Oggi su Tuttolibri c’è questo trafiletto di Giovanna Zucconi. Già dal titolo, “Salviamo i precari da Wikipedia”, si capisce dove la giornalista vuole andare a parare.
Tolto il primo paragrafo che non c’entra nulla con il resto dell’articolo, la Zucconi comincia infatti a lanciare strali contro il sito francese «pomposamente chiamato Encyclopédie Française.com» (occhei, a dire il vero il sito si chiama encyclopediefrancaise.com; ma la signora Zucconi a differenza di me il francese lo sa, e delle convenzioni di internet forse ne sa meno); cita un testo che per me è comprensibile ma immagino sia pieno di erroracci, e chiosa «Trattasi di una traduzione automatica, si scopre, da Wikipedia».
La cosa, per quel poco che sono riuscito a capire, è vera; encyclopediefrancaise.com mette sul suo sito le traduzioni automatiche dalla wikipedia in lingua inglese. È indubbiamente vero che «chi mette online questa roba ci guadagna: zero lavoro, qualche incasso pubblicitario», ma non vedo perché questo sia colpa di Wikipedia, che non ricava certo soldi da tutto questo. (Per la cronaca, se sulla wikipedia in lingua italiana qualcuno trova una voce chiaramente tradotta automaticamente la voce viene cancellata immediatamente, per quanto importante possa essere l’argomento: giusto per dare un’idea della nostra attenzione alla qualità)
Chi vede il nesso è ovviamente la signora Zucconi, che termina parlando di un libro di Anne e Marine Rambach sul precariato intellettuale e cita una traduzione automatica di una recensione, questa volta in italiano, che a detta sua dovrebbe essere «allegramente sul web». L’ho cercata ma non l’ho trovata: mi sa che chiunque l’avesse inserita si sia così spaventato dall’essere citato sul terzo quotidiano d’Italia che ha subito cancellato ogni prova del misfatto. La tesi del libro, fatta direi propria dalla Zucconi, è che chi la cultura la fa è rovinato dalla Grande Rete: «tariffe già miserabili e in calo, sotto la spinta della “cultura del gratuito” promossa da Internet». Collegandolo al titolo, è ora chiaro che Wikipedia è il Male: lasciando a disposizione materiale aggratis, magari tradotto automaticamente perché è più facile, l’enciclopedia toglie il lavoro a chi lo fa per mestiere. Che ci sia una precarizzazione della cultura è un (triste) fatto: da qui a dare la colpa a Wikipedia, senza voler nemmeno pensare che forse parecchio di quello che c’era prima era più culturame che cultura, e che se gli editori e i compratori si accontentano delle traduzioni automatiche magari significa che non sono comunque interessati al materiale in questione, mi pare un po’ limitativo.
Concludo con le parole terminali dell’articolo: «La discussione continua sul web, in mirabili traduzioni appunto gratuite.» Non posso garantire che nessuno applichi un traduttore automatico a questa mia notiziola – a volte è infatti capitato – ma la signora Zucconi ha ben donde a preoccuparsi: tutto questo l’ho scritto assolutamente gratuitamente.
Aggiornamento: (23:00) seguendo i commentatori, lascio il beneficio del dubbio e ammetto che il titolo possa essere stato scritto da qualcun altro, e quindi la signora Zucconi ce l’abbia solo in genere contro le traduzioni automatiche e la “cultura del gratuito”. Il resto di quanto ho scritto rimane, naturalmente.
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Previsioni e postvisioni
Supponete che qualche giorno prima della partita di andata dei quarti di finale della Champions League vi arrivi una email che dice “ho sviluppato un algoritmo che prevede correttamente i risultati sportivi. Per dimostrarGlielo, ecco quali sono le quattro squadre che passeranno alle semifinali:” e un elenco di quattro squadre. La mail termina con “per favore, non divulgate la notizia, per ovvie ragioni”. Voi non ci fate molto caso: quando però le partite si sono concluse, vi arriva una seconda email, che dice “Le quattro squadre che hanno passato il turno sono state proprio quelle da me previste. Perché Lei si possa sincerare della potenza dei miei algoritmi, Le dico quali saranno le finaliste”; e stavolta ci sono due nomi. Fate mente locale, vi ricordate che effettivamente l’interlocutore aveva ragione – e dire che non avreste scommesso un euro su una delle squadre – e aspettate incuriositi. Anche stavolta le predizioni si sono rivelate corrette: arriva una terza mail che dice “Se Lei vuole sapere il nome della squadra che vincerà la Champions League, invii cento euro a questo numero di conto corrente. Mi raccomando, però: non diffonda la notizia, altrimenti le quote crollerebbero.” Che fareste? Mandereste all’anonimo i soldi, pronti a scommetterne ben di più? Se avete risposto sì, forse è meglio che continuiate a leggere; altrimenti la lettura non sarà così importante ma spero sia comunque piacevole.
