loro?) non ci riesci a imparare sopra nulla, però se sai già più o meno cosa fare sei a posto senza dovere spulciare chissà quante pagine di un libro.
Fatta tutta questa premessa, sono lieto di farvi sapere che Cheat Sheets raccoglie una quantità enorme di cheat sheet, e quindi è il vero Schaum!
_Penna, pennello e bacchetta_ (libro)
In questo libro, che è la raccolta in forma cartacea di tre lezioni tenute all’università di Bologna (Piergiorgio Odifreddi, Penna, pennello e bacchetta, Laterza “Lezioni italiane” 2006 [2005], pag. X-194, € 7.50, ISBN 9788842079699), Piergiorgio Odifreddi ufficialmente dovrebbe raccontare quali sono “le tre invidie del matematico”, vale a dire le arti della scrittura, della pittura e della musica che dovrebbero essere appunto appannaggio della parte destra del cervello, in opposizione a quella sinistra dedicata al ragionamento logico. Inutile dire che all’atto pratico, più che dell'”invidia”, Odifreddi parla di come in realtà ci sia matematica dietro tutte queste arti. Il risultato pratico è piuttosto disuguale: le prime due sezioni sono un po’ tirate per i capelli, mentre la spiegazione di come si è evoluta la teoria matematica alla base della musica è venuta molto bene. In genere, l’arte affabulatoria del nostro si vede alla grande, e rende la lettura molto piacevole: nella foga oratoria, si è perfino dimenticato di mettere troppe delle sue usuali frecciate anticlericali (sì, qui si parlerebbe di arte e non di religione: ma si sa che questo non è mai stato un limite). Ogni tanto però si lascia trasportare un po’ troppo, come quando a pagina 75 afferma che “la successione telescopica di pentagoni e stelle… suggerisce che la diagonale e il lato del pentagono siano grandezze fra loro incommensurabili”; frase piuttosto azzardata, come si vede facendo una successione telescopica di triangoli equilateri uno dentro l’altro.
Cultura subalpina
I miei lettori piemontesi sanno che Specchio dei tempi, la rubrica delle lettere dei lettori de La Stampa, è un’istituzione: tutti i bogianen non possono fare a meno di darle almeno un’occhiata.
Sabato scorso, tra i vari interventi pubblicati, ce n’è stato uno di Fiorenzo Alfieri, che è l’assessore alla Cultura del comune di Torino. Alfieri fa i salti mortali per spiegare che il fatto che quest’anno la quasi trentennale rassegna Settembre Musica si tenga anche a Milano non sia uno scippo dei bauscia, come quasi tutti i torinesi pensano (curiosamente, i milanesi sono altrettanto arrabbiati, perché ritengono un affronto il non avere avuto la loro rassegna musicale…)
Nella foga oratoria, Alfieri scrive però «…il nostro e un solo programma congeniato in modo tale che…». Ora, la e non accentata credo sia un refuso apparso solo nella versione elettronica, ma posso garantire che nella copia stampata “congegnato” era scritto così. Niente male per un assessore alla Cultura, vero?
Tassa gratuita
Il treno che ci ha riportato da Trento a Milano era un Eurocity proveniente da Monaco, che stranamente è a prenotazione facoltativa. Quando Marina ha fatto i biglietti con il bel totem Trenitalia, la cosa le era stata segnalata: peccato che però il totem, che in fin dei conti è Trenitalia, non le permettesse di farla, la prenotazione. A questo punto lei è andata in biglietteria, e l’impiegato non ha fatto una piega e gliel’ha fatta lui: alla domanda di quanto doveva pagare, la risposta è stata “nulla”.
Ora, è già strano che ci sia un servizio “kostenlos” delle nostre ex FF.SS., ma non sottilizziamo. Il buffo è che sul biglietto con la prenotazione c’è per l’appunto scritto “Tassa gratuita”. Formalmente la cosa non fa una piega: è una tassa (e non un’imposta, visto che viene pagata per il corrispettivo di un ben preciso servizio), ed è gratuita. Però, non so come mai, c’è qualcosa che non mi torna :-)
PS: il treno, forse perché ha assorbito un po’ di teutonicità, era in orario, anzi a Trento è partito con un minuto di anticipo. Il conduttore era così fuori di sé dalla gioia che all’arrivo a ogni stazione annunciava la fantastica notizia.
Gli ori dei cavalieri delle steppe (mostra)
Questo weekend è stato particolarmente intenso dal punto di vista cultural-scarpinatorio. Dopo l’opera, infatti, ci siamo fermati a Trento: abbiamo fatto una passeggiata di due orette scarse in (tarda) mattinata, inframmezzata da una buona polenta alla malga Stramaiolo, e poi, prima di prendere il treno per Milano, ci siamo fermati a vedere la mostra Gli ori dei cavalieri delle steppe, che si tiene fino al 4 novembre presso il castello del Buonconsiglio. La mostra contiene una serie di reperti, per la maggior parte provenienti dai musei dell’Ucraina, sulle popolazioni delle steppe euroasiatiche, quelli che da noi sono stati chiamati Cimmeri e Sciti, prima, Sarmati poi, e infine Avari e Unni, e che hanno come denominatore comune il fatto di essere stati nomadi e non stanziali, e di usare i cavalli quasi come propria estensione.
