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matematto non praticante

Feccia

Non mi ero messo a commentare gli scontri di Bologna, anche se mi ero fatto un’idea. Poi ho visto questo post del “Collettivo Autonomo Universitario Bologna” e non ce l’ho più fatta a restare zitto.

Come ha chiosato il mio amico Massimo Manca, “Metodo Calabresi”. Anzi peggio di quello, perché il Collettivo Autonomo Universitario Bologna si guarda bene da usare nomi e cognomi. Bella fotona segnaletica perché non ci si sbagli e caterve di insulti perché la signorina «fa parte della segreteria regionale del Partito Democratico, nel ruolo di, guarda un po!, responsabile alla legalità!» e quindi non ha alcun diritto a parlare, mentre loro, che evidentemente sono lì a fare l’università a Bologna da decenni, hanno ormai usucapionato il diritto di bivacco.

I tornelli in una biblioteca sono una brutta cosa, la Celere dentro è una cosa ancora più brutta: ma in certi casi bisogna scegliere il male minore.

L’autocomplete è diventato illegale

Scopro da Raimondo Bruschi che l’ineffabile Garante della Privacy ha ingiunto a Google «di rimuovere, nell’ambito della funzione di completamento automatico gestita dalla medesima (cosiddetto autocomplete), l’associazione tra il nome dell’interessato ed il termine “minacce”.» L’interessato è un manager dell’azienda Apcoa (che gestisce parcheggi in Liguria); era stata aperta un’inchiesta poi archiviata perché un avvocato ipotizzava che il modo di pagamento potesse essere considerato usura, e di “minacce di matrice anarchica”. La cosa – si fa per dire – divertente è che il garante ha respinto la richiesta di rimozione (anche se il quotidiano, immagino il Secolo XIX, l’aveva fatto per conto suo: la vicenda presumo comunque sia questa), ma appunto ha vietato l’autocompletamento.

Ora, in un mondo ideale io mi aspetterei che l’autocomplete ci fosse ma portasse alla notizia dell’archiviazione dell’inchiesta, che è la cosa più importante. Invece a quanto pare più che di diritto all’oblio stiamo arrivando al dovere di tacere: un modo per azzittire automaticamente il gossip. Non so voi, ma a me la cosa pare davvero preoccupante.

(ah, se qualcuno avesse bisogno di un reverse benchmark, ho trovato questo link…)

Del dove rifulge l’abilità di Mentana

Enrico Mentana è ben noto per le risposte sferzanti che dà ai suoi commentatori su Facebook, tanto che esiste una fan page “Enrico Mentana blasta lagggente” (o forse ce n’è più di una, non sono andato a verificare). La sua abilità è davvero notevole, e lo si è visto anche in occasione di Sanremo e Tim.

Premessa: considerando che scioperi, cortei, presidii e manifestazioni varie di noi dipendenti Tim “stranamente” non ricevono alcuna copertura mediatica, alcune centinaia di lavoratori sono andati a Sanremo in occasione del festival sponsorizzato Tim e sono riusciti a leggere in sala stampa un comunicato sulla nostra situazione, ottenendo finalmente qualche trafiletto sui giornali cartacei. (Ho notato come le versioni online hanno preferito pubblicare il video della protesta: ho il sospetto che la cosa c’entri molto con il “qui e ora” e il desiderio di dimenticare la faccenda il prima possibile, ma magari sono solo io che sono prevenuto contro i video). Bene, allo status che Mentana ha scritto su Sanremo, una mia collega ha commentato così: «Sarebbe interessante anche parlare del rovescio della medaglia, ovvero di quello che sta accadendo ai lavoratori TIM, che ieri hanno manifestato davanti all’Ariston e in sala stampa, spiegando come questo festival sia stato pagato con i loro soldi». Ecco la risposta di Mentana:

Per parlarne seriamente: capisco perfettamente le ragioni di chi è impegnato in una vertenza difficile dopo molti anni di orari di solidarietà in un’azienda che poi destina tutti quei soldi al festival. Ma se ci leggesse immagino che Telecom risponderebbe che entrambe le cose vanno nella stessa direzione della competitività. Quel che mi parrebbe giusto è uno spazio dedicato alla vostra causa sugli schermi pubblici, vista l’enorme esposizione data alla “controparte”. Chiederlo al mio tg sarebbe una beffa, visto che a Sanremo (come alle altre manifestazioni “nazionalpopolari” di questo tipo, compresa miss Italia che è trasmessa da La7) non abbiamo dedicato alcuno spazio

Analizziamo rapidamente il testo. Mentana piazza subito la botta, facendo notare una banalità: i soldi per sponsorizzare un evento come il Festival non sono quelli tolti ai dipendenti, ma sono investimenti per presentare le novità dell’azienda e cercare di incrementare i ricavi. (Notate la differenza per esempio con i bonus promessi a questa dirigenza sulla base di puri risultati numerici e senza valutare come questi numeri sono stati ottenuti). A questo punto si tira tranquillamente fuori, perché è vero che dice che la vertenza Tim dovrebbe ricevere spazio sugli schermi (“pubblici”…), ma non da lui perché lui non parla di Sanremo. Visto? La protesta è indipendente dalla sponsorizzazione di Sanremo, ma visto che lui non parla di Sanremo allora non può parlare nemmeno della protesta. Logica alternativa. Il tutto confezionato in modo che lui sembri assolutamente imparziale, e intanto gli odiatori di Tim possano lanciarsi a controcommentare (nota: su mere basi statistiche mi aspetto che coloro che abbiano avuto problemi con Tim, soprattutto sulla parte fissa, siano molto più degli altri). Come non ammirare una capacità dialettica simile?

