la versione berlusconiana del “ma anche”

Secondo il foglio scandalistico scalfariano, ieri Berlusconi ha detto queste cose a proposito della normativa UE sul clima: «C’è la crisi economica, mi sembra esagerato che l’Europa voglia farsi portabandiera nella battaglia sul clima. Non c’è un accordo con gli altri Paesi come la Cina, gli Stati Uniti: [quella dell’UE] mi sembra un’opera donchisciottesca.» Un punto di vista che personalmente mi appare un po’ miope, pensando alla spinta propulsiva data dalle ricerche per riuscire a raggiungere gli obiettivi per il 2020, ma che comunque ha il suo senso. In fin dei conti a un italiano medio non verrebbe mai in mente di pulire il proprio pezzetto di marciapiede quando si continua a buttare sporcizia nel resto delle strade.
Però poi il premier aggiunge «Si tratta comunque di un giusto obiettivo da perseguire ed è fondamentale perseguirlo», cioè esattamente l’opposto di quanto pronunciato prima. Silvio dovrebbe vergognarsi: sta togliendo il lavoro a Uòlter.

Via Paolo Sarpi, Milano

Lunedì scorso via Paolo Sarpi (per i non milanesi: il centro della Chinatown meneghina) è diventata zona a traffico limitato. Mia zia abita proprio lì in mezzo, e stamattina siamo passati rapidamente da lei per chiederle di riparare un paio di miei maglioni. Ci siamo fermati a prendere un caffè in un bar, e il proprietario era lì a lamentarsi della ZTL, della Moratti, di De Corato; aggiungeva poi che dei commercianti italiani il 95% era contro la ZTL e ancor più contro la possibile futura isola pedonale, ma visto che uno dei pochi che erano d’accordo era ammanicato con i giornali, questi scrivevano tutti che “gli italiani” vorrebbero l’isola pedonale. (Ah: bisogna dire che si è messo di impegno a non nominare mai i cinesi, e si vedeva che lo faceva a fatica… un più per lo sforzo)
Magari abbiamo trovato l’unico commerciante italiano contrario, però è interessante vedere che non sempre (quasi mai?) le cose sono come scrivono i giornali. Ecco, probabilmente il “giornalismo dal basso” che fa tanto chic pronunciare dovrebbe proprio fare questo: sentire cosa pensa davvero la gente. Però non mi pare che poi capiti davvero :-)
Ah: per la cronaca, mia zia è felicissima della ZTL.

Quale sarebbe la differenza?

La Stampa, come tutti gli altri quotidiani odierni, ci fa sapere che Michael Jackson si è convertito all’islamismo, e ha cambiato il proprio nome in Mikaeel. Però, per strafare, ci spiega anche che Mikaeel è “il nome di uno degli angeli di Allah”. (Ma a dire il vero danno quella spiegazione anche il Giornale e le ultime notizie Corsera, il che mi fa pensare che ci sia stato un copincolla collettivo da qualche agenzia
Ora, Mikaeel è indubbiamente uno degli angeli di Allah. Ma è banalmente l’angelo biblico Mi-Kha’El, proprio come l’angelo Jibril che portò le rivelazioni a Maometto è l’ebraico Geber-El – vedi anche qua. Detto in altro modo, Mikaeel è esattamente Michele, cioè Michael: l’ex-nero ha semplicemente usato la forma araba del nome. Dov’è lo scoop? Forse che chi ha compilato l’agenzia e chi l’ha scopiazzata non sa che Michele è il nome di un arcangelo (oltre che del firewall del sito del Vaticano, per ovvie ragioni che però stavolta non vi spiego)?

