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Il sistema sanitario lombardo al di là del Covid

Come forse ricordate, un paio di anni fa ho avuto un distacco della retina, risoltosi tutto sommato bene (con la scusa che mi hanno cambiato anche il cristallino, ci vedo persin meglio di prima) ma che mi obbliga a fare una visita di controllo l’anno. Avevo così prenotato l’OCT per oggi e la visita vera e propria per l’8 maggio.

Venerdì 13 marzo mi arriva un sms che mi segnala che l’appuntamento per la visita di controllo è stato annullato e sarà rischedulato quanto prima. Nulla di strano, penso, aspetteranno che finisca il lockdown per fare le visite. Però non mi arriva nessun messaggio per l’OCT. Mi connetto al sito della sanità lombarda, SPID e tutto: le prenotazioni continuano a esserci ma se provo a visualizzarle mi appare una classica schermata in cui è chiaro che nella base dati c’è qualcosa che non va. Telefono al numero delle prenotazioni: mi risponde un tipo che mi dice “ah, non sappiamo nulla, se non che i servizi sono aperti solo per le urgenze. Ma c’è tempo, richiami la prossima settimana”. Giovedì richiamo, e un’altra operatrice mi dice la stessa cosa, aggiungendo che ogni azienda ospedaliera fa per conto suo e di chiamare magari sabato, al che io sommessamente le ricordo che per la sanità il sabato sarà pure lavorativo, ma il 25 aprile no. Ad ogni modo, finalmente venerdì mi arriva l’sms che cancella anche l’OCT.

Fase 2 :-). Ieri pomeriggio provo a vedere se posso riprogrammare da sito le visite, e scopro che per il giorno dopo c’è un posto al Fatebenefratelli valido anche per chi come me ha una ricetta programmabile. Che bello, penso, e procedo alla modifica. Il sistema ovviamente si lamenta perché io ho una prenotazione già fatta (ma mi avete detto che è rimandata!). Cancello la prenotazione, e come d’incanto non risulta più nulla di prenotabile. Stamattina richiamerò il numero verde, anche perché tra un po’ la ricetta scade; però capite che se per queste che dovrebbero essere operazioni normali il risultato è simile non è che si possa immaginare che nelle emergenze si possa fare qualcosa di funzionante…

Il grandissimo servizio di BRT

Qualcuno mi aveva chiesto come era poi andata avanti la consegna BRT del mese scorso. Forse però non volete saperlo.

In pratica, per cinque giorni la settimana il sito BRT diceva al mattino presto che il pacco sarebbe stato consegnato in giornata e che dopo le 10 sarebbero stati più precisi; a metà mattinata la fascia di consegna era ridotta a due ore; nel pomeriggio la consegna veniva spostata al giorno successivo. Una volta mi è anche capitato di leggere “Mancata consegna”, come se io fossi andato in giro e non ci fosse stato nessuno a casa. La settimana scorsa c’è stata un’aggiunta; “I tempi di consegna potrebbero non essere garantiti a causa del COVID-19”.

Ieri pomeriggio finalmente ha suonato il corriere. Mi sono trovato un pacco malamente chiuso con lo scotch. Ho aperto il pacco e la bicicletta era rotta, e tra l’altro anche senza il foglietto della garanzia. CoopOnline (da cui ho comprato le biciclette) tace. BRT non è come al solito raggiungibile. Cosa devo fare?

Scrivere non è sempre la stessa cosa

Quando la settimana scorsa ho raccontato perché io scrivo, c’è stato un piccolo thread al riguardo su Facebook, dove al mio commento “mi sa che scriverò un pippone sulla differenza tra postare su FB e scrivere su un blog” il mio amico Gionata ha ribattuto da un lato aggiungendo lo scrivere libri e dall’altro dicendo di essere curioso del perché io trovassi una differenza, visto che per lui era la stessa cosa. Insomma, il pippone ve lo trovate anche questa volta, con la solita avvertenza che quello che scrivo è il mio personale punto di vista e che potrebbe essere una posizione di assoluta minoranza.

Io non credo di avere mai avuto il blocco dello scrittore. In prima elementare scrivevo pensierini a raffica. Al triennio del liceo, consegnavo i temi in un’ora e mezzo: quattro paginette (non usavamo fogli protocollo) scritte direttamente in bella perché sono pigro, con risultati non eclatanti ma nemmeno disprezzabili. In realtà mi capitò una volta in prima liceo di prendere un 5 e mezzo su un tema manzoniano, per l’ottima ragione che come al solito non avevo studiato e quindi mi sono dovuto arrampicare sugli specchi; il professore – che aspettava solo una mia insufficienza – mi costrinse a scrivere in brutta e per un anno e mezzo io diligentemente copiai in brutta il tema che avevo appena scritto in bella. Attenzione, però. Non è che io scrivessi, o scriva, di getto: semplicemente ai tempi mi fermavo un attimo, componevo mentalmente la frase da scrivere, e la mettevo su carta.

