Archivi annuali: 2008

Il mercato e la sinistra

Dalla fine dell’anno scorso hanno cominciato a sventrare la zona intorno a piazzale Lagosta per i lavori della metro 5. Oltre ai casini generali generati dalle vie chiuse, ristrette e altro, in questo caso c’è stato un problema in più: il martedì e il sabato lì c’è (c’era) il mercato. In pratica è un anno e mezzo che tutti si chiedono dove diavolo spostare i banchi: li abbiamo visti prima in viale Zara, poi verso via Pollaiuolo, sempre tra gli alti lai dei commercianti da un lato e degli abitanti della zona dall’altri.
Ora, a quanto leggo da DNews, sembra che sia stata trovata una soluzione: il mercato si sposterà sul cavalcavia Bussa (quello che avevano trasformato in parcheggio per i locali). Considerato che è capitato già abbastanza spesso di vedere dei mercatini, l’idea non mi sembra male, anche se so già che non ci potranno stare tutti i banchi ma immagino solo quelli degli alimentari: meglio comunque che il caos attuale. D’altra parte, se 123 ambulanti su 126 hanno accettato l’ennesimo spostamento si direbbe che non sia poi la fine del mondo. Peccato che – sempre secondo DNews – i “partiti della sinistra radicale” (Prc e Pdci, per la cronaca) non siano d’accordo. Perché? boh. Leggere l’articolo di DNews, viste le tendenze politiche del quotidiano, chiaramente non dà informazioni utili. Leggere il volantino appiccicato in giro forse sì: però la rapida scorsa che gli detti ieri mentre con Anna tornavamo a casa non mi ha permesso di capire nulla, nella miglior tradizione della sinistra italiana dove è richiesta un’attenta esegesi per riuscire a distillare l’eventuale significato del testo.
Quello che dico io è “se è vero che gli ambulanti sono d’accordo, ed è vero che gli abitanti locali sono d’accordo, perché buttarla in politica?” Poi mi ricordo che in effetti io di politica non ne faccio :-)

Ultimo aggiornamento: 2008-10-13 15:11

password di lavoro

Io ho accesso a una serie di server di esercizio, insomma di quelli dove passa il traffico messaggistico vero (non quello TIM, lo dico subito). Dopo tutto il casino di Tavaroli&Friends, sono state definite una serie di misure di sicurezza che permettono di sapere sempre chi sta facendo cosa. Tra queste misure ci sono anche quelle relative alla password, che deve essere cambiata ogni tre mesi.
L’ultima volta mi sono dimenticato di cambiare password in tempo, e per sbloccare gli accessi ho dovuto sottostare a una procedura assolutamente incredibile, col mio capo che doveva spergiurare che io sono un bravo ragazzo. Stavolta mi sono fatto furbo, e mi sono messo un allarme di Google Calendar. Oggi mi sono così accinto a cambiare la password sui tredici sistemi: il concetto di password condivisa non è ancora entrato nel sistema operativo di questi computer. In compenso la quantità di vincoli sul formato della password è favolosa: deve essere esattamente di 8 caratteri, deve avere almeno un carattere alfabetico, uno numerico e uno speciale (ma non virgola, due punti o virgolette) e non deve essere “nello storico”. Il guaio è che la definizione di “storico” è modernissima: se la mia vecchia password è “pip11.po”, infatti, la password “pip12.po” non può essere usata. Mi ci sono voluti otto tentativi (più tutte le volte che scrivevo “passwd” e non “password” per trovarne una utilizzabile e che potessi ricordarmi senza tatuarmela su un braccio.
E il meglio è che io non ho mai operato su questi sistemi: l’unica cosa che faccio è cambiare la mia password.

Ultimo aggiornamento: 2008-10-13 14:40

L’immagine del mondo nella testa (libro)

[copertina] (se vuoi una mia recensione più seria di questo libro, va’ su Galileo!) Valentino Braitenberg è un noto cibernetico. Da una decina d’anni è in pensione, dopo essere stato alla guida del Max Planck Institute per la Cibernetica Biologica di Tubinga, e quindi ha più tempo a disposizione per vagare in quel vasto territorio della “filosofia presocratica”, come la definisce lui. Ha così scritto questo libro (Valentino Braitenberg, L’immagine del mondo nella testa [Das Bild der Welt im Kopf], Adelphi – Biblioteca scientifica 43, 2008 [2003], pag. 171, € 18, ISBN 978-88-459-2252-7, trad. Tommaso Codignola, editing Maurizio Bruno) come una serie di appunti per sé stesso prima che per i lettori su come il cervello può farsi un’immagine del mondo esterno. In realtà ci sono due livelli diversi. Nei primi capitoli in effetti c’è un approccio più filosofico, che potrei scherzosamente definire a “monologo socratico”; quando si passa alla fisiologia del cervello la parte scientifica aumenta di importanza, anche se paradossalmente le ipotesi che fa non sempre sembrano così certe, immagino proprio perché non è stato possibile fare degli esperimenti per dimostrarle.
Ho trovato molto interessante la parte in cui ha “rivisto la fisica” nel terzo capitolo, perché è un punto di vista piuttosto diverso da quello che si può leggere di solito. Anche parte dei capitoli sul cervello hanno del materiale interessante, soprattutto visto che le mie conoscenze erano ferme agli anni ’60. Però nel complesso il libro non è null’altro che un divertissement.

