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La Rai e i video: un rapporto difficile

Ieri volevo rivedermi la parodia “Bunga Bunga” che Elio e le storie tese avevano cantato durante la trasmissione Parla con me. Vado su YouTube… e scopro che i video sono stati rimossi su richiesta della Rai che detiene il copyright.

Che rompimento, penso: vado su raiplay.it, clicco sulla lente, cerco “Parla con me Elio”… e non trovo nulla. Vabbè, uso Google e arrivo finalmente su questa pagina. Tutto bene quel che finisce bene? macché.

I video (forse) ci sono, ma occorre Microsoft Silverlight. In teoria io avrei anche Silverlight: ma a quanto pare non gli piace Firefox. Non gli piace nemmeno Vivaldi. Sembra che non gli piaccia nemmeno Edge, che pure è Microsoft. Tiro fuori Internet Explorer 11: risultato, “video non supportato”. Qualcuno ha idea di come si possa fare?

Ultimo aggiornamento: 2020-06-03 14:31

La Grande Battaglia contro Telegram

Se non ve ne foste accorti, un paio di settimane fa è partita un’offensiva da parte della FIEG contro i canali Telegram che mettono (illegalmente) a disposizione degli iscritti le versioni elettroniche dei quotidiani, con una richesta al Garante per le Comunicazioni di chiudere la piattaforma. La prima battuta che ho sentito raccontare è stata “per forza, prima li si leggeva al bar ma ora con il lockdown si deve stare a casa”. La seconda battuta è stata “oh, finalmente ho trovato la lista dei canali con i giornali da scaricare!” Più seriamente, molti si sono chiesti “Ma come! Io i giornali li scarico da Whatsapp, mica da Telegram. Perché non parlano di loro?” La risposta a questa domanda potrebbe essere interessante. Forse il problema è che è più difficile controllare un canale Telegram di uno Whatsapp: non so se sia vero che il revenge porn e la pedofilia stiano sulla prima piattaforma e non sulla seconda, visto che non è roba che frequento, ma sicuramente nessuno ha fatto partire una campagna su quei canali.

Ad ogni modo, sembrava che la montagna avesse partorito il proverbiale topolino: in questo comunicato Agcom affermava che Telegram “ha rimosso [volontariamente, nota mia] 7 degli 8 canali segnalati da FIEG”. Nel testo del provvedimento, il Garante faceva notare che il blocco può essere solo a livello provider (e se lo diventasse, con il solito sistema del settare il dns a 127.0.0.1, ho come il sospetto che saranno in tanti a passare ai dns di Google) e che non è possibile “ordinare la rimozione selettiva dei soli contenuti illeciti, in quanto ciò comporterebbe l’impiego di tecniche di filtraggio che la Corte di giustizia europea ha giudicato incompatibili con il diritto dell’Unione.” (ammesso di poter filtrare un canale in https). Non che mi sia chiaro il suggerimento nemmeno troppo mascherato di cambiare la legge per “considerare stabiliti in Italia gli operatori che offrono servizi della società dell’informazione nel territorio italiano utilizzando risorse nazionali di numerazione.” Non mi è infatti chiaro quali siano le risorse nazionali di numerazione usate da Telegram.

Ma ieri c’è stato un colpo di scena! Una procura pugliese (no, malfidati, non è stata Trani ma Bari) ha sequestrato 19 canali (o forse 17). Non mi è ben chiaro cosa significhi “sequestrare un canale”: forse se fossi stato iscritto a uno di essi mi sarei trovato i sigilli, ma non è questo il caso. Devo comunque stigmatizzare la scarsa conoscenza aritmetica della FIEG, secondo cui gli utenti sono “quasi raddoppiati […] dai 395.829 iscritti dell’8 gennaio 2020 ai 574.104 del primo aprile 2020” (+45%, diciamo che la frase funziona per un valore molto ampio di “quasi”); e soprattutto dei soldi persi, che “in una ipotesi altamente conservativa, si parla di 670 mila euro al giorno, circa 250 milioni di euro all’anno.” (anni di 373 giorni). La stima equivale a dire che ciascuno degli iscritti, ammesso e non concesso che nessuno facesse parte di più di un gruppo, scaricherebbe un po’ più di un quotidiano al giorno (se non erro, il costo di una copia elettronica è minore di quello di una copia cartacea; e se non lo è allora gli editori ci lucrano sin troppo). Anche immaginando che tutti costoro avrebbero regolarmente comprato la loro copia ufficiale se non ci fossero stati quei canali, l’ipotesi implicita è che ci si iscriva per leggersi ogni giorno a sbafo il giornale; a nessuno è venuto in mente che magari molti iscritti non scaricano quasi mai nulla, a meno che non serva loro uno specifico articolo; e che se ci fosse un sistema di micropayment “10 centesimi per una singola pagina” non ci penserebbero nemmeno a usare un sistema illegale.

