Archivi annuali: 2009

Funivia Rho-Pero/Linate

Su 02blog si parla di un progetto per costruire una funivia che faccia il percorso Rho-Fiera/Linate, passando per lo stadio, l’Arena e il Politecnico. Il tutto, come si può vedere nell’apposito sito, con dieci torri da 130 metri corrispondenti alle fermate e dieci tralicci aggiuntivi da soli 95 metri; il tutto con spiazzi eliportuali sopra le torri, giardini pensili, centri commerciali eccetera eccetera. Il tutto dovrebbe essere costruito per Expo2015, come «IL SIMBOLO, nell’inconscio collettivo, per la Nuova Milano dell’EXPO e del Futuro» oltre che «ad integrazione della rete servizi metropolitani»
L’articolista di 02blog si chiede se vale la pena un progetto del genere: a me però il tutto sembra tanto una presa per i fondell… pardon, una provocazione che fa il verso al progetto del tunnel Rho-Fiera/Linate, la cui utilità per i cittadini mi sembra in effetti leggermente minore della funivia. Voi che ne pensate?

Ultimo aggiornamento: 2009-11-13 07:00

vaccini sessisti

Stamattina la segretaria della nostra pediatra ha telefonato ad Anna, e le ha detto che – in qualità di genitrice di essere umano di età inferiore a 6 (sei) mesi – aveva diritto alla vaccinazione gratuita contro l’influenza A. Occhei, mi sa che hanno comprato qualche dose di troppo di vaccino e adesso devono trovare un nuovo modo per usarle, ma non è questo il punto.
Perché la mamma di un infante viene vaccinata e il padre no? forse che il padre se ne sta ben lontano dai pargoli, e quindi non corre il rischio di attaccare loro malattie? Ovviamente no, e questo capita da un bel pezzo; ma a quanto pare l’ASL milanese non è ancora convinta della cosa. (Oppure sa bene che non penso proprio di farmi quel vaccino e ha risparmiato fatica)

Ultimo aggiornamento: 2009-11-12 11:18

Le ideone di ATM per la sicurezza

A Milano lo sport preferito dai tram cittadini è indubbiamente deragliare. C’è stato un periodo in cui c’era un incidente al giorno, e non è che adesso la cosa vada tanto meglio. La soluzione precedente, bloccare fisicamente tutti gli scambi tenuti di scorta e mettere gli omini aziendali ad azionare manualmente quelli più importanti, non ha avuto un grande impatto. Così, almeno secondo Repubblica, i simpatici dirigenti dell’azienda trasporti municipale hanno trovato la soluzione: da ieri, i tram che passano per il centro non dovranno superare la velocità di 15 Km/h. Per essere sicuri che il limite sia rispettato, ai tram è stato “sperimentalmente” scollegato uno dei quattro motori…
Di tutto questo non v’è traccia nel sito ATM, e l’articolo mi sembra scritto coi piedi, visto che ad esempio dice che il 33 passa per il centro e che la velocità è ridotta solo del 25% e quindi fino ad oggi un tram non superava i venti all’ora (come minimo può fare i 60, per la cronaca: e comunque si poteva installare un limitatore di velocità). Ma la cosa più divertente è che nonostante queste misure ieri un tram è deragliato.
Posso anche immaginare che se il comune di Milano (azionista unico di ATM) deve loro 150 milioni sarà un po’ difficile fare manutenzione seria; ma ideone come questa non mi sembra portino chissà dove… a meno che naturalmente non si facciano un po’ di conti, si veda come il numero di tram che gira è minore e quindi si risparmi su mezzi e uomini. Aumentare il numero di corse giammai, soprattutto adesso che anche sulla metropolitana non sono più segnati gli orari dei passaggi ma solo la loro frequenza tranne che nelle ore serali e notturne. Intendiamoci: scrivere “la metro rossa alle 8 passa ogni due minuti” (a parte che è probabilmente falso) ha un senso, ma scrivere “la metro rossa la domenica mattina passa ogni sette minuti” non serve a nulla, anzi.

