Una sentenza citata sulla Stampa sancisce che «Tutti i documenti che nel corso del tempo [dal 1840, per la precisione – nd.mau.] siano stati indirizzati a un ente pubblico sono bene demaniale storico e appartengono allo Stato, perciò il loro posto è negli archivi pubblici; se sono stati “scartati” per le ordinarie procedure di spoglio, vanno distrutti. Ergo, se sono nelle mani di un privato non può che essere per via di un atto illecito.». Ora, il principio forse potrebbe avere un certo qual senso, anche se ho forti dubbi al riguardo. Sembrerebbe quasi che il fatto stesso di indirizzare una missiva allo Stato la renda così speciale da non poter più tornare allo stato ordinario, tanto che deve essere gelosamente conservata o distrutta: non sia mai che possa essere toccata da mani comuni, o peggio ancora letta da qualcuno che non sia stato benedetto dalle Autorità Competenti.
Il punto però che nella sentenza in questione non si parla dei documenti ma dei francobolli posti sulle buste spedite alle regie (e dopo un secolo abbondante repubblicane) istituzioni. Ecco: questo non riesco proprio a capirlo. La mia parte informatica e telecomunicazionistica vede una differenza nettissima tra il messaggio (il payload, se vogliamo usare la parola inglese tecnica) e la busta che lo contiener (le header). La busta è un accidente: in linea di principio io sarei potuto andare di persona a consegnare la mia richiesta che sarebbe stata regolarmente protocollata, e il risultato finale sarebbe stato identico pur senza una busta che contenesse la richiesta. Né d’altra parte la busta viene protocollata come il testo. La logica della sentenza è insomma che lo Stato avrebbe dovuto vendere le buste con i francobolli, perché oramai erano Cosa Sua; e il corollario è che il gravissimo illecito di portarsi a casa i francobolli è imprescrittibile, considerato che quei francobolli non credo siano contemporanei.
A questo punto non voglio sapere come negli uffici pubblici sono gestiti i bagni per gli utenti.