Da quando poi ci sono i computer il mio modo di scrivere i post è cambiato. Solitamente ci penso un po’ su prima di cominciare a scrivere, creando qualche frase ad hoc che mi dimentico subito; poi comincio a scrivere a spizzichi e bocconi – questo post ce l’ho in bozza da due giorni – ma soprattutto mentre scrivo torno spesso indietro a correggere e migliorare delle frasi che non mi suonano tanto bene. Esatto: mantengo nella mia memoria di lavoro due o tre sezioni del testo. Non ve lo consiglio, ma per chi è abituato a lavorare così non è poi molto complicato. Alla fine non rileggo mai, visto che tanto l’ho fatto man mano: ecco perché vi trovate spesso dei tag non chiusi o chiusi in modo errato, o addirittura frasi lasciate a metà perché l’algoritmo mentale di composizione ha avuto un interrupt, magari un gemello che viene a chiedermi per l’ennesima volta qualcosa.

A parte queste mie peculiarità, un post è insomma per me un’unità logica che deve avere una sua struttura interna ben precisa, e la deve avere per quanto possibile anche nel futuro non meglio identificato. Un messaggio in un social network no. Fosse anche un pippone da venti righe, è qualcosa che butto giù tutto in un fiato, senza stare troppo attento alla struttura logica della frase se non per far sì che il testo sia comprensibile a chi mi legge. Eventuali errori di ortografia li correggo dopo, perché mi dà fastidio vederli; però il messaggio è qualcosa che per me vale solo nel qui-ed-ora. Naturalmente mi è sempre chiaro che una qualunque cosa scritta in rete è per sempre, e quindi non scrivo cose di cui potrei pentirmi in futuro; mi daranno magari del cretino, ma tanto ci sono abituato!

E scrivere libri? Non lo so, non ne ho mai scritti :-) Seriamente, i libri che ho scritto non sono saggi veri e propri, ma insiemi di capitoli che possono essere letti indipendentemente. Questo significa che da un certo punto di vista li ho scritti come se fossero dei post un po’ più lunghi del solito, e non ho mai avuto bisogno di pensare a un livello più alto, quello del fluire del testo – la struttura, se volete chiamarla così. La massima dimensione a cui sono arrivato sono le 22mila battute del librino su David Foster Wallace e la matematica e le 45mila battute di Matematica e infinito che però oggi riscriverei da capo; prima di parlare di libro ce ne vuole. Di per sé ho un paio di progetti per un libro vero e proprio, ma nessuno me li ha mai accettati e quindi se ne stanno lì fermi.

Qualcosa posso però dire sulla differenza di approccio che ho. Mentre come scrivevo sopra i post sono pensati prima e durante, ma poi partono d’improvviso, i miei libri hanno una genesi del tutto diversa. Li scrivo, in un ordine più o meno casuale; li lascio decantare; li riscrivo quasi da capo, perché non mi piace per nulla quello che ho scritto. (Detto tra noi, quello è stato il vero motivo per cui a scuola avevo smesso di scrivere la brutta: tanto poi riscrivevo da capo in modo diverso, e la cosa mi scocciava alquanto). Poi ci sono i lettori alfa che mi danno un feedback, e un’altra serie di giri di riletture e riscritture, si spera sempre di meno, fino a che il risultato non mi pare soddisfacente. La mia visione di un libro è insomma ancora diversa da quella di un post o di un messaggio. Il libro, come il post e a differenza del messaggio, è pensato per durare; ma il post nasce per la discussione immediata, mentre nel libro il polishing, la rifinitura insomma, diventa fondamentale.

Tutto questo vale ovviamente per me, che non scrivo per mestiere. Per altri le cose potrebbero essere diversissime. Voi per esempio cosa ne pensate?

Edoardo Vesentini

Qualche mese dopo Radicati, è morto un altro dei miei professori alla Normale: Edoardo Vesentini. Era direttore della Scuola negli anni in cui l’ho frequentata, ma dovete tenere conto che uno dei punti di forza della Normale era la relativa vicinanza tra allievi e docenti, quindi era facile avere a che fare con lui; ecco qualche aneddoto.