Ultimo aggiornamento: 2009-11-12 07:00

Polo sanitario d’eccellenza

Stamattina abbiamo portato i gemelli alla Mangiagalli per la visita oculistica. Siamo in ritardo di un mese, ma non è che si potesse fare molto di più, visto che hanno dimesso Jacopo il 5 ottobre e il giorno successivo ci hanno detto che la prima data disponibile era appunto oggi. Fossi stato più intelligente avrei prenotato per entrambi quando avevano dimesso Cecilia, ma anche quello sarebbe stato un workaround: logica vorrebbe che mentre erano in terapia intermedia segnassero già direttamente la visita o almeno dicessero subito ai genitori di prenotarla. Ci era stato detto “Cecilia ore 9:30, Jacopo ore 9:40” il che ci ha fatto pensare che fosse una cosa relativamente veloce.
Siamo arrivati alle 9:25, smadonnando perché al padiglione Alfieri si arriva via una scala di una decina di gradini perfetta per chi ha un passeggino doppio. All’interno ci sono tre ascensori: uno con la chiave riservato alla sala operatoria, uno troppo stretto per il passeggino doppio e un terzo che è rimasto non so quanto tempo al quarto piano prima che si decidesse a scendere. Arrivati al primo piano, noi con altri neonati ce ne siamo rimasti nell’atrio davanti agli ascensori, perché la sala d’attesa, pardon “sala giochi”, era zeppa di bambini più grandi. A questo punto ci hanno detto che prima occorreva fare quattro applicazioni di atropina agli occhi dei bimbi, poi aspettare un’oretta e finalmente saremmo stati chiamati. Quando stava per arrivare il nostro turno, l’infermiera ci ha detto “ma voi non avete la lettera di dimissioni? Male. Vada all’altro padiglione dove erano stati ricoverati i bimbi e se ne faccia fare una copia”. Inutile spiegare che nella lettera di dimissioni c’era scritto che la visita fatta in reparto non aveva dato nessun problema. Anna è andata di là, e naturalmente gli altri neonati sono passati avanti. A questo punto io ormai dovevo andare in ufficio, così ho lasciato la poverina da sola con due giovini che cominciavano a reclamare a gran voce la pappa; avevamo fatto conto di avere quasi due ore di autonomia in giro, e ce le siamo perse tutte. Nel frattempo l’unico ascensore utilizzabile si è scassato del tutto.
Considerazioni sparse: magari a qualcuno potrebbe venire in mente di avvisare chi prenota una visita di quanto tempo occorrerà per la visita stessa. È anche vero che questi prenotatori erano riusciti a sbagliare il cognome di due dei tre gemelli registrati dopo di noi: capisco sbagliarli tutti, ma per riuscire a fare cose del genere occorre impegnarsi di brutto. Il pensiero che nel ventunesimo secolo non ci sia un sistema informatico unico all’interno dello stesso ospedale, non chiedo nemmeno interrogabile da tutta Italia, è qualcosa di così assurdo che non credo riuscirei a spiegarlo a un inglese o a un francese o a un tedesco (ma anche a uno spagnolo o a uno sloveno).
Ah: come ciliegina sulla torta ci hanno anche dato un questionario da compilare con il nostro gradimento. Vi lascio immaginare i miei giudizi.

