flop annunciato

Io pensavo a un’affluenza ai referendum sul 23%, mentre sono arrivati poco sopra al 30%. Non che la cosa cambi molto, naturalmente. Probabilmente la destra poteva evitare tutta la campagna astensionista e il risultato sarebbe rimaso lo stesso, ma con una maggiore legittimazione politica del NO. Non credo infatti che il 20% degli italiani (a) voti a destra e (b) non sia andata a votare perché Meloni Salvini e Tajani gliel’hanno detto.

Quello che personalmente mi stupisce non è tanto la scarsa affluenza, che come dicevo ci potevamo aspettare, quanto il basso risultato dei SÌ per il quesito sull’abbreviazione del tempo necessario per ottenere la cittadinanza italiana (ferme restando naturalmente tutte le altre clausole, anche se i contrari hanno sempre affermato il contrario): se le prime stime sono corrette, i SÌ sono tra il 60 e il 65%, quindi meno del 20% dell’elettorato italiano. Più votato il SÌ gli altri quattro referendum, con una percentuale superiore all’80% che porta il totale dei favorevoli intorno al 25% del corpo elettorale: non tutti i 15 milioni millantati da Landini e Schlein (Conte almeno ha avuto il buonsenso di contare solo i SÌ), ma comunque un numero di persone sufficiente per dire che con la regola proposta da Alberto Saracco (Il referendum è approvato nel caso in cui i sì siano almeno il 50%+1 dei voti espressi e almeno il 25%+1 degli aventi diritto) il risultato sarebbe stato diverso… o meglio, la destra avrebbe dovuto fare una campagna molto vivace per il NO, e non per sfruttare l’astensione ormai tipica per le italiche votazioni.

Ma tanto queste sono considerazioni oziose: quello che potremo avere al più è un aumento delle firme necessarie per presentare un referendum, ma anche con un milione di firme il risultato non cambierebbe molto.

Le vajasse d’oltreoceano

Se ho capito bene, la lite a mezzo social tra Musk e Trump si è momentaneamente acquietata. Donaldo ha detto che in fin dei conti Musk è un tipo tosto, Elonio ha cancellato i tweet dove insinuava che il nome di Trump si trova negli Epstein files. (Non che abbia capito l’utilità di quella mossa: la risposta tipica di Trump sarebbe stata “e allora?” e la cosa finiva lì). D’altra parte, al momento i due hanno bisogno uno dell’altro: Elonio per le commesse federali, Donaldo perché ormai il DOGE è stato del tutto infiltrato dagli X-boys e io non mi fiderei più di tanto. Dopo aver arruffato il pelo e gonfiato i muscoli, i due non potevano fare altro che scendere a più miti consigli, salvo riprendere il tutto tra una settimana o due.

Il tutto sarebbe anche divertente, se non ci fossimo di mezzo noi. Non che la situazione sarebbe così piacevole anche se i due andassero d’amore e d’accordo, ma così siamo messi proprio male.

Quizzino della domenica: Borsellino

751 – aritmetica

Nel suo borsellino Jack ha un certo numero di monete (USA, quindi le possibilità sono 1, 5, 10, 25 cent). La media dei valori è 20 cent. Il nonno gli regala una moneta da 25 cent, e ora la media dei valori del borsellino è salita a 21 cent. Quanti decini ha Jack?

monete
(trovate un aiutino sul mio sito, alla pagina https://xmau.com/quizzini/p751.html; la risposta verrà postata lì il prossimo mercoledì. Problema dall’AMC 10A dell’anno 2004; immagine da SVGrepo.)


la password per buttare via la rumenta

Amsa ha da molto tempo un servizio di ritiro gratuito dei rifiuti ingombranti, che ho usato più volte in passato. Ora hanno cambiato sistema di prenotazione, e quindi ho dovuto fare una nuova registrazione. Vabbè, capita. Quello che però mi ha lasciato basito è che la password da creare deve avere le solite caratteristiche (almeno una maiuscola, una minuscola, un numero, un carattere speciale) ma deve anche essere lunga ALMENO QUINDICI caratteri. Non vi pare un poco esagerato per della rumenta?