Se devo essere sincero, avevo trovato piu interessante la mostra sui tesori afghani. Qua ci sono dei bei reperti, e le informazioni collaterali sono sicuramente molto ampie, oltre che essere in tre lingue (italiano, inglese e tedesco, chiaramente); però la scelta di suddividere le sale per temi, e non per popolazioni o per periodo storico – salvo l’eccezione della parte cristiana, ma questa è di sei-sette secoli successiva a tutto il resto – rende difficile farsi un quadro complessivo di cosa è successo. È anchevero che quelle sono popolazioni nomadi, ma l’Ucraina è comunque grande, e mi sa tanto che siano stati messi insieme oggetti da posti piuttosto lontani. Paradossalmente la sala che mi è piaciuta di più è stata la prima, senza reperti e che raccontava di quando quei popoli non erano ancora nomadici ma stanziali: un caso molto particolare, visto che in genere l’evoluzione delle civiltà avviene in senso opposto.
Ultima nota: per un handicappato in carrozzina la visita è assolutamente impossibile. Troppi livelli diversi nel castello, e l’impossibilità anche solo di pensare ad ascensori o cose del genere.
_Il Barbiere di Siviglia_ (opera)
Beh, diciamo che la giornata non è stata delle migliori. Già io non stavo bene, e alle otto di sera a un certo punto mi è venuta una serie di brividi che non riuscivo più a muovermi. Poi siamo scesi in ritardo da Trento. Abbiamo sbagliato strada per andare a trovarci con gli amici che hanno casa fuori Verona – e io stavo troppo male per dire “al diavolo la cena, lasciamo qua la macchina che siamo già a Verona, inutile andare avanti e indietro”. Il sistema semaforico veronese è altamente pessimizzato. I parcheggi sotterranei erano tutti pieni, e posti in superficie vicino all’Arena non ce n’erano. Come risultato, siamo arrivati con mezz’ora di ritardo, perdendoci tutti i pezzi più famosi e dovendo vedene il primo atto dalla piccionaia. Niente male, visto che i nostri biglietti, ancorché scontati, venivano 75 euro; ma la colpa era nostra, quindi non recrimino affatto.
Detto tutto questo, passiamo all’opera di per sé, anzi no; due parole sull’Arena. Non c’ero mai stato, e devo dire che fa un bell’effetto, soprattutto se come ieri non pioveva e gli spalti erano belli pieni (le ultime file delle poltrone in platea no, a dire il vero: non so se una politica di prezzi last minute potrebbe aiutare, ma mi sa che non gliene importi più di tanto). Però vedere fuori le scene delle altre opere tutte accatastate che sembrano essere pronte per la discarica non è un bello spettacolo, dovrebbero pensarci su.
L’allestimento era “nuovo”, diceva la locandina. Non saprei giudicare la validità di queste enormi rose poste sopra delle siepi, a loro volta posizionate quasi come labirinto che ogni tanto veniva spostato – e questo dalla piccionaia si vedeva molto bene – però posso dire che hanno fatto le cose in grande: alla fine del primo atto ci saranno state quasi cento persone in scena. Oltre ai cantanti, c’erano infatti una quarantina di soldati, e più di venti ballerini. Di questi ultimi confesso di non avere capito l’utilità, se non per riempire le due estensioni laterali del palco; per quanto riguarda le comparse che facevano i soldati, ho trovato divertente uno che nell’intervallo era uscito fuori dal teatro con qualche suo compare e, tirata fuori una macchina fotografica digitale, gli ha detto “Aho’, immortalami!” Essendo Rossini, l’opera è ovviamente buffa: non so però se certi momenti umoristici non cantati sono stati aggiunti dal regista, oppure sono già presenti nella partitura originale. Sicuramente i fuochi d’artificio alla fine sono un’aggiunta moderna, che però stava molto bene.
Della qualità dei cantanti non parlo, perché non ci capisco nulla. Ho comunque notato che già non riesco in genere a capire una voce lirica femminile; il fatto che Rosina non fosse italiana ha ancora peggiorato la situazione, e ho subito perso ogni speranza di comprendere i suoi gorgheggi. Fortunatamente Almaviva, Figaro e Bartolo avevano una dizione molto più chiara, cosa che è abbastanza utile in un posto senza possibilità di mostrare sopratitoli. Mi chiedo anche come faccia uno come Franco Vassallo a cantare come Giorgio Germont nella Traviata un giorno, e come Figaro il giorno successivo: complimenti.
Ultima nota di demerito sul pubblico. Lasciamo perdere quelle che arrivano con tacco sette e scoprono che forse non era il caso: magari la volta successiva impareranno. Ma c’è di peggio. D’accordo, la rappresentazione è finita a mezzanotte passata. Posso capire che qualcuno avesse dei problemi, e dovesse partire in fretta. Ma non credo che la quantità di gente che ha iniziato a sciamare fuori prima ancora che i cantanti uscissero per gli applausi fosse tutta in così gravi ambasce; soprattutto la tipa davanti a noi che si è anche lamentata a voce alta chiedendosi perché la costringessero a uscire per quelle scalinate cosi ripide al buio, e non accendessero le luci. Ecco: a una tipa così non credo che riuscirebbe a entrare in testa il concetto che se le luci sono ancora spente, magari un motivo c’è.
(ah: a parte la stanchezza, alla fine dell’opera ero tornato perfettamente in forma. Merito dell’Arena o di Rossini?)