Ultimo aggiornamento: 2009-11-11 14:21

Dimostrazioni matematiche al calcolatore

Qualche giorno fa Maxxfi mi ha chiesto cosa ne pensassi delle dimostrazioni matematiche fatte per mezzo del calcolatore. La mia laconica risposta è stata “brutte, ma valide”; provo ad aggiungere qualche considerazione in più.
Innanzitutto, bisogna mettersi d’accordo sui termini: cos’è una dimostrazione matematica al calcolatore? Lascio immediatamente da parte i programmi di intelligenza artificiale che dimostrano semplici teoremi, magari dandone nuove dimostrazioni, oppure se ne escono con nuovi teoremini non pubblicati in precedenza: quelle sono dimostrazioni del computer, e hanno la stessa validità degli esercizi che ci facevano fare nel biennio di matematica (forse un po’ meglio, se il programma è fatto bene e gli sono stati implementati correttamente gli algoritmi.
Esistono poi “dimostrazioni” che non lo sono affatto: prendiamo ad esempio il test di primalità di Miller-Rabin, che permette di verificare molto velocemente se un numero è presumibilmente primo. Un non matematico può pensare che se la probabilità che il numero testato non sia primo sia di 1 su 1010 ci si potrebbe anche accontentare, e in effetti molti programmi di crittografia usano questi probabili primi accettando il rischio che primi non siano e quindi si possa fare un attacco al testo crittografato; ma un matematico non potrà mai dire “quel numero è primo”.
Resta infine il gruppo di dimostrazioni al computer vere e proprie: quella archetipale è per il teorema dei quattro colori, che afferma che bastano quattro colori per colorare una qualunque mappa in modo che nessuna coppia di regioni confinanti (per un tratto, i singoli punti non contano) abbia lo stesso colore; ma ad esempio c’è stata anche quella della congettura di Keplero, che afferma che il miglior impacchettamento di sfere nello spazio tridimensionale è quello che faremmo tutti, facendo tanti strati a esagono uno sopra l’altro. Queste dimostrazioni, che gli anglofoni definiscono “computer assisted”, hanno una struttura comune. Il teorema è stato inizialmente analizzato e azzannato, e si è arrivati a dire che il caso generale si può ricondurre a un numero finito di sottocasi particolari; nel caso del teorema dei quattro colori si parla di 1476 mappe (grossine) distinte, mentre per la congettura di Keplero sono state ritenute necessarie più di 5000 configurazioni di sfere. In questi casi, il calcolatore serve a verificare che nessuna di queste mappe/configurazioni invalidi il teorema: un lavoro che in linea puramente teorica si potrebbe fare a mano, ma richiederebbe non so quante centinaia d’anni, e si rischierebbe di fare degli errori (tenetevi a mente questa frasetta).
L’atteggiamento dei matematici rispetto a queste dimostrazioni al calcolatore è prettamente filosofico. Alcuni non le considerano valide perché affermano che la dimostrazione deve essere comprensibile a un essere umano, e se non ci si può mettere a verificare tutti i casi allora la dimostrazione in verità non esiste. Altri hanno una preclusione più di principio: come ci si può assicurare che l’algoritmo usato sia corretto, e il programma per computer lo implementi correttamente? Altri ancora, credo la maggioranza, non si fanno di questi problemi e prendono il teorema per dimostrato.
La mia visione personale? Come credo abbiate capito, non ho nessun problema ideologico su una dimostrazione assistita dal computer. Per quanto riguarda la correttezza degli algoritmi, si può ovviare alla cosa implementando indipendentemente più programmi su più architetture diverse – in effetti per il teorema dei quattro colori hanno fatto così – e verificando che l’output sia lo stesso. D’altronde, non è che le dimostrazioni umane siano scevre da errori: proprio il teorema dei quattro colori era stato “dimostrato” nel 1879 salvo poi accorgersi nel 1890 che la dimostrazione era errata. Insomma, la correttezza degli algoritmi e la correttezza delle dimostrazioni sono in fin dei conti la stessa cosa. Nel caso poi degli algoritmi probabilistici di cui sopra, c’è persino chi afferma che se la probabilità che l’algoritmo non ci prenda sia inferiore a quella di un errore hardware della macchina allora si ha la certezza, ma è una linea di pensiero che non mi ispira molto, a meno di pensare anche che tutti gli esseri umani possano venire ipnotizzati contemporaneamente ;-)
Detto tutto questo, resta il mio giudizio lapidario iniziale: il teorema è sì dimostrato, ma la dimostrazione è così brutta che un Vero Matematico se ne fa ben poco, come diceva anche Erdős. Non è detto che esista una dimostrazione “bella” di questi teoremi; visto però che questi teoremi non sono fondamentali nel senso di essere alla base di tanta matematica si può anche decidere di non contarla come dimostrazione dal punto di vista estetico. A voi la scelta!

