mobbing e lingua italiana

Repubblica, sempre sulla notizia, ci fa sapere che la Cassazione ha detto “il mobbing non è reato”, mostrando un’insospettata proprietà di linguaggio, ma probabilmente confondendo il lettore comune che non sa che il “reato” è solo penale, ma può comunque esserci un illecito civile come del resto ribadito dalla Corte stessa.
Ciò detto, riconosco di essere un eretico e apprezzare il neologismo “mobbare” (vt.: esercitare mobbing nei confronti di qualcuno), soprattutto per il suo suono che mi pare renda bene il concetto; ma capisco i puristi che preferirebbero un termine più vicino alla nostra lingua. Però sono ragionevolmente certo che io e i puristi ci troviamo dalla stessa parte della barricata rispetto alla definizione di mobbing data dall’avvocato della difesa: «lesioni personali volontarie gravi in ragione dell’indebolimento permanente dell’organo della funzione psichica». Sicuri non si possa citare quell’avvocato per “maltrattamenti alla lingua italiana”?
(p.s.: La Stampa spiega il tutto meglio)

come se reincarnarsi fosse facile

Leggo da Newsweek che il governo cinese ha proibito ai monaci tibetani di reincarnarsi senza il permesso governativo a partire dal prossimo mese. Il tutto ha un senso molto pratico, visto che in questo modo le autorità cinesi potranno decidere autonomamente chi sarà il futuro Dalai Lama “interno”; però vedere descritto il nuovo regolamento come “un importante passo per istituzionalizzare la gestione della reincarnazione” fa venire alla mente scenari piuttosto divertenti… Peccato l’Albertone sia morto, perché l’avrei visto benissimo nei panni di un monsignore di curia addetto alla gestione dell’equivalente cattolico della cosa!

“scattisi qui”

Credo che il phishing arrivatomi stamattina raggiunga vette inarrivate nella definizione di una nuova lingua quasi totalmente dissimile all’italiano. Il titolo è promettente: «Questo email deve informarlo che, quello abbiamo dovuto ostruire il vostro accesso di cliente di PayPal Inc.», e già mi vedo i blocchi di cemento per impedire l’accesso a via PayPal. Il «Caro PayPal Inc. utente, » iniziale è una chiara citazione di Asterix e i Britanni, e mi sarei aspettato di trovare una magico pozione. Però non riesco esattamente a capire «perchi abbiamo dovuto aggiornare i nostri assistenti per rimuovere la frode in linea.». O meglio: “perchi” è un perché con il bit alto tagliato, ma gli “assistenti”? Il tutto condito dallo «scattisi qui», che sarebbe appunto il “clicca qui”.
Capisco che il costo nel passare su babelfish un messaggio sia più o meno nullo, ma «Francamente» (come da loro firma) mi chiedo se gli amici che fanno queste cose si rendono conto che nemmeno il più stupido utonto potrebbe cascarci… non foss’altro che perché non riesce a capire cosa ci sia scritto!

_L’equazione impossibile_ (libro)

[copertina] A dispetto del nome, Mario Livio di italiano ne parla ben poco, come dice lui stesso. Ma non è certo questo il problema in questa sua opera (Mario Livio, L’equazione impossibile [The Equation That Couldn’t Be Solved], Rizzoli – agosto 2005 [2005], pag. 414, € 10.20, ISBN 978-88-17-01348-2, trad. Sara Beltrame, Emanuela Cervini e Andrea Zucchetti), dove racconta… Beh, non è così facile spiegarlo. Il tema principale è la storia dell’equazione di quinto grado e della sua non-risolvibilità, facendo la storia dei vari tentativi a partire da Scipione del Ferro, Tartaglia e Cardano per giungere alla definitiva dimostrazione da parte di Abel e Galois. Le biografie di questi due geni precocemente morti sono un altro tema trattato ampiamente, così come la fisica contemporanea. Cos’hanno in comune tutte queste cose? La teoria dei gruppi in senso stretto e la simmetria in un senso più ampio. Ed è proprio la simmetria che dovrebbe essere il filo conduttore di questo libro, anche se il risultato finale secondo me lascia alquanto a desiderare visto che né l’appassionato di matematica né l’amante dei racconti ci trova chissà che cosa di nuovo. Peccato, perché l’idea non era affatto male. La traduzione è generalmente tranquilla, ma credo che ben pochi riusciranno a capire la parte sulle soluzioni putative delle equazioni, a meno che non siano già dei matematici.