P.S.: prima di ricevere una serie di insulti, aggiungo che lo slogan “Sanremo? Lo si fa coi nostri soldi” andava benissimo nel contesto di uno striscione in una manifestazione, e naturalmente la manifestazione in sé è stata un’idea favolosa, l’unico modo che avevamo a disposizione per tentare di farci notare. Quello che faccio notare è che usarlo poi a freddo porta a risultati che sono l’opposto di quanto abbiamo bisogno. Esprit de l’escalier? Probabilmente sì: ammetto di non essere uno dalla risposta pronta. Ma è proprio per questo che io starei molto a scrivere sulla bacheca di uno bravo come Mentana.

_Ultime conversazioni_ (libro)

Peter Seewald è stato l’interlocutore preferito da Joseph Ratzinger, e quindi non è poi così strano che abbia potuto intervistare il papa emerito anche in questi ultimi anni, dopo che ha lasciato il ministero petrino. Questo libro (Benedetto XVI, Ultime conversazioni [Letzte Gespräche], Garzanti 2016, pag. 235, € 12,90, ISBN 9788811688242, trad. Chicca Galli) parte con il racconto della sua rinuncia al papato, per proseguire nella buona traduzione di Chicca Galli come una sorta di biografia. Ci sono parti più noiose almeno per me, come quelle dell’infanzia, parti che probabilmente avrebbero richiesto un respiro un po’ più ampio, come quelle sugli anni in cui è stato arcivescovo; ma in generale sono un interessante spaccato di una persona che i media hanno raffigurato in un certo modo negativo, ma ha una sua profondità ben lontana dai titoloni. Leggendo il testo, si comprende anche come mai il “teologo progressista” del Vaticano II è diventato il “cane da guardia retrivo” da capo del Sant’Uffizio e papa; in realtà la sua linea è sempre stata fondamentalmente la stessa, ed è l’apparenza che inganna. Una curiosità: le edizioni nelle altre lingue hanno in copertina il papa visto di fronte, mentre in quella italiana è raffigurato di schiena, ammesso che sia lui. Chissà come mai…

Big. Certo.

La seconda notizia sull’homepage di Repubblica stamattina, dopo la telefonata di Trump al presidente cinese, è su Sanremo. Ci sta.
Poi leggo nel polpettone di titoli “Big, eliminate le coppie Nesli-Paba e Raige-Luzi”. Ora io non ho alcuna idea di chi siano questi quattro signori (o signore). D’accordo, non sono proprio un esperto di musica – leggi: non so assolutamente nulla di quello che è accaduto nel XXI secolo – ma forse la colpa non è proprio tutta tutta mia, e il concetto di “Big” è piuttosto elastico. O no? Raccontate, raccontate.

Visite fiscali

A quanto pare, il presidente dell’Inps Tito Boeri ha chiesto che le fasce di reperibilità in casa per le visite fiscali siano equiparate tra pubblico e privato: al momento quest’ultimo settore ha solo quattro ore giornaliere di fascia, che dovrebbero salire (almeno…) a sette. In questo modo «si potrebbero ridurre le spese e gestire al meglio i medici e svolgere i controlli in modo efficiente»: si sa che il mantra “riduciamo le spese” è sempre apprezzato dai nostri governanti e boiardi di stato.

A me non è mai capitato di essere sottoposto a visita fiscale, anche perché tipicamente mi ammalo molto poco (e quando mi ammalo sto così male che non mi viene in mente di uscire di casa). Però in questa sortita di Boeri vedo un problema di base. A che serve la visita fiscale? A verificare se il malato è effettivamente malato, oppure il medico di base compiacente l’ha fatto stare a casa anche se non era affatto necessario. Perfetto. Quale sarebbe allora il problema se la visita venisse preannunciata il giorno prima, indicando la fascia (mattina o pomeriggio) in cui il medico passa? Le fasce complessive possono essere ampliate senza problemi, ma dal punto di vista del malato il tempo di arresti domiciliari è ridotto. Nel caso, si può lasciare la fascia lunga nel primo giorno di malattia, quello in cui tanto si sta sicuramente male se si è malati davvero, e permettere un controllo immediato se si pensa che qualcuno faccia il furbetto. Troppo semplice?