Un giorno io e Fabio siamo arrivati trafelati alla mensa della Scuola un minuto o due prima della chiusura, per colpa delle solite lezioni di Analisi 3 che il professor Arosio terminava mezz’ora dopo l’orario teorico. Davanti a noi c’era Vesentini. Naturalmente a quell’ora non era rimasto praticamente nulla se non i cibi che si potevano dare al volo, tanto che avevamo coniato il jingle “La morale è ancora quella: dopo Arosio, mozzarella!”. La cuoca vede Vesentini e gli fa: “Professoooore! La vuole la bistecca?” e lui, pronto: “Premiata calzoleria Scuola Normale?” (In effetti la mensa era più nota per la quantità di calorie che potevamo ingurgitare che per la raffinatezza dei cibi).
Abbiamo anche seguito un corso interno di geometria tenuto da lui, nel quale abbiamo a un certo punto ottenuto che non usasse contemporaneamente le lettere greche ζ (zeta) e ξ (csi), visto che le scriveva allo stesso modo. Un giorno l’aula che usavamo era occupata non ricordo perché, e quindi propose di andare tutti nel suo studio. Eravamo una quindicina, ma eravamo anche ventenni e quindi ci siamo infilati in tutti gli anfratti possibili: ricordo qualcuno seduto sulla scaletta che era usata per prendere i libri in alto in libreria. Marcello – noto per una certa qual goffaggine – vede un angolino libero e si fionda lì: nel farlo inciampa sul filo di una lampada e la fa cadere. Si ferma, prende i pezzi della lampada, e li dà a Vesentini. Bisogna dire che li ha presi con grande aplomb :-)

Perché scrivo?

L’altro giorno, in un commento a un post in cui mi lamentavo perché sto solo scrivendo del coronavirus, Lele mi ha fatto queste domande.

È obbligatorio parlare di qualcosa?
Parlaci dei motivi per cui tutti i giorni devi scrivere qualcosa, vabbé che nulla dies sine linea, ma secondo te tutto ciò che scrivi (qui) ha un senso, un valore per essere condiviso con chiunque acceda alla rete?
Perché lo fai?
Perché (qui) scrivi ogni giorno? Perché scrivi ad ogni costo?

Come gli ho scritto, sono “domande intelligenti”, nel senso che non c’è una risposta facile e ho dovuto pensarci un po’ su per trovare una risposta che abbia senso e non sia buttata lì tanto per dire qualcosa. Provo quindi a esprimere il mio pensiero.

No, non è obbligatorio parlare di qualcosa. Però credo che la domanda corretta sia un’altra: non è obbligatorio dovere parlare su qualunque cosa. Come dicevo l’altro giorno, io ho tanti interessi diversi ma non è che sia davvero un tuttologo, né ci tengo ad esserlo. Il punto è che però a me piace scrivere. Meglio: mi piace mettere nero su bianco i miei pensieri. Sì, mi piace anche raccontare le cose dal vivo: ma scriverle mi aiuta a focalizzarmi e quindi comprendere meglio cosa penso. Tante volte comincio a scrivere qualcosa e dopo una decina di righe mi accorgo che quello che penso è cambiato: lo sforzo di riordinare i pensieri mi ha fatto vedere le cose in un altro modo, e mi sono accorto che l’idea originale faceva acqua da tutte le parti.

Questo blog è ormai maggiorenne: non ci ho sempre scritto ogni giorno, ma quasi. Uno dei motivi per cui lo faccio è perché penso che comunque tra tutto quello che posto ci sia anche qualcosa di utile per qualcuno che passa di qui per caso. In effetti, prima del blog c’era già il sito, il che significa che in realtà è un quarto di secolo abbondante che vi ammorbo. Non credo di essere chissà quale maître-à-penser, ma ho la presunzione di scrivere di solito vedendo le cose da un punto di vista diverso da quanto faccia la maggior parte della gente, per tutta una serie di ragioni che vanno dal mio essere matematico (non praticante, ma la forma mentis mi è rimasta) agli insegnanti che ho avuto. Però, come dicevo, lo faccio soprattutto per me. Non credo affatto che quello che scrivo sia un valore per chiunque acceda alla rete: ma se ci avete fatto caso, io non mi faccio molta pubblicità. In pratica, i miei famosi ventun lettori sono persone che in genere sono capitate per caso e hanno deciso che quello che scrivevo poteva interessare loro. Scrivere regolarmente è una scelta per non perdere l’allenamento: tanto qualcosa di interessante dal mio punto di vista lo trovo sempre, e al più il vero problema è quando ci sono troppe cose tutte assieme :-)

Ultimo aggiornamento: 2020-03-30 15:09

Il coronavirus ci assorbe

C’è una cosa che forse non appare così immediata riguardo a quanto sta capitando queste settimane. Se scorrete gli ultimi miei post, vedrete che – a parte le recensioni di libri del sabato e i quizzini della domenica – sono praticamente tutti su temi legati al coronavirus. Lo stesso per le mie vignette che non fanno ridere: le eccezioni sono il ricordo di due morti per altre cause…

Il fatto è che io scrivo delle cose che leggo oppure che vedo in giro. In giro non ci posso andare, e i media parlano solo della pandemia: che altro posso fare? Beh, non avete idea di quanto questa cosa mi scocci. A me piace scrivere delle cose più disparate; questo appiattirmi su un tema mi intristisce ancora più della forzata impossibilità di uscire.

A questo punto lancio la palla ai miei ventun lettori, o almeno tra quelli di loro che mi conoscono abbastanza. Di che cosa vi piacerebbe che io vi parlassi? Magari mi viene voglia di scrviere qualcosa di diverso :-)