Zinco-Piombo

Beh, qua probabilmente ci vorrebbe Mitì, ma magari c’è qualcun altro che saprà darmi una mano…
Mentre ero a Marettimo, ho scoperto con orrore che la maggior parte delle persone nel gruppetto con cui ero andato in vacanza non aveva mai sentito parlare di “Zinco-Piombo”: solo Paolo non mi ha fatto sentire un alieno sperduto. Di che si tratta? Era uno stupido giochino che si poteva fare con un gruppo di ragazzini. Uno faceva il direttore d’orchestra, mentre gli altri man mano entravano continuando a pronunciare come in un mantra alcune frasi più o meno sensate. “Zinco, piombo” era la prima e quella che ricordo sicuramente: le altre credo variassero volta per volta. Esempi potevano essere “tochi, tochini, tocheti de pan” e “ti tiro li peli ad uno per uno” o ancora “tu rumpu u culu”, quest’ultimo rigorosamente con sole u. Il direttore d’orchestra faceva salire e scendere il volume delle varie frasi, il tutto in modo da ottenere alla fine quello che doveva diventare il rumore dello sferragliare di un treno… il tutto coronato effettivamente da un “Minchia papàààà!!!” in stile fischio del treno. Ve l’ho detto, non è che fosse una cosa così intellettuale, ma quando hai dieci anni ti diverti (divertivi?) con poco.
YouTube ha un paio di video “Zinco-piombo”, ma la qualità audio è così scarsa che non riesco a capire se corrispondono effettivamente a quanto ricordo io. Non è che tra i miei affezionati lettori ce n’è qualcuno che si ricordi del giochino e possa dare qualche informazione in più sulla sua diffusione spazio-temporale?

Lo sciopero del lotto

Sono dell’idea che di quello che dice Bossi la cosa migliore sarebbe fare finta di nulla. Non solo la Lega è uno di quei partiti geneticamente da opposizione, ma è anche movimentista, e quindi l’unico modo che ha per esistere è fare grancassa. Visto che però c’è chi scrive cose turpi sull’ultima sparata del semiSenatur, vale a dire lo “sciopero del lotto”, ci tengo ad esprimere il mio pensiero al riguardo.
Non partecipare alle varie lotterie è una forma di boicottaggio, che di per sé è una forma pienamente legittima di protesta: anzi, a dirla tutta, convincere qualcuno a evitare la “tassa sulla stupidità” che in fin dei conti è la definizione più calzante per una lotteria potrebbe anche essere una cosa meritoria. Io non mi ci metto a farlo semplicemente perché sono fondamentalmente egoista e penso che per ogni euro giocato al superenalotto almeno trenta centesimi sono tasse in meno che tutti gli altri – e quindi anch’io – dovremmo sborsare.
Però ho qualche dubbio sul fatto che un ragionamento così fine possa essere stato fatto da queste persone, e comunque non credo che il gettito prodotto dai simpatizzanti leghisti per mezzo dei giochi sia poi così una percentuale così alta, anche se potrei sbagliarmi. Però confesso che mi sarebbe piaciuto vedere una manifestazione dove si stracciavano platealmente schedine del Totocalcio!

_Il visitatore che non c’era_ (libro)

[copertina] Fredric Brown per me è sempre stato un autore di fantascienza. Tra i miei preferiti, tra l’altro, visto che il suo stile scanzonato e assurdo permette di divertirsi anche se parla di omini verdi o entità similmente improbabili come in Assurdo universo. Ma nella sua produzione Brown è anche stato un giallista, e questo libro (Fredric Brown, Il visitatore che non c’era [Night of the Jabberwock], Polillo – I Bassotti novembre 2003 [1950], pag. 245, € 11.90, ISBN 9788881541874, trad. Tracy Lord) ne è un esempio preclaro. Il cinquantatreenne Doc Stoeger, quasi un alter ego di Brown, ha molte passioni: il whisky, gli scacchi, Lewis Carroll e il giornalismo. È infatti il direttore e giornalista unico del Clarion News, un settimanale di cronaca locale della sua cittadina dove una notizia come la pesca di beneficenza della locale parrocchia può tranquillamente finire in prima pagina. Il cruccio maggiore di Doc è per l’appunto non potere mai avere un’edizione sensazionale del suo giornale… fino alla notte narrata nel libro, dove capitano tante di quelle cose che sarebbero bastate per dei mesi. Il tutto parte dalla visita di un ometto dall’improbabile nome di Yehudi Smith, l'”omino che non c’è” carrolliano, che lo invita a una riunione segreta di appassionati…
Prima di darvi notizie false e tendenziose, mi affretto a dire che il giallo in quanto tale è deboluccio, se ho scoperto l’assassino persino io; e che tutto il contesto è così da America rurale di fine anni ’40 che potrebbe non piacere; però le pagine scorrono che è un piacere, aiutate dall’otima traduzione – anche se per un carrolliano un po’ imbastardito come me trovarsi i versi tradotti lascia parecchio perplessi.