Però volete mettere la possibilità di fare grandi proclami?

Edilizia scolastica “leggera”

Repubblica parla della “scuola dopo il coronavirus” e tra le tante idee – o meglio, tentativi di idea – presentati racconta di un un Osservatorio dedicato che

proverà a virare i lavori già appaltati sulle nuove necessità e a dirigere i prossimi su “un’edilizia leggera” – il termine è questo – che consentirà con alcune migliaia di euro e tre-quattro mesi di cantiere di recuperare aule, piani, ali di edificio oggi inutilizzati (per la presenza di eternit, per esempio).

Vicino a casa mia c’è una scuola media, quella dell’istituto comprensivo dove i miei gemelli hanno fatto le elementari, che quattro anni e mezzo fa è stata chiusa da un giorno all’altro per la presenza di amianto, mandando tutti gli studenti nell’elementare dei gemelli, che per fortuna aveva un po’ di spazio. In questi quattro anni e mezzo non si è fatto nulla; a quanto ne sapevo gli interventi erano finalmente stati schedulati per il prossimo ottobre. La mia domanda è semplice: se sarebbero bastate poche migliaia di euro per rimettere a posto il tutto, è possibile che nessuno – nella fattiscpecie, il comune che immagino sia il proprietario dei muri – fosse riuscito a trovarli in questi anni? O forse sono improvvisamente spuntati migliaia di operai edili che con mascherine e tutto potranno finalmente lavorare in sicurezza? O magari si farà invece una finta messa a norma, perché tanto si muore più di coronavirus che di tumore ai polmoni?

Poi c’è anche la questione degli insegnanti che dovrebbero lavorare più delle 18 ore attuali per ovviare alle classi con meno bambini; lavoro “che andrà pagato meglio” bontà loro. La vedo bene anche quella. Insomma, nonostante tutte le task force qui siamo ancora alla fase zero, quella delle marinettiane parolibere. Ma almeno lui era un artista.

Ultimo aggiornamento: 2020-04-27 20:13

Giornata mondiale del libro 2020

Oggi è il 23 aprile, e quindi si festeggia la giornata mondiale del libro… “e del diritto di autore”, mi affretto a ricordarvi, come se le due cose dovessero necessariamente andare a braccetto e uno non potesse pubblicare un libro rinunciando al diritto d’autore. Proprietà intellettuale e diritto d’autore sono due cose ben distinte.

Nonostante il wishful thinking, gli editori piangono più miseria del solito, e mi sa che abbiano ragione. Il problema non è tanto se le librerie sono chiuse o aperte. Più precisamente, quello è un problema per i librai e lo sarà anche nel futuro, perché chi va in libreria vuole essere a contatto con i volumi e al momento questo non pare proprio il caso. Ma torniamo ai libri. In queste settimane ci sono stati tantissimi editori che hanno offerto ebook. Noi lettori forti abbiamo comunque pile di libri cartacei comprati negli anni “per quando abbiamo tempo di leggere”. Ma tutti i miei amici lettori forti mi dicono che non è che leggano più del solito, come dicevo già la settimana scorsa. E comunque, salvo rari casi come la biografia di Woody Allen che La Nave di Teseo ha comunque fatto uscire in ebook, anche in questo lo strascico di questa situazione si vedrà tra alcuni mesi. Il Libraio scrive:

Ad oggi, anche se si concretizzerà il recupero, questo si tradurrà in 21mila titoli pubblicati in meno nel corso dell’intero anno, 12.500 novità in uscita bloccate, 44,5 milioni di copie che non saranno stampate e 2.900 titoli in meno da tradurre.