Il nostro anonimo interlocutore aveva infatti iniziato a spedire 128.000 email – tanto non gli costava nulla – divise in sedici gruppi, ciascuno dei quali aveva una quaterna diversa di semifinaliste previste. Una volta visti i risultati, il secondo gruppo di spedizioni è stato fatto solo agli 8000 destinatari che avevano ricevuto la predizione corretta (suppongo che le probabilità che passi il turno una squadra oppure l’altra siano le stesse, ma il ragionamento vale lo stesso); il terzo messaggio con la richiesta di denaro, infine, solo ai 2000 per cui anche i risultati delle semifinali erano stati previsti correttamente. La maggior parte delle persone ha ricevuto solo la prima mail con le previsioni errate, ma voi eravate tra i duemila “fortunati”, e con buona probabilità sgancerete al nostro ignoto amico cento euro per un’ulteriore predizione assolutamente casuale. Se anche solo la metà dei polli ci casca, sono 100000 euro in saccoccia senza troppa fatica: niente male, vero?
Purtroppo l’evoluzione non ha insegnato a noi umani come trattare le probabilità, soprattutto le probabilità a posteriori. Quello dell’esempio è un caso limite: prima dell’invio della prima email avete una possibilità su 64 di ricevere tutti e sei i risultati corretti, e quando vi arriva la lettera con la richiesta di un piccolo contributo tendete a pensare ancora a quella probabilità, mentre quella a posteriori è ovviamente la certezza nel vostro caso (e l’impossibilità negli altri 63 casi… la probabilità è come l’energia, nulla si crea e nulla si distrugge). Ma ci sono anche altri casi in cui le probabilità a posteriori sono sovrastimate e non sottostimate. Il caso classico che viene fatto è quello del test per l’Aids. Supponiamo che il test rapido abbia una probabilità su 100 di dare un falso positivo (una persona sana che risulti aver contratto l’infezione), e che il vostro stile di vita assai morigerato sia tale che a priori avete una possibilità su 1000 di essere infetti. Andate a fare il test, e vi richiamano dicendo che il test rapido è risultato positivo e quindi occorre sottoporvi a un test più accurato. Quant’è la probabilità a posteriori (cioè dopo la positività al test rapido) che voi siate effettivamente infetti? il 99%? No, è molto meno. Su un milione di persone con il vostro stile di vita, infatti, solo 1000 sono statisticamente infette. Il test darà risultato positivo su questi 1000 e sull’1% degli altri 999000, cioè su 9990 persone (che arrotondo a 10000 per fare meglio i conti). Quindi ci sono 1000 infetti su quasi 11000 positivi all’esame, pari a meno del 9%. In altre parole: c’è da preoccuparsi (siamo passati da una probabilitàa priori dello 0,1% a quasi il 9%) ma non avete ancora un piede e mezzo nella fossa!
Tutti questi conti sono ben noti da secoli ai matematici, e la formula che calcola le probabilità a posteriori a partire da quelle a priori e dai risultati si chiama Teorema di Bayes. Il fatto che sia ben nota non cambia però le carte in tavola: continua a risultare poco intuitiva, e quindi anche persone con una buona conoscenza scientifica ci possono cascare.
C’è anche un altro fenomeno relativo alle probabilità che fa prendere lucciole per lanterne, anche se più che matematico è probabilmente di natura psicologica, ed è l’aggiustamento probabilistico a posteriori. Inizio con un esempio che di matematico non ha nulla: le centurie di Nostradamus. Adesso non sono molto di moda, ma negli anni ’70 del secolo scorso c’erano vari studiosi che invariabilmente mostravano come Nostradamus avesse previsto i vari fatti accaduti: una volta verificatisi tali fatti, i riferimenti nel testo del veggente erano infatti inequivocabilmente chiari. Purtroppo le previsioni per il futuro non sono mai state così chiare, un po’ come quelle degli astrologi: o magari è tutto un complotto delle società di assicurazione che non vogliono finire in rovina, e quindi stanno attente a eliminare tutti i possibili metodi per conoscere davveo il futuro.
