Pterry in Italia

Linko direttamente la quarta bozza per comunicare che Terry Pratchett presenterà qualche decina dei suoi libri a Bologna (mercoledì 21) e Milano (giovedì 22). Se non sapete chi è Terry Pratchett, peggio per voi, anche se confesso che non so se dopo le prime “traduzioni” che avevo sfogliato in libreria – ritraendomi terrorizzato – quelli di Salani abbiano provveduto a migliorare il risultato. Il mio metro di scaffale pratchettiano è tutto rigorosamente in paperback (occupa meno spazio) e tutto in inglese.

L’incredibile Hulk

il fu cavalletto Stamattina, prima di andare in ufficio, avevo provato a passare dallo studio del nostro amministratore, che è praticamente sul mio percorso. Scendo dalla bici, blocco la ruota con l’antifurto, suono il campanello, non risponde nessuno anche se erano le nove e qualche minuto, slego la ruota, e sento un “tac”. Guardo, e vedo il mio cavalletto per terra. Ora, non so quanto bene si veda dalla foto, ma vi garantisco che la ghisa – o quello di cui è fatto il cavalletto – si è rotta come fosse della plastica. Il tutto con duemila chilometri di uso della bici, pesante quanto volete ma pur sempre duemila chilometri. Sono così forzuto da imporre uno stress incredibile su quel povero cavalletto (Made in Italy, vorrei fare notare)?

Metafore

Nel Buongiorno odierno, Massimo Gramellini se la prende con un tassista che, intervistato dalla tivvù, ha affermato che Monica Bellucci è “tutto contorno e niente fumo”. Anzi, se la prende con la scuola italiana che ha sfornato gente che non sa quello che dice – il che spesso è vero.
Vorrei però spezzare una lanc… ehm, facciamo un grissino in favore dell’intervistato. Secondo me, “tutto contorno”, applicato alla Bellucci, è una bellissima immagine, e soprattutto rende l’idea di uno dei motivi per cui è una famosa attrice. Ammetto che a questo punto, visto che la metafora era partita per la tangenzial… ehm, per la tangente, io avrei proseguito con “e niente trippa”, ma non si può pretendere tutto dalla vita.

Ordigni bellici

bonifichiamo! Questa è la foto di una parte del cartello che campeggia sui (pochi) lavori per la linea cinque della metropolitana milanese. A parte tutti i doverosi costi per chi deve fare i lavori veri e propri, si può notare come 24.000 euro siano stati dati a una società dal nome che è tutto un programma (S.T.R.A.G.O.) per la “bonifica di ordigni bellici”.
Ora, che siano cadute bombe su Zara-Testi non è una possibilità ma una certezza, per chiunque prenda una cartina di Milano e guardi la quantità di fabbriche che c’erano a qualche centinaio di metri in linea d’aria. E in effetti, se dovessi scavare su un’area non edificata, un controllino ce lo farei. Ma su un viale dove i buchi delle bombe hanno necessariamente dovuto essere tappati, e le vibrazioni di camion e tram avrebbero comunque fatto scoppiare di tutto, non mi sembra una cosa così utile. E poi, ventiquattromila euro? che ci fai? Se davvero ci fosse una bomba, non credo che quei soldi bastino…
Insomma, uno dei soliti misteri italiani?