Una tiratura di 2000 copie medie a libro mi pare altina, ma non sottilizziamo. 21.000 titoli su circa 80000 (nel 2018 sono stati 78.875) è una bella percentuale; ma forse bisogna considerare le 12.500 novità nel qual caso i conti sono un po’ meno in rosso. Però per le piccole e medie case editrici questo calo potrebbe essere esiziale. Eppure il libro di carta secondo me ha ancora un suo senso. Per quanto io legga sempre più spesso in elettronico, ci sono casi in cui mi trovo meglio sfogliando che digitando il testo nel form di ricerca. Ma cerchiamo di non essere troppo tristi: oggi è la festa del libro e allora festeggiamo!

PS: garantisco che non sono solo io a trovare difficile leggere in questo periodo. (Poi io trovo anche difficile scrivere, ma non sottilizziamo)

Ultimo aggiornamento: 2020-04-23 17:04

Petrolio sottozero

Per prima cosa, non è vero quello che è stato detto da qualcuno, che cioè lunedì il costo del petrolio è sceso a meno 37 dollari il barile. Quello è infatti il prezzo dei futures sul petrolio per maggio: come chiunque abbia visto Una poltrona per due ben sa, i futures sono in pratica delle scommesse su quello che sarà il prezzo futuro di un bene. In genere chi acquista dei futures non vuole davvero comprare il bene, ma semplicemente scambiare con qualcuno il contratto; ma il crollo della domanda e gli stoccaggi strapieni chi aveva scommesso di comprare a prezzo basso è rimasto col cerino in mano ed è stato costretto a pagare chi poteva effettivamente tenere dell’altro petrolio, visto che lunedì era l’ultimo giorno possibile per i contratti di maggio. È però vero che il greggio texano da comprare subito è sceso a un euro il barile, sempre perché nessuno sa dove tenerselo.

Tutto questo è una buona notizia? Nemmeno poi troppo. Il guaio è che il nostro pianeta, nonostante le lotte trumpiane per rimettere dazi dovunque possibile, è troppo interallacciato. Questo significa che – checché dicano certi sedicenti economisti che ritengono possibile creare un nuovo mercato da zero in un attimo – quello che succede davvero di solito è un lento spostamento delle risorse da un settore a un altro. Magari in un anno può esserci un 10 o anche un 20 percento di calo, e questo può proseguire per vari anni; ma un crollo in poche settimane si ripercuote rapidamente su tutta la catena, e nessuno riesce davvero a sopravvivere. Anche limitandoci al petrolio, un prezzo ridicolo del greggio “buono” manda fuori mercato chi sfrutta lo shale oil, la cui produzione costa molto di più; manda fuori mercato molte fonti di energia alternativa, che già ieri sopravvivevano anche se non soprattutto per aiuti statali; modifica la struttura stessa del mercato, perché visto che si consima molto meno petrolio servono meno pompe di benzina e meno raffinerie. Insomma, il crollo del prezzo del greggio è l’equivalente del famoso asteroide; i suoi danni non si vedono tanto nell’immediato quanto nel breve e medio termine, e saranno credo peggiori di quelli del coronavirus vero e proprio.

Ah: a chi si chiede perché il prezzo della benzina non è crollato, ricordo che a parte i 78 centesimi al litro di accise bisogna tenere conto che il carburante che noi acquistiamo oggi era stato comprato dalle compagnie petrolifere a prezzo ben più alto. Quello che bisognerà piuttosto chiedersi sarà come mai quando la domanda crescerà il prezzo alla pompa si allineerà immediatamente…

AllertaLOM (e un aggiornamento su IMMUNI)

Ricordate che venerdì avevo scritto che «pare che Regione Lombardia abbia ampiamente pubblicizzato la loro app AllertaLom»? Bene. Oggi alle 12:55 mi è arrivato il seguente SMS:

RegioneLombardia-CercaCovid: scarica app AllertaLOM e compila ogni giorno il questionario anonimo sul tuo stato di salute. Aiuterai a tracciare mappa contagio

Tutto qua. Non uno straccio di link: non tanto all’app – sarebbe un po’ complicato, non conoscendo qual è il sistema operativo del telefonino – quanto a una pagina istituzionale della regione dove viene spiegato sia in poche parole che per filo e per segno cosa fa l’app e perché lo fa, e già che ci sono mettere i link agli store Android e iOS (ma anche WindowsPhone, per chi ce l’ha…) In effetti però la pagina dell’app non dice molto, e anche cliccando sul banner “Info CoronaVirus” si arriva a una pagina che finalmente porta alla pagina CERCACOVID con un minimo di spiegazioni, eccetto “naturalmente” quelle su come vengono trattati i dati. Una nota a latere: mentre sto scrivendo, l’app sarebbe stata scaricata da 675.000 persone e sarebbero stati raccolti 960.000 questionari. Considerando che in teoria il questionario dovrebbe essere compilato una volta al giorno abbiamo dei problemi nella comprensione delle operazioni da compiere.