Spostandoci ìn un ambito piu matematico ancorché qualitativo, prendo un esempio purtroppo tragico: il terremoto abruzzese di questi giorni, e la coda di polemiche perché le previsioni di Gioacchino Giampiero Giuliani non sono state tenute in considerazione. Guardiamo le cose da un punto di vista strettamente matematico. La probabilità a priori che ci sia un terremoto di intensità distruttiva in un giorno specifico in una zona specifica (diciamo con l’epicentro in un raggio di quindici km da un punto indicato) è molto bassa, per fortuna: e lo è anche se ci si trova in una zona sismica, e comincia a diventare significativo – ma non ancora elevato, sempre per fortuna – in presenza di alcuni segnali. Immaginiamo che Giuliani avesse effettivamente previsto il terremoto del 6 aprile all’Aquila, ma non avesse detto nulla perché in fin dei conti era già sotto inchiesta per procurato allarme. Resta il fatto che il 28 marzo aveva affermato che il terremoto sarebbe stato il giorno successivo (sette giorni prima della data effettiva) a Sulmona (cinquanta chilometri in linea d’aria dall’Aquila). Chi dice “ci aveva azzeccato” è come chi pensa di aver vinto alla lotteria perché la differenza tra il numero del suo biglietto e quello vincente è solo 14: non esattamente un gran risultato. Eppure, proprio perché l’evento è così raro e distruttivo, si pensa inconsciamente che un’approssimazione di questo tipo sia accettabile. Visto che non possiamo riprodurre a piacere i terremoti, non abbiamo un modo di valutare aprioristicamente la probabilità che da una serie di segnali si giunga a un sisma. D’altra parte, mentre in linea di principio ha senso avere qualche allarme a vuoto, non possiamo nemmeno averne troppi; non tanto per l’effetto “al lupo al lupo”, quanto per gli ovvi problemi organizzativi.
La morale di tutto questo è semplice: fate sempre attenzione quando valutate delle probabilità, e non fidatevi degli argomenti spannometrici!
Qui si canta Händel!
Dopo la Nona Sinfonia di Beethoven, faccio il bis e canto ancora una volta nel Forum Corale Europeo promosso dall’Associazione Cantosospeso. Domenica 19 aprile (quella dopo Pasqua), alla Palazzina Liberty di Largo Marinai d’Italia, eseguiremo infatti la seconda parte del Messiah di Händel, la cosiddetta “piccola Passione” che termina con l’Hallelujah che immagino conosciate tutti. Il coro è di un centinaio di persone, e naturalmente c’è l’orchestra che ci accompagnerà e che stavolta cercheremo di non sovrastare.
I concerti sono due, entrambi alla Palazzina Liberty, e si terranno alle 17 e alle 20:30. Non è detto che io riesca ad partecipare al primo – rientro da un matrimonio in Toscana, e la logistica familiare non è il mio forte – però al secondo ci sono di certo. Il costo del biglietto è di 15 euro, che serviranno per rientrare delle spese: sponsor oggidì ce ne sono pochi, purtroppo, e sala e orchestra costano. Per quello che ho potuto vedere a dicembre, posso comunque assicurare che il risultato è davvero valido, e vale la pena ascoltarci!
Ci sono archeologi informatici torinesi o milanesi?
Devo buttare via molta roba dalla mia vecchia casa torinese. Tra le varie cose ho CDROM delle prime distribuzioni Linux (il nome SLS non vi dice nulla?) e di software assolutamente d’antan (Prime Time Freeware vi dice nulla?)
Invece che buttarle via e basta, le posso regalare a qualcuno, persona o ente, che faccia collezione di questa roba. Se qualcuno è interessato si faccia vivo!