prodotto; fattore

Per l’acculturazione del volgo, ecco due nuove parole matematiche. La (scarna) lista completa la trovate su Wikispaces.
La parola prodotto non è greca – non sia mai! – ma latina. Deriva infatti da “producere”, che significa “fare avanzare”, letteralmente “guidare avanti”, con la stessa radice verbale che ci ha dato i conducenti e il Duce. In questo senso il verbo italiano si è trasformato in “produrre”, e abbiamo espressioni come il Prodotto Nazionale Lordo che fa sempre bella mostra di sé nei giornali. La prima occorrenza in italiano, nella forma “produtto”, è del solito Dante.
E allora come mai il risultato della moltiplicazione si chiama prodotto? Colpa dei commercianti. Quelli hanno iniziato a parlare del “prodotto della vendita”, che si calcolava moltiplicando il numero di oggetti venduti per il prezzo unitario. Visto che nel Basso Medioevo e ancora tra Umanesimo e Rinascimento i conti li facevano soltanto loro, il nome è rimasto appiccicato: però paradossalmente fino al sedicesimo secolo non se ne trova traccia: si vede che le moltiplicazioni le facevano solo in latino.
Parlando di prodotto, non si possono non menzionare i suoi componenti, vale a dire i fattori.
Il termine “fattore” fa probabilmente venire in mente il contadino che aveva una fattoria (ia, ia, oh!), o almeno lo faceva venire in mente fino a qualche decennio fa; ora non ne sarei più così sicuro. E in effetti, l’etimologia è proprio quella: il termine deriva dal latino “factor”, “fabbricatore”. Nell’antichità industrie non ce n’erano, solo artigiani, e dunque un posto dove si producevano tante cose era per definizione una “fattoria”. La prima occorrenza in italiano della parola “fattore” col significato di “amministratore di un’azienda agricola” risale addirittura al 1288!
Non che il termine nel senso matematico sia poi così posteriore: già nel 1292 qualcuno ha pensato che i numeri che fabbricavano (facevano) il prodotto potessero essere tranquillamente chiamati fattori. Il bello è che non è stato un matematico a usare per la prima volta questa parola – anche perché nessun matematico avrebbe usato il volgare. Non ci crederete, ma la prima occorrenza matematica della parola si trova in… Dante. Sempre lui, inutile: non possiamo farne a meno.
Per curiosità, aggiungo che “fattoriale”, quell’operazione che a partire da un numero ne ottiene uno molto più grande moltiplicando tra loro tutti quelli da 1 fino a lui, deriva sì da fattore, ma con un giro tortuoso: in effetti, la prima occorrenza del termine (nel 1892) aveva il significato “che si riferisce a un fattore”.

Il giovane sbirro (libro)

[copertina] Premessa necessaria: io sono prevenuto. Di Biondillo leggerei anche la lista della spesa, perché il suo stile mi piace alla follia. Che dire allora di questa sua ultima opera? (Gianni Biondillo, Il giovane sbirro, Guanda 2007, pag. 343, € 16, ISBN 9788860880567) Secondo me, la formula dei vari racconti uniti da un filo logico è sicuramente vincente, e si vede che il risultato è migliore di Per sempre giovane che come scrissi era fondamentalmente un unico racconto allungato a formato di libro. E soprattutto abbiamo la possibilità di conoscere il passato dell’ispettore Ferraro, il che – per un autore che ha come programma quello di fare un affresco della periferia milanese – è sacrosanto.
L’analisi battistiana nelle pagine iniziali e finali è un bonus che ho apprezzato come chicca più o meno solo per me, e mi ha reso così felice da non imputare a Biondillo l’erroraccio che ha fatto affermando che le sabbiere sono dei tram della serie Peter Witt (sono precedenti ad esse – le vetture 1928 sono più lunghe di quelle che c’erano prima).

Una Modesta Proposta per viale Zara/Testi

Dopo una settimana di chiusura di una carreggiata di viale Zara e viale Fulvio Testi, credo sia chiaro a chiunque passi da queste parti che il traffico in direzione nord è assolutamente impossibile. Il controviale è perennemente intasato, e i coglioni che girano a sinistra dall’asse Arbe-Sarca nonostante tutti i divieti segnati belli chiari bloccano anche quell’asse.
A Torino era capitato qualcosa di simile quando chiusero corso Francia sempre per i lavori della metropolitana. Però – a parte il fatto che a Torino ci sono sempre delle alternative di percorso – lì avevano avuto un’idea intelligente. Corso Francia, come l’asse Zara/Testi, ha il viale centrale e i controviali. A Torino avevano chiuso la carreggiata centrale e vietato il parcheggio sui controviali, tanto che gli autobus passavano a filo del marciapiede. Però, nei pezzi della carreggiata centrale dove non dovevano costruire le stazioni, erano state tracciate le strisce per fare parcheggiare le auto tolte dai controviali. In questo modo la mobilità era assicurata, e la gente sapeva (più o meno) dove lasciare l’auto.
Ora, capisco che chiedere a un milanese di provare a prendere spunto da Torino è uno tra i peggiori insulti che gli si possa fare: ma magari per una volta non è che potrebbero pensarci un po’ su?