La mia amica Patrizia mi segnala questo articolo di Wired Italia (rigorosamente senza collegamenti a siti esterni, secondo le inveterate abitudini italiche) che fa le pulci a come si gestisce l’anonimato – o meglio lo pseudonimato, visto che per la natura stessa dei questionari è necessario riunire in uno stesso fascicolo quelli relativi a una singola persona, pur non potendo risalire ad essa; e soprattutto spiega perché i messaggi arrivino in tempi diversi: tutto dipende dall’operatore. Evidentemente Tim si è svegliata stamattina.

Ma lasciamo perdere AllertaLOM e torniamo alla mirabolante IMMUNI. Il mio collega wikipediano valepert mi ha segnalato questa nota del ministero dell’innovazione che segnala come

il sottogruppo “Profili giuridici della gestione dei dati connessa all’emergenza” ha evidenziato che: […] Il codice sorgente del sistema di contact tracing sarà rilasciato con licenza Open Source MPL 2.0 e quindi come software libero e aperto.

(grassetto loro). In realtà non c’è scritto che BendingSpoons abbia accettato la cosa: il testo più sotto dice infatti

il Commissario ha stipulato il contratto con cui la stessa società, per spirito di solidarietà e, quindi, al solo ed esclusivo scopo di fornire un proprio contributo volontario utile per fronteggiare l’emergenza da coronavirus in atto e contribuire alle azioni di contenimento che il Governo intende porre in essere, ha concesso la licenza d’uso aperta, gratuita, perpetua e irrevocabile del codice sorgente e di tutte le componenti dell’applicazione. La società si è poi impegnata, sempre gratuitamente e pro bono, a completare gli sviluppi software necessari per la messa in esercizio del sistema nazionale di contact tracing digitale.

Però a me questa nota del ministero pare tanto un tentativo di mettere una pezza ex post a un “piccolo” errore di progettazione del bando. Speriamo che basti.

Ultimo aggiornamento: 2020-04-21 17:52

App tracciacontatti, privacy e modelli di business

Continuiamo a essere nel pieno della pandemia da CoViD-19. Non abbiamo nessuna idea di cosa possiamo fare per tornare a una vita non dico normale ma almeno senza essere segregati in casa; ma è chiaro a tutti che questa situazione non può proseguire per troppo tempo, anche senza tenere conto delle notevoli spinte di Confindustria e soprattutto Assolombarda… anche se la Lombardia per com’è la situazione attuale dovrebbe essere di gran lunga l’ultima regione italiana a poter permettere un rilassamento del lockdown. Ma la pandemia per sua stessa definizione non è solo italiana ma mondiale; ecco dunque che ovunque ci si sta scervellando su quali possano essere le soluzioni da adottare, sapendo perfettamente che almeno per il momento non esiste una panacea ma bisognerà adottare un mix di misure ciascuna delle quali contribuirà a ridurre l’ormai arcinoto parametro R0, quello che misura la contagiosità dell’infezione e che è stato spiegato bene da Angela Merkel (visto che avere studiato serve?) Tra le proposte c’è quella di tracciare i contatti personali per monitorare i contagi, e qui cominciano le danze.

Una fase della proposta Apple-Google per il tracciamento del contagio (dalle loro specifiche)

Avrete sicuramente sentito almeno parlare della strana alleanza tra Apple e Google, che hanno presentato una proposta di un’app per il tracciamento del contagio. Questa app “ovviamente” sarebbe installata su base volontaria, ed è stata studiata pensando alla privacy. Semplificando al massimo la proposta, ogni telefono in cui l’app è installata controlla con regolarità se ci sono altre app nei paraggi, e in caso affermativo le due app si scambiano un identificativo. Se una persona risultasse positiva al CoViD-19, l’app recupererebbe tutti i dati raccolti negli ultimi 15 giorni e li invierebbe a un server centrale; a tutte le persone che si sono trovate nelle vicinanze del malato verrebbe segnalata la situazione di possibile pericolo, invitandole a fare un controllo e mettersi in quarantena preventiva. Il vantaggio pratico della soluzione è per l’appunto il potere “tornare nel passato” e trovare persone che potenzialmente sono già infette e contagiose ma non hanno ancora sintomi della malattia; bloccando solo loro si permette al resto della popolazione di muoversi con maggiore libertà. Il primo passo sarà avere per la metà di maggio una serie di API (interfacce pubbliche) interoperabili tra i due sistemi; il passo successivo sarà modificare Android e iOS per avere direttamente nel sistema operativo la funzionalità di tracciamento, che però avrà sempre bisogno di un’app esterna.