Ultimo aggiornamento: 2009-11-11 07:00

che smemorati!

Capisco che bisogna riempire un po’ di pagine dei quotidiani con notizie sul ventesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino. Capisco che non si può fare più di tanto. Ma magari mettere in funzione il cervello potrebbe evitare di scrivere che «nemmeno Jannick e Oly, due Ossis (tedeschi dell’Est) di 22 e 20 anni, ricordano il crollo del muro e l’apertura della Repubblica Democratica Tedesca»… a meno naturalmente che quei geni malefici della ex DDR, oltre a imbottire di steroidi le atlete, avessero anche avviato un piano per l’impianto di ricordi indotti nella mente di neonati e infanti, e la burocrazia l’avesse stolidamente portato avanti ancora per qualche giorno dopo la caduta del Muro.

Ultimo aggiornamento: 2009-11-10 11:49

Carlo Giovanardi

Mi sono imbarcato in un’impresa impossibile: dare un senso alle parole del sottosegretario Carlo Giovanardi (con delega alla droga, il che non significa necessariamente avere un’esperienza sul campo). L’ineffabile afferma: «Poveretto, è morto, e la verità verrà fuori, soprattutto perchè pesava 42 chili». Il meglio che sono riuscito a tirare fuori è qualcosa del genere: “Se fosse stato una persona dal peso normale, il pestaggio che gli hanno fatto non sarebbe stato letale. Purtroppo non abbiamo fondi per fare un corso alle forze dell’ordine in modo che sappiano valutare quando fermarsi nel caso di condizioni fisiche evidentemente non perfette”.
Io non ho nessun problema a dire “Cucchi era un drogato”, e posso anche immaginare che sia stato uno spacciatore. Questo però significa semplicemente che doveva essere arrestato, giudicato, condannato… almeno in uno Stato di diritto, un posto cioè dove si continua a credere che le persone abbiano dei doveri ma anche dei diritti. Evidentemente il sottosegretario Giovanardi è molto più avanti di me e sa dove ci troviamo davvero.
Ma la cosa più triste non è tanto che Giovanardi si professi cattolico – ognuno può essere convinto di una cosa per quanto falsa essa sia – ma che non ho letto di nessun alto prelato che abbia ricordato queste cose, e il dovuto rispetto per la persona che dovrebbe sempre esserci indipendentemente dal giudizio sulle sue azioni.

Ultimo aggiornamento: 2009-11-10 10:54

fertilizzante

Nell’ultimo post di Leonardo (che raccontava da par suo l’affaire Santanchè-Maometto) c’era una frase che mi ha spiazzato del tutto. Eccovela: «La storia della sposa bambina di Maometto su internet è moneta corrente. Ma piazzata su Domenica Cinque la domenica alle tre è puro tritolo – no, fertilizzante.»
Il concetto dietro questa frase è persin banale, ed è stato declinato in mille modi diversi: quello che si vede in rete non è affatto uno specchio della società italiana. Ma scritto così almeno a me è apparso improvvisamente nuovo. Il guaio di avere un linguaggio completamente diverso implica appunto che la stessa affermazione viene assorbita in maniera completamente diversa; e visto che chi non si fa capire ha sempre torto, forse è meglio che io stia un po’ più attento. Non per quello che scrivo qua, ma per quello che dico in giro…
Aggiornamento: (16:45) Vediamo se riesco a spiegarmi.
– Se io scrivo una cosa qua sul mio blog, immagino che chi mi legge sia abbastanza intelligente da capire cosa intendo (salvo casi eclatanti come quello che ho scritto qui sopra, e lasciando perdere chi arriva qua dopo qualche anno con un motore di ricerca).
– Se io dico la stessa cosa per strada, probabilmente la gente capirà tutt’altro.
– Ergo, devo imparare a ricordarmi che il mondo non si esaurisce con i socialcosi, ma è MOLTO più grande.

Ultimo aggiornamento: 2009-11-09 15:48