La Chiesa cattolica (ebook)

copertina G.K. Chesterton è soprattutto noto, almeno in Italia, per i suoi racconti che hanno come protagonista Padre Brown. Molti sanno anche della sua conversione al cattolicesimo (arrivata dopo che aveva cominciato a scrivere del piccolo prete cattolico; ma il suo percorso è stato piuttosto complicato). Però Chesterton ha scritto davvero tantissimo, in svariati campi, e così non è poi così strano che abbia anche pubblicato questo libretto, ben tradotto da Federica Giardini, sul perché alla fine si è convinto che la religione cattolica fosse la migliore. Non è che volesse scrivere un opuscolo per fare proseliti: nel testo afferma spesso che molte delle cose che l’hanno portato a quel passo valgono solo per lui e non possono essere generalizzate.
Anche tralasciando il fatto che parecchi dei punti di Chesterton erano probabilmente validi cent’anni fa e non certo ora (ma appunto il testo non lo si legge per convertirci!) devo dire che sono rimasto deluso, perché mi aspettavo uno stile più in linea con i suoi testi. Le frasi che mi hanno portato a sorridere si contano sulle dita di una mano: magari considerava il cattolicesimo troppo serio per prenderlo anche se bonariamente in giro, ma il risultato finale è una certa qual pesantezza.

G. K. Chesterton, La Chiesa cattolica : Dove tutte le verità si danno appuntamento [The Catholic Church and Conversion], Lindau 2015 [1926], pag. 89, € 9,99 (cartaceo: 14,50), ISBN 9788867083909, trad. Federica Giardini – come Affiliato Amazon, se acquistate il libro dal link qualche centesimo va a me

Voto: 2/5

Il curioso incidente dell’errore di ortografia

traduzione italiana di Launay
Mentre stavo leggendo il libro di Michaël Launay “Il teorema dell’ombrello” mi sono trovato questo brano. L’autore sta parlando – anche se non l’ha ancora citata esplicitamente – della Biblioteca di Babele borgesiana, come probabilmente vi sarete accorti. Notate nulla di strano?

La risposta è che l’errore di ortografia non c’è: Archimede è scritto correttamente anche nella frase precedente. Essendo anch’io un pignuolo come Daniele, ho provato a vedere com’era il testo originale:

testo originale delle frasi di Launay

ed effettivamente “Archimède” era stato scritto “Archimaide”. Mi è anche capitata sottomano la traduzione tedesca:

traduzione tedesca delle frasi di Launay

In questo caso “Archimedes” era stato scritto “Archimädes”. So che esistono anche traduzioni in olandese e turco, ma non le ho trovate :-)

Ora, il tedesco ha in comune con il francese la possibilità di usare un omofono che maschera un po’ l’errore ortografico, e questo in italiano è impossibile. Però si sarebbe per esempio potuto scrivere “Archirnede” e giocare un po’ con il kerning per replicare il gioco; e anche scrivere “Archimiede”, pur essendo subottimale, sarebbe stato sufficiente. La mia domanda è: con tutti i refusi che inevitabilmente rimangono nel testo, e io lo so bene, era proprio necessario correggere quello che doveva restare un errore?

misteri tranviari

Stasera dovevo andare alla presentazione di un libro in via Mercato. Nessun problema, penso, prendo il 4 che mi lascia lì a due passi. Vado verso la fermata, vedo un tram fermarsi al semaforo, corro, attraverso con lui, riattraverso per andare sul lato giusto… E quello non si ferma nemmeno. Vabbè, vedo che ne sta arrivando un altro: peccato che sia una corsa limitata in piazzale Maciachini. Salgo lo stesso, faccio l’unica fermata, me sposto dove sta per arrivare la 70: una buona idea, perché mi porta fino in piazzale Baiamonti dove magari passa un 2. Scendo e vedo arrivare un 4: strano, perché il display indica 11 minuti di attesa. Mentre il 4 si avvicina, vedo che è velettato BAIAMONTI (a volte capita, soprattutto se ci sono lavori) La cabina del 4 è chiusa, quindi non posso parlare con l’autista: gli faccio un cenno con la mano indicando se sta per girare, lui mi guarda strano, al che indico verso l’alto la veletta. Lui guarda il suo display, tocca qualcosa e mi fa cenno di salire. In effetti quando poi sono sceso la veletta indicava il corretto CAIROLI.

