Se non ho capito male leggendo la mia bolla Twitter, c’è un po’ di gente che afferma che il ministro russo degli esteri Lavrov, spiegando che Zelens’kyj può essere nazista anche se ebreo “perché anche Hitler aveva sangue ebreo”, ha semplicemente ripetuto quello che si sa da almeno una decina d’anni, si veda per esempio qui (con disclaimer messo in fretta e furia).
Ok, prima del mio pippone principale ne faccio uno secondario sul disclaimer, che afferma che «il pezzo non tiene conto delle ricerche condotte nel successivo decennio». Il tutto ovviamente senza uno straccio di link a queste ricerche, perché quello che conta è semplicemente far pensare allo stupido lettore che l’affermazione dell’ebraicità – almeno in parte – di Hitler sia “evidentemente” falsa.
A me invece non importa più di tanto quale sia la razza di Hitler. Mi limito a fare una considerazione diversa. Che io sappia, non c’è nessuna prova che Hitler sapesse di avere del sangue ebreo nelle sue vene. Se lo sapeva, l’ha nascosto così bene da non lasciare alcuna traccia. Una piccola differenza con Zelens’kyj, che pur non essendo praticante – almeno a quanto ne so io – conosce bene la propria ascendenza. D’altra parte, come poi dice anche il titolo di questo post, non è che a Lavrov o a chi lo cita interessi più di tanto chi siano gli antenati di Hitler; quello che conta è usare la parola “nazista” un po’ come tanti usano la parola “comunista”, senza entrare nel dettaglio: per esempio spiegando quali sono le cose naziste che sta facendo Zelens’kyj. (No, non ditemi “il battaglione Azov”, perché dall’altra parte c’è il gruppo Wagner…) Però in effetti torniamo al pippone secondario: quello che contano non sono tanto le spiegazioni quanto le risposte, costruite ad hoc.
Su Valigia Blu, Bruno Saetta 
Anche Stefano Bartezzaghi sceglie di entrare nell’agone delle distinzioni più o meno artificiali nella lingua italiana: e lo fa a modo suo in questo libretto. L’introduzione riprende il suo vecchio testo “Mater ignota” pubblicato sulla rubrica Lessico e Nuvole il 3 maggio 2006, e che mostrava un tormentone con un insieme di parole che applicate ai maschi avevano in certo senso e messe al femminile si traducevano sempre – absit iniuria verbis – in “una mignotta”. Da lì prende il via una disamina del terzo articolo della Costituzione, che comincia affermando «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, […]» Cominciando con la parte apparentemente più semplice, Bartezzaghi fa notare che anche se si espungesse dal testo la parola “razza” non è che il razzismo sparirebbe. (Lui lo dice meglio di me e lo spiega anche dal punto di vista semiotico.) Ma più in generale, spiega, la lingua è fatta da distinzioni, che possono essere neutre oppure diventare oppositive, e caricarsi di valori morali: si parla di assiologia. Insomma, se non ho capito male, limitarsi a cambiare le parole senza considerare tutto quello che c’è dietro di esse non porterà mai a grandi risultati…