Wikipedia cambia licenza

In questi giorni, gli utenti di wikipedia e dei progetti fratelli votano per cambiare la licenza d’uso dei contenuti dell’enciclopedia: maggiori informazioni si possono trovare a partire dal Bar di Wikipedia.
Per chi fosse interessato a un riassunto: Wikipedia è liberamente distribuibile, ci si può fare anche i soldi vendendo il suo contenuto, però esige che il lavoro dei suoi contributori sia riconosciuto formalmente. Quando l’enciclopedia libera nacque, l’unico modo con un certo seguito di assicurarsi legalmente della cosa era licenziare il contenuto sotto la GNU Free Documentation License (GFDL). Non che siano in molti a seguirla in pratica, basta vedere quanti giornali copiano allegramente le notizie senza nemmeno una riga che spieghi da dove sono state prese. Però è anche vero che la GFDL era nata per la documentazione del software, e ha dei vincoli pesantucci, tipo dover allegare tutto il testo della licenza se appena si superava la cosiddetta “corta citazione”. Con la crescita dell’importanza di Wikipedia il limite diventava sempre più complicato, soprattutto per i contenuti non testuali; intanto le licenze Creative Commons erano nate e stavano prosperando. Così c’è stato un accordo tra le varie parti in gioco, e si è aperta una finestra di tempo che permette di modificare la licenziabilità dei contenuti in GFDL.
Se la proposta otterrà la maggioranza dei voti degli utenti, i contenuti attuali di Wikipedia avranno una doppia licenza: GFDL oppure Creative Commons – Attribution – Share Alike 3.0 (CC-BY-SA). I contributi futuri avranno la doppia licenza se aggiornamenti di materiale preesistente, altrimenti solo la CC-BY-SA. Dal punto di vista di chi contribuisce, non dovrebbe cambiare molto: l’attribuzione resta intatta. Il materiale però dovrebbe essere più facilmente redistribuibile, e gli ottimisti possono sperare che finalmente venga detto chiaramente quando le informazioni vengono prese da wikipedia. Spero che nessuno decida di fare una battaglia legale per il cambio di licenza – cosa teoricamente possibile, e che potrebbe portare a un incubo di versioni separate – e soprattutto spero che sia sempre più facile condividere materiale nel rispetto del lavoro di tutti.

Harry Potter and the Deathly Hallows (libro)

[copertina] L’ultimo libro della saga del maghetto (J. K. Rowling, Harry Potter and the Deathly Hallows, Bloomsbury 2008 [2007], pag. 831, Lst. 9.99, ISBN 978-0-7475-9586-1) è fatto molto bene, non c’è che dire. Non mi sarei aspettato che la Rowling riuscisse a recuperare così tutti i fili della trama sparsi nei vari libri, comprese cose che io mi ero assolutamente dimenticato. Nelle ottocento e più pagine si parte con quella che è una classica quest, per finire con il redde rationem finale a Hogwarts tra Harry Potter e Lord Voldemort; nel corso del libro muoiono altri dei protagonisti, come del resto ci si poteva aspettare visti i libri precedenti. Se non avete ancora letto il libro, terminate qui la lettura; altrimenti potrete scoprire che il protagonista muore e poi risorge, che Snape abbia in realtà fatto il triplo gioco… per amore, e soprattutto che a vincere è l’amore, oltre che il sapere accettare il proprio destino. Personalmente non ho capito la logica di aggiungere il capitolo finale, e mi è parso che alcuni dei personaggi si siano persi per strada; ma sono delle piccolezze.

attenti ai formati

Tralasciando il tono entusiasta di questo articolo (è un giornale, si deve far leggere…) il problema posto è molto importante. Le versioni ad alta risoluzione delle immagini raccolte negli anni ’60 dal Lunar Orbiter sono state salvate su dei nastri (analogici…) che adesso soffrono di due problemi: il primo è che si stanno deteriorando, e il secondo è che esiste solo una macchina capace di leggerli, e nemmeno la macchina se la passa troppo bene.
Lo so che voi fate sempre copie multiple di tutta la vostra roba e non appena esce un nuovo gadget, col suo formato proprietario, siete pronti a riversare i dati; e lo so che voi siete convinti che i guai sono nati perché quei nastri sono analogici e non digitali, e quindi non si possono leggere i bit (fosse così semplice… se appena si codificano i dati occorre sapere come tradurli, i bit :-) ) Però ogni tanto forse ci conviene pensare che la nostra conoscenza dipende sempre più dall’elettromagnetismo all’opera.

_Tutta colpa di Giuda_ (film)

[locandina] Film in un certo senso pasquale quello che siamo andati a vedere sabato sera, questo Tutta colpa di Giuda di Davide Ferrario (sito del film). Pasquale perché la regista teatrale Irena (Kasia Smutniak) è invitata nel carcere torinese delle Vallette per un progetto di una “Passione pasquale” che però prende tutta un’altra piega, come del resto ci si può immaginare in un posto dove nessuno ha certo voglia di fare Giuda.
Nonostante il mio (solito…) essere prevenuto, Ferrario ha fatto un bel lavoro, non troppo cerebrale come ci si sarebbe potuti aspettare dall’ambientazione. La Smutniak è davvero caruccia e soprattutto riesce ad essere convincente; il cinismo rassegnato del direttore del carcere (Fabio Troiano) è forse la cosa che colpisce di più, oltre ai volti dei detenuti che saranno anche in una sezione modello, ma appunto restano in carcere e non vedono perché poi fare chissà quali azioni che tanto saranno inutili. L’unica caduta di stile si ha quando Suor Bonaria (Luciana Littizzetto come special guest), per consolare il prete don Iridio (Gianluca Gobbi) che non vuole affatto una “Passione” che dire anticonvenzionale è poco, lo consola dicendogli che chissà, magari lassù farà in modo che succeda qualcosa.
Di Torino ovviamente se ne vede poca (a parte uno scorcio delle case del villaggio olimpico, con un arredamento interno piuttosto incongruo), del carcere di più, con Loris che pensava che l’aula-bunker alle Vallette sarebbe stato un CED perfetto; ho rivalutato i Marlene Kuntz come musicisti, e il brano di Francesco “Checco” Signa che dà il titolo al film è davvero trascinante.