La prima cosa che viene in mente leggendo la proposta è naturalmente chiedersi se la privacy è davvero rispettata. Io non ho le competenze necessarie per dare una risposta definitiva. Comprendo la logica alla base di scegliere Bluetooth e non GPS come modo per ottenere i dati di vicinanza: in questo modo, anche se qualcuno riuscisse ad accedere ai nostri dati, non potrebbe scoprire dove siamo stati ma solo quanti sono stati i nostri contatti; non quali sono, perché il server non conosce i nostri dati visto che è il nostro telefono a collegarsi per sapere se siamo stati in contatto con un contagiato, e uno dei principi fondamentali della sicurezza è “meno sai, meno danni può fare un baco di sicurezza”. È anche positivo il fatto che Apple e Google abbiano rese pubbliche le specifiche tecniche della loro soluzione: sicuramente saranno scrutinate con molta attenzione dagli esperti di privacy e di crittografia. Ma ci sono altri problemi che non mi fanno sentire molto tranquillo.

Innanzitutto, una funzionalità su base volontaria funziona allo stesso modo di una vaccinazione. In quest’ultimo caso occorre raggiungere l’immunità di gregge: una percentuale piuttosto alta della popolazione, che dipende dalla contagiosità della malattia ma che varia tra l’80 e il 95%. Nel caso dell’app avremmo qualcosa di simile: una certa percentuale di persone deve usarla per avere un tracciamento globale. Le stime che leggo variano dal 60 al 75%, probabilmente tenendo conto del fattore R0 più basso che per altre malattie; ma ho dei dubbi sulla validità di questa banale trasposizione, che non tiene conto della diversa logica dei due sistemi. Chi usa l’app non è infatti immunizzato, ma solo controllato; quindi può contagiare ed essere contagiato. Bene: chi ci assicura che l’app parta in pompa magna, si vede che i risultati sono deludenti, si dà la colpa alla bassa percentuale d’uso e la si renda obbligatoria? E una volta che l’app è obbligatoria, chi ci assicura che nessuno pernserà di usarla per altri tipi di controllo?

C’è poi il problema di un oligopolio – quello dei produttori di software per telefonini – che si sta rafforzando sempre più. Al momento c’è già qualcuno che sa perfettamente cosa facciamo e dove ci muoviamo, e sono gli operatori di telefonia mobile. È vero che i loro dati sono tipicamente meno precisi: come scrissi in occasione della grande mossa del governatore lombardo Fontana che chiese i dati aggregati per scoprire come i milanesi si stavano muovendo troppo, a me non serve neppure uscire di casa per passare da una cella a un’altra. Ma quello che probabilmente conta di più è che giustamente questi dati hanno dei vincoli d’uso molto stretti, e quindi non possono essere usati all’atto pratico. (Immagino anche ci sia poca inventiva da parte delle Telco per trovare degli usi interessanti ma rispettosi della privacy; non che io abbia tutta questa inventiva, intendiamoci, altrimenti avrei già proposto dei servizi). Una delle cose peggiori dei dati anonimizzati è però che possono diventare ben poco anonimi se incrociati con altri dati. Per esempio, se qualcuno sapesse più o meno dove abito e in che azienda lavoro potrebbe scoprire qual è il telefono che posseggo, guardando semplicemente gli spostamenti di tutti e filtrando i dati. Google e Apple al momento hanno dati più precisi ma meno facili da incrociare con altri dati pubblici; un insieme di coppie di vicinanza potrebbe essere incrociato in molti casi con la geolocalizzazione telefonica storica per recuperare i numeri corrispondenti alle connessioni anonime. Per evitare una cosa del genere, come minimo il server centralizzato dovrebbe essere gestito da una terza parte, e così d’acchito non saprei dire se è meglio che questa terza parte sia governativa – meglio, paneuropea – o privata. Sicuramente lo European Data Protection Board si sta preoccupando dei temi della privacy, ma non so fino a che punto.