Torino

Ieri nel tardo pomeriggio sono stato a Torino, alla giornata inaugurale dell’edizione 2008-09 di GiovedìScienza: non per altro, ma i Rudi Matematici erano lì a ritirare la versione speciale del Premio Peano 2007 e non potevo perdere l’occasione di vederli tutti e tre (e comprarmi il loro nuovo libro Rudi Ludi, oltre che vedermi regalare inaspettatamente una copia di Flatterlandia. Ne ho approfittato poi per cenare da Maria e Yagoub, e vedere la loro nuova casa.
La conferenza del vincitore del premio Peano “ufficiale”, Donal O’Shea, sembrava quasi una scena del teatro dell’assurdo. Non ero mai andato ai GiovedìScienza nemmeno quando vivevo a Torino, e mi ha stupito la quantità di persone anziane che erano lì, non si sa bene cosa si aspettavano, e si sono trovate una conferenza comunque matematica, con parti che non capivo bene nemmeno io. Uno dei tanti misteri sabaudi. Ma quello che mi ha stupito di più è stato lo straniamento che ho avuto nel trovarmi a Torino.
Passi non riuscire a ritrovarmi in via Nizza sventrata per i lavori della metropolitana, anche se ho sbagliato completamente a valutare le distanze e sono salito sul bus in Largo Marconi per fare sì e no due fermate, e dire che il Colosseo dovrei ben saperlo dov’è. Ovviamente la zona dove Maria e Yagoub hanno comprato casa, dietro l’Enviroment Park, per me è completamente sconosciuta, visto che l’hanno costruita in questi anni: ma in fin dei conti l’avevo messo in conto. Ma già riuscire a trovarmi in una piazza, guardarla stolido e capire solo dopo un attimo di essere in piazza Carlina non ha fatto molto bene al mio ego. Ancora più straniante poi è stato percorrere il primo pezzetto di via Livorno. Il sistema 5T mi aveva infatti detto che il modo più semplice per arrivare dai miei amici prevedeva di prendere 18 e 3 e farsi un pezzetto a piedi, appunto per via Livorno. Quella zona la conosco fin da quando ero bimbetto: mio padre andava a rifornirsi in un colorificio che stava lì, una sorella di mia nonna abitava dietro la chiesa all’angolo con corso Umbria, ancora dopo essermi trasferito a Milano andavo dal barbiere in via don Bosco. Ecco: le case sono sempre quelle, ma il posto è diventato una colonia araba. Persino il barbiere adesso è arabo, anche se con le scritte in caratteri latini. Resiste giusto l’autoscuola, a parte la chiesa, del passato che mi ricordo: pensate che non ci sono nemmeno più le auto parcheggiate in mezzo alla strada, una famosa caratteristica della mia città natia. Nulla di grave, solo questa sensazione di straniamento.
Nulla di strano invece a vedere l’ennesima riconfigurazione di piazza Statuto, esempio preclaro della combinatorica messa in pratica, né trovare piazza 18 dicembre tutta a serrande abbassate prima ancora delle 22: questa è la Torino che ricordo. In compenso ho scoperto che Trenitalia zippa i convogli notturni. Abituato ai soliti treni da dieci vagoni, trovarmi un Minuetto formato da due singoli vagoni è stato uno choc. Stavo quasi per chiedermi se fosse il treno giusto. Sono passati pochi anni, ma sta cambiando davvero tutto.

Economia emotiva

[copertina] Non so voi, ma io ho sempre avuto grossi dubbi sull’ammettere lo status di scienza per l’economia. Non per altro, ma spesso gli economisti spacciano per “teorie scientifiche” affermazioni che sembrano più che altro estratte da un cappello a cilindro virtuale, proprio come il prestigiatore fa con il coniglio; e dopo pochi anni le “teorie” vengono bellamente contraddette dai fatti. Però le cose vanno ancora peggio! Come Motterlini mostra in questo libro (Matteo Motterlini, Economia emotiva, Rizzoli – Bur Saggi marzo 2008 [2006], pag. 266, € 8.80, ISBN 978-88-17-02231-6), noi umani siamo geneticamente programmati ad agire contro i parametri economici che pure professiamo in teoria. Così perdere il biglietto già comprato per la partita e scoprire di non avere più i soldi tenuti in una tasca laterale per comprare il biglietto non sono per noi la stessa cosa, e nel secondo caso siamo più propensi a comprare comunque il biglietto. (Nota: in quarta di copertina si specifica che Motterlini è anche responsabile scientifico del MilanLab, ma si capiva perfettamente dal testo che è tutto tranne che interista). Il testo è scorrevole e ben scritto, e aiuta a far luce sui meccanismi economici inconsci che ci troviamo: dal mio punto di vista la terza parte del libro, più legata alla neurofisiologia, è un po’ troppo noiosa, ma magari è solo un problema mio. Diciamo invece che è comprensibile che in questa edizione economica non sia stata aggiunta l’ultima pagina a colori con il test per verificare la dicotomia parola scritta-colore, ma forse sarebbe stato meglio espungere la citazione dal testo. Una lettura comunque meritevole.