Certo che non è facile prendere i mezzi a Milano!

La conoscenza del digitale

Il mio amico Marco Renzi, giornalista da una vita attento al mondo del digitale, qualche giorno fa mi ha mandato questo suo testo riguardo alla conoscenza del digitale, che (parole sue) non è il «falso presente digitale che ci raccontano – meglio dire spacciano – le holding tecnologiche multimiliardarie interessate solo a detenere il controllo», ma «il passaggio epocale che ha reso il mondo un posto “calcolabile”.» Io concordo con quanto (anche se un po’ apocalittico) ha scritto Marco, soprattutto sulla parte delle “due conoscenze” che ripropone in chiave contemporanea il famigerato concetto delle due culture. Aggiungo però qualche mia considerazione personale.

Per prima cosa comincio col notare che non è che i nativi digitali siano poi così bravi anche nella conoscenza digitale: lo vedo con miei figli (ok, io sono un pioniere digitale quindi le cose le ho viste nascere e crescere, sono avvantaggiato). Loro sanno semplicemente usare le cose nel modo standard, e una qualunque deviazione li manda in tilt… più o meno come quello che succede a me se l’auto si pianta mentre sto guidando. In effetti la conoscenza (mia nel caso del funzionamento dell’automobile, dei nativi digitali per le app digitali) è puramente procedurale, e quindi di bassa qualità: serve una conoscenza almeno in parte metafisica ed epistemologica, e quindi sul perché e su come le cose funzionano.

Maurizio Codogno, [02/06/2025 13:25]
rileggendo il tuo post mi sono accorto che la prima volta avevo capito male la frase “ogni deviazione da questo percorso di conoscenza” e che tu intendevi “conoscenza del digitale” e non “il digitale ha un unico percorso dal quale non si può sgarrare” (il che è falso).

La difficoltà che io vedo nel dare una conoscenza del digitale è che essa non è “fare informatica”, cosa che comunque è utile di per sé, non foss’altro che perché se impari i rudimenti di programmazione hai a tua disposizione un percorso logico che ti aiuta anche altrove (forse anche più della matematica, almeno per i ragazzi). Secondo me conoscere il digitale significa capire come il digitale è diverso dall’analogico. La prima cosa che mi viene in mente è che nell’analogico tu hai automaticamente delle tolleranze, proprio perché hai un movimento continuo e non discreto; nel digitale invece lo sviluppatore deve prevedere a priori delle tolleranze. Esempio cretino: quando inserisci in un form il numero di carta di credito, il sistema, e quindi lo sviluppatore, deve fare in modo che se io digito degli spazi tra i gruppi di cifre è il software che deve toglierli, e non lamentarsi perché hai finito i 16 caratteri a disposizione. Peggio ancora con il codice fiscale: anche lì la conversione minuscolo-maiuscolo dev’essere qualcosa che fa il software, e in compenso non bisogna esagerare con il controllo sintattico di cifre e lettere, perché si rischia di non accettare codici modificati per omocodia. Ribadisco: per me la grande differenza tra analogico e digitale è che in quest’ultimo non puoi permetterti il minimo sbaglio. Insomma, per me la conoscenza del digitale è sapere che tu puoi simulare quanto vuoi il risultato ma devi essere certo che la simulazione sia corretta; spostandoci dallo sviluppatore all’utente, è sapere che la logica interna a un software è quella, e se non corrisponde a quello che vuoi fare tu allora devi cercare un modo per fregare il software. Questa è un’altra cosa che per noi pionieri digitali è una seconda natura, tra l’altro.

Il guaio è che non ho idea di come insegnare queste cose. Io le ho imparate sul campo, ma 40 anni fa la situazione era molto diversa. (E comunque io sono probabilmente borderline Asperger, quindi con il digitale ero favorito, proprio perché non dovevo preoccuparmi del non detto: tutto quello che serviva ce l’avevo davanti a me…) Voi avete qualche idea su come si possa farlo, sia per gli studenti che per gli adulti?