Intersezioni

Tanti si lamentano perché Berlusconi è sempre in Abruzzo, dopo il terremoto.
Tanti si lamentano perche il papa non è andato in Abruzzo, dopo il terremoto.
Calcolare l’intersezione dei due insiemi.

gioco della domenica: Str8ts

Occhei, oggi ci sarebbe voluto un gioco pasquale: però Easter Eggs Swap è praticamente un Germz semplificato, e quindi non lo considero valido per la rubrichina. Vi segnalo invece Str8ts, un altro gioco in stile sudoku con un (minimo) contenuto matematico.
Lo schema di str8ts (si legge come “straights”, filotti) ricorda quello di un cruciverba 9×9, o se preferite del kakuro, con la particolarità che non solo alcune caselle bianche ma anche alcune nere hanno un numero all’interno. Come nel sudoku, bisogna completare lo schema scrivendo nelle caselle bianche le cifre da 1 a 9 in modo che nessuna riga o colonna presenti due volte la stessa cifra; può darsi che alcune righe e colonne non contengano tutti i numeri. La caratteristica distintiva del gioco è che tutte le “parole” del cruciverba sono composte da cifre consecutive, da cui il nome del gioco. Se una casella nera contiene un numero, il risultato pratico è che non può essere usato nella riga e nella colonna corrispondente.
Il sito di str8ts presenta uno schema giornaliero risolvibile online; il primo che ho provato a risolvere, nonostante fosse definito relativamente facile, mi ha dato un po’ filo da torcere, probabilmente perché non sono abituato a pensare per filotti. Può essere comunque un interessante variante al mettere i numeretti sui soliti schemi di sudoku.
(via Passion For Puzzles)

Wikipedia specchietto per le allodole

Oggi su Tuttolibri c’è questo trafiletto di Giovanna Zucconi. Già dal titolo, “Salviamo i precari da Wikipedia”, si capisce dove la giornalista vuole andare a parare.
Tolto il primo paragrafo che non c’entra nulla con il resto dell’articolo, la Zucconi comincia infatti a lanciare strali contro il sito francese «pomposamente chiamato Encyclopédie Française.com» (occhei, a dire il vero il sito si chiama encyclopediefrancaise.com; ma la signora Zucconi a differenza di me il francese lo sa, e delle convenzioni di internet forse ne sa meno); cita un testo che per me è comprensibile ma immagino sia pieno di erroracci, e chiosa «Trattasi di una traduzione automatica, si scopre, da Wikipedia».
La cosa, per quel poco che sono riuscito a capire, è vera; encyclopediefrancaise.com mette sul suo sito le traduzioni automatiche dalla wikipedia in lingua inglese. È indubbiamente vero che «chi mette online questa roba ci guadagna: zero lavoro, qualche incasso pubblicitario», ma non vedo perché questo sia colpa di Wikipedia, che non ricava certo soldi da tutto questo. (Per la cronaca, se sulla wikipedia in lingua italiana qualcuno trova una voce chiaramente tradotta automaticamente la voce viene cancellata immediatamente, per quanto importante possa essere l’argomento: giusto per dare un’idea della nostra attenzione alla qualità)
Chi vede il nesso è ovviamente la signora Zucconi, che termina parlando di un libro di Anne e Marine Rambach sul precariato intellettuale e cita una traduzione automatica di una recensione, questa volta in italiano, che a detta sua dovrebbe essere «allegramente sul web». L’ho cercata ma non l’ho trovata: mi sa che chiunque l’avesse inserita si sia così spaventato dall’essere citato sul terzo quotidiano d’Italia che ha subito cancellato ogni prova del misfatto. La tesi del libro, fatta direi propria dalla Zucconi, è che chi la cultura la fa è rovinato dalla Grande Rete: «tariffe già miserabili e in calo, sotto la spinta della “cultura del gratuito” promossa da Internet». Collegandolo al titolo, è ora chiaro che Wikipedia è il Male: lasciando a disposizione materiale aggratis, magari tradotto automaticamente perché è più facile, l’enciclopedia toglie il lavoro a chi lo fa per mestiere. Che ci sia una precarizzazione della cultura è un (triste) fatto: da qui a dare la colpa a Wikipedia, senza voler nemmeno pensare che forse parecchio di quello che c’era prima era più culturame che cultura, e che se gli editori e i compratori si accontentano delle traduzioni automatiche magari significa che non sono comunque interessati al materiale in questione, mi pare un po’ limitativo.
Concludo con le parole terminali dell’articolo: «La discussione continua sul web, in mirabili traduzioni appunto gratuite.» Non posso garantire che nessuno applichi un traduttore automatico a questa mia notiziola – a volte è infatti capitato – ma la signora Zucconi ha ben donde a preoccuparsi: tutto questo l’ho scritto assolutamente gratuitamente.
Aggiornamento: (23:00) seguendo i commentatori, lascio il beneficio del dubbio e ammetto che il titolo possa essere stato scritto da qualcun altro, e quindi la signora Zucconi ce l’abbia solo in genere contro le traduzioni automatiche e la “cultura del gratuito”. Il resto di quanto ho scritto rimane, naturalmente.