Io ho provato a cliccare, ma non ho trovato nulla. Forse devo essere abbonato?

Infine… abbiamo l’italica app, scelta dopo regolare bando di concorso. In Italia siamo sempre pronti ad avere soluzioni autarchiche, dalla PEC a SPID, che di per sé funzionicchiano anche ma non sono assolutamente interoperabili, oltre ad essere rigorosamente gestite da privati o pseudoprivati. In questo caso, a oggi sappiamo ben poco di Immuni, se non che è stata fatta da una software house milanese in collaborazione con una nota catena lombarda di poliambulatori privati (che pure il mese scorso pare lavorassero a un’app di tipo ben diverso e da una società di marketing che evidentemente avrà collaborato per rendere la proposta più appetibile. Sicuramente l’ordinanza – che chissà come mai non sono riuscito ad aprire dal sito del Corriere che pure indicava il link da cliccare – non dice assolutamente nulla di tecnico, né contiene allegati tecnici sulla soluzione. Per quanto io possa parlare male di Apple e Google, la security by oscurity mi pare ancora più preoccupante: al governo e al commissario straordinario evidentemente no, o forse magari hanno avuto tutte le spiegazioni del caso con un obbligo di non divulgazione.

Ah sì: contemporaneamente oggi pare che Regione Lombardia abbia ampiamente pubblicizzato la loro app AllertaLom, che è stata recentemente aggiornata per chiedere a chi l’ha installata di segnalare ogni giorno il suo stato di salute. A quanto pare non c’è la possibilià di cliccare sul pulsante “come ieri” o anche solo di partire dai dati del giorno precedente per modificare quelli cambiati. Tutto questo riduce di molto il numero di volontari che si mettono a scrivere tutto ogni giorno; ma tanto l’app è stata scaricata da 50000 utenti sui 10 milioni di abitanti, e vi lascio quindi immaginare l’utilità pratica…

Ultimo aggiornamento: 2020-04-17 22:24

Librerie aperte, librerie chiuse

Lasciamo stavolta da parte le battutacce sui governatori leghisti che non vogliono riaprire le librerie nonostante il via libera del governo, non si sa bene se perché non hanno ben chiaro a che servono oppure se lo sanno perfettamente e quindi non vogliono adunate sediziose. Guardiamo piuttosto la voce contraria di tanti librai indipendenti, che avranno fatto i loro conti e capito che riaprire adesso è solo una perdita di tempo e di fatica senza probabilmente ricavi. Io posso solo fornire evidenza aneddotica: tra i miei amici ci sono molti lettori forti, come magari immaginate, e tutti mi dicono che nonostante il lockdown non è che leggano più del solito, anzi. Io stesso faccio fatica a mantenere i miei ritmi soliti, probabilmente perché non riesco a considerare i libri come “una meritata pausa” e quindi non li prendo tra le mani (o faccio partire l’app sul tablet). Ho appena dato un’occhiata alle mie statistiche: dall’8 marzo al 10 aprile ho finito tre libri, che per me è una miseria. Insomma, a chi giova questa apertura? Forse alle grandi catene, forse ai supermercati. Secondo me quello che lo sa è Franceschini.

Ma detto questo, credo che più che parlare di librerie aperte o chiuse sia interessante leggere questa analisi di Emanuele Giammarco. Mi stupisce leggere che “il mercato è subissato di titoli che in grandissima percentuale non arrivano a 150 copie vendute”: io scrivo libri di nicchia, ma il mio libro cartaceo che ha venduto di meno era arrivato a 863 copie a fine 2018. (Beh, no, imamgino che Scimmie digitali abbia venduto molto di meno, ma non ho mai avuto i dati di vendita. A maggio torno alla riscossa). Con quei numeri, però, che senso ha spedire nelle piccole librerie? Passare dal conto vendita all’acquisto diretto può essere utile, ma questo significa che il libraio deve decidere come specializzarsi, oltre ovviamente ad acquistare i “libri comuni” che probabilmente si vendono comunque. Questo però ha un costo in termini di tempo dedicato a scegliere i libri da esporre, senza una vera certezza di guadagno… e con i vincoli dei grandi distributori. Non mi aspettavo che i distributori chiedessero l’esclusiva, per esempio.

Insomma le librerie hanno sempre più problemi, lockdown o no: e non ho idea di quale sia il modo migliore per farle uscire dall’oramai eterna crisi.