Piazza XVIII dicembre
La stazione attuale di Torino Porta Susa si trova in piazza XVIII dicembre. Per la cronaca, il mio amico Claudio mi diceva che la stazione sotterranea che stanno facendo era erroneamente indicata essere in piazza XV dicembre, al che io ho commentato “in effetti è un po’ più indietro rispetto alla vecchia, quindi è giusto che venga anticipata anche la data”.
Ieri sera ho notato che finalmente almeno una delle targhe toponomastiche riporta il motivo per cui la piazza è denominata così: ricorda l’incendio della Camera del Lavoro torinese, avvenuto nel 1922 a opera dei fascisti. È vero che erano in pochi i torinesi a sapere anche solo il nome della piazza, che per tutti era Porta Susa: ma adesso che ci passa la metro facendo appunto la fermata XVIII dicembre magari qualcuno si era chiesto cosa si commemorasse. Ricordo che mi ero posto la domanda ai tempi del liceo: ai tempi Internet non c’era se non come serio sistema di comunicazione per scienziati e militari, e la coppia Page-Brin forse iniziava le elementari, altro che Google. Me ne andai così alla biblioteca civica di Torino a compulsare qualche enciclopedia, e scoprii… no, non scoprii nulla. Il 18 dicembre 1936 vennero comminate le Inique Sanzioni all’Italia per la guerra di Etiopia, ma ovviamente mi pareva strano che una data simile fosse rimasta nella toponomastica piemontese. Alla fine credo che dovetti chiedere lumi al mio professore di italiano, un pozzo di cultura che naturalmente lo sapeva.
La morale di questo raccontino è duplice: innanzitutto è incredibile come l’operazione di trovare un’informazione sia cambiata in maniera così straordinaria in trent’anni: secondo me non ce ne rendiamo davvero conto, e siamo convinti che la ricerca in rete sia solo un’estensione di quello che si faceva un tempo. D’altra parte, però, anche gli enti pubblici iniziano a capire che l’informazione non è un di più che fa fine giusto nelle occasioni di gala; e questa non è affatto una brutta notizia.
Velocità altina
Avendo preso il TGV per andare a Torino per una toccata e fuga – dovevo vedere delle cose con la mia mamma – ho toccato con mano che i treni francesi ad alta velocità seguono comunque la linea storica e non il pezzettino già pronto da Settimo Torinese a Novara; da quanto avevo capito il problema è legato agli standard di corrente elettrica, che per i francesi sono appunto standàrd alla francese. Ma resta il fatto che il treno, pur non andando certo a chissà quale velocità, ci ha messo un’ora e diciotto minuti da Milano Centrale a Torino Porta Susa. A questo punto mi chiedo a che sia servito – oltre alle eventuali tangenti – tutto il lavoro che farà guadagnare un quarto d’ora.
Non gli dette più retta?
Segnalo, via Fausto Raso, che la Dante Alighieri ha preparato una nuova serie di esercizi sulla lingua italiana. Lui è molto più pignolo di me, e si lamenta perché scrivere “morí” invece che “morì” sia considerato errato; è vero che le edizioni Einaudi usano indicare che la i è una vocale acuta, ma il segnaccento generalmente utilizzato è quello grave. Inoltre la Dante Alighieri si occupa dell’italiano come lingua straniera: probabilmente è meglio fare in modo che gli ispanofoni tengano a mente che mentre nella loro lingua tutti i segnaccenti sono acuti (áéíóú) da noi non è così. (Poi possiamo chiederci che tastiera usa Fausto Raso, visto che in quella italiana la i accentata è “ì” e non “í”; sono io che ho la tastiera virtuale US-International e quindi nessuna lettera accentata)
Più grave, invece, vedere come la forma “dette” per il passato remoto del verbo dare non è considerata valida. Il De Mauro riporta “diede o dette”. Il Garzanti riporta “diede o dette”. Insomma, non toglieteci le poche certezze della scuola elementare!
Matematici inaspettati
La primatista italiana indoor di salto con l’asta ha un cognome piuttosto pesante da portare: Anna Giordano Bruno. Ma la cosa più inaspettata è forse che la giovane sportiva è una specializzanda in matematica: per la cronaca, si occupa di entropia algebrica presso l’università di Padova.
Mi sembra bello sapere che si può essere matematici e allo stesso tempo non essere completamente fuori dal mondo, e soprattutto mi sembra molto bello vedere che si possa fare sport a ottimo livello senza dovercisi dedicare totalmente.