quando l’understatement è più di un’arte

Questa settimana – ufficialmente dopodomani, ma qui a Milano la si trova in edicola già oggi – esce il numero 4000 della Settimana Enigmistica. Rispetto a quasi quarant’anni fa, quando iniziai a leggerla, le differenze sono minime: la fotocomposizione, l’uso del colore non solo in prima e ultima pagina ed eventualmente a pagina 40, l’affiancamento degli SMS alla cartolina postale, il codice a barre in ultima pagina.
Però ricordavo che in queste occasioni speciali c’era qualcosa di diverso: venivano aggiunte quattro pagine di “celebrazione” (o di ricordo, come nel primo anniversario della morte di Piero Bartezzaghi). Così, quando in pausa pranzo sono passato in edicola a comprarla e ho aperto la penultima pagina, ci sono rimasto male a vedere che era “pagina 46”. Mi sembrava un po’ poco come celebrazione avere il colonnino “Ai lettori” a pagina 2. Poi ho riguardato la copertina, e ho visto la scritta “Otto pagine di giochi in più”. In effetti le otto pagine ci sono, sono più o meno a metà della rivista, e sono indicate con numeri romani: immagino per poter dire che anche stavolta le soluzioni sono a pagina 46.
Inutile: sono inarrivabili.

Nicola Latorre

Uno potrebbe pensare che il senatore diessino tanto amico di Minimo D’Alema l’avesse imparata, la lezione, dopo essere stato cuccato nelle intercettazioni Unipol. Ah, per la cronaca non era stato rinviato a giudizio, perché la Giunta per le Autorizzazioni ha scelto un’interpretazione molto estesa dell’articolo 68 della Costituzione. Invece a quanto pare no.
Come ormai sapete tutti, qualche giorno fa Latorre era a una trasmissione tv dove si parlava della commissione di vigilanza Rai. Con lui c’erano due deputati: il compagno di opposizione Massimo Donadi dell’Italia dei Valori, e il vicecapogruppo del PdL alla Camera Italo Bocchino. Donadi picchiava duro contro Bocchino, e Latorre – gli amici sono amici – è corso a favore dell’aennino prendendogli il giornale e la penna che aveva, e scrivendo sul margine la frase «Io non lo posso dire. E la Corte Costituzionale? E Pecorella?». Poi ha strappato via il pezzo di giornale: peccato che non se lo sia messo in tasca per eliminarlo del tutto, ma l’ha buttato per terra, da dove è stato prontamente raccolto alla fine della trasmissione. Come vedete, è molto importante imparare a non gettare i rifiuti per terra.
Il più bastardo a commentare il fatto stavolta è stato Jena (“Se non fosse Nicola Latorre verrebbe accusato di intelligenza col nemico”); ma anche Gramellini (“il senatore Latorre, che pur essendo dalemiano è di centro-sinistra”) ci ha messo del suo. Io non ho nemmeno la forza di commentare: tanto, in effetti, sarei costretto ad ammettere che Latorre è un perfetto rappresentante della nostra classe politica, e sono certo che sia benvoluto dai suoi sodali proprio per questo. Mi limito ad aggiungere che una persona intelligente come lui è… avvocato. Mi chiedo come consigli i suoi assistiti.

Il tempo continua ad essere relativo

[118 giorni, o quasi tre mesi] La segnalazione per la berlina odierna mi è arrivata da Licia, che mi ha fatto notare questo articolo del Corsera. Tralasciamo il “gli” al posto del “le”, tanto ormai nel parlato è una cosa normale. Ma se 118 giorni sono “quasi tre mesi”, ci sono due possibilità: che abbiano inventato i mesi di quaranta giorni – il che tra l’altro servirebbe a comprendere come mai c’è la “crisi dell’ultima settimana”: è ovvio che gli stipendi non bastino – oppure che nel periodo di tempo trascorso senza cuore non vengano considerati i weekend e le feste comandate. O magari agosto non è presente nei calendari dei giornalisti?
(per la cronaca, il “continua” del titolo si riferisce a questo. Sembra che la relatività sia bipartisan, insomma)