Ultimo aggiornamento: 2008-10-13 07:00

_Qual è il titolo di questo libro?_ (libro)

[copertina]Di nuovo una meritoria riedizione di un titolo ormai introvabile in Italia, dopo la sua pubblicazione nel 1981 (Raymond Smullyan, Qual è il titolo di questo libro? [What is the title of this book?], RBA Italia – Sfide Matematiche 3 – 2008 [1978], pag. 222, € 9.99, trad. Massimo Evangelisti). Smullyan – classe 1919, tutti longevi questi matematici/filosofi! presenta una serie di indovinelli logici sempre più complicati, partendo dai vecchi trabocchetti (“come posso ottenere trenta centesimi con due monete, di cui una non è da 20 centesimi?”) e giungendo infine a presentare una dimostrazione “logica” del teorema di incompletezza di Gödel. I suoi problemi si popolano di persone sempre più strane: si parte dall’isola dei cavalieri che dicono sempre il vero e dei furfanti che dicono sempre il falso per arrivare agli indigeni che per un tabù non possono dire sì o no nella nostra lingua, agli zombie, ai vampiri pazzi che credono di dire sempre il falso ma in realtà dicono il vero. Mettersi a risolvere d’un colpo tutti i problemi è stancante, ma non è certo lo scopo del libro, che è un testo di logica simbolica abilmente camuffato (e tradotto bene, anche se forse a volte un po’ troppo formalmente) e ben piantato nel nostro mondo. Qualche volta la deduzione che si può fare a partire dai dati è che a mentire è l’autore, non i suoi personaggi fittizi! In definitiva, un ottimo testo introduttivo alla logica.

Ultimo aggiornamento: 2016-03-31 20:13

Ipocrisie diverse

Io capisco chi si lamenta dei tentativi di intromissione della Chiesa nelle leggi dello Stato (andando poi contro anche le proprie stesse norme, come scrissi a suo tempo).
Ritengo ancora più ipocrita la posizione del nostro Parlamento, che invece di provare a scrivere una legge che definisca quando si può accettare di terminare anche le cure di sopravvivenza preferisce appellarsi contro la magistratura che prende le sue decisioni. (Ah già, mi ero scordato che in questa legislatura le leggi le fa solo il governo, non il parlamento).
Però vedere che non appena Eluana Englaro ha una crisi tutti i quotidiani online subito si buttano a pesce a scrivere titoloni a riguardo (sbagliando anche a scrivere): ecco, questo mi pare estremamente ipocrita. Se ritenete di voler fare una campagna a favore dello staccare la spina, potete intervistare il padre, oppure parlare con medici neurologi filosofi e quant’altro; però per favore non mettete in mezzo quella ragazza, che è vero che non può sentire nulla ma non credo che avrebbe voluto trovarsi in mezzo a tutto questo cancan. Anche questo è accanimento.

Ultimo aggiornamento: 2008-10-11 21:59

Medie paradossali

La media aritmetica, di cui ho già parlato in passato, sembra in fin dei conti una cosa piuttosto tranquilla. Sì, è vero che non è sempre proprio il numero migliore per rappresentare schematicamente e con poca spesa un insieme di elementi: una famiglia con 1,6 figli, ad esempio, non la vediamo certo in giro. Però possiamo immaginare che la media aritmetica sia per così dire un numero “stabile”, visto che in un certo qual modo tempera gli eccessi dei singoli elementi. Ma non sempre è così! Eccovi tre paradossi, che vanno contro quello che ci aspetteremmo da una funzione per così dire civile.
1. Non è detto che si possa sempre trovare una velocità media
Sappiamo che calcolare la velocità istantanea a cui ci stiamo muovendo non è in realtà possibile, visto che per trovarla dobbiamo dividere lo spazio percorso per il tempo impiegato, e otterremmo un’espressione 0/0. Insomma, Newton e Leibniz, quando hanno inventato il calcolo differenziale, hanno ben avuto dei problemi, no? Quello che facciamo in pratica è calcolare la distanza percorsa in un’intervallo di tempo molto piccolo, calcolare la velocità media in quell’intervallo, e sperare che intanto la velocità sia rimasta costante. Ma anche se la velocità cambia nel tempo, possiamo immaginare che, se ad esempio la velocità media durante un percorso è di 100 Km/h, possiamo trovare un intervallo di un’ora – anche se a priori non si sa a che istante farlo iniziare – in cui si siano percorsi esattamente 100 chilometri. Ovvio, no? Basta fare un grafico spazio-tempo, costruire una finestrella equivalente a un’ora, e spostarla man mano. Scommetto che ci deve anche essere un teorema che si studia in analisi matematica!
[un viaggio un poco strano]Peccato che non sia per nulla vero. Supponiamo di fare un percorso di 250 km in due ore e mezzo, quindi a una media di cento all’ora, alla velocità indicata nella figura qui a fianco: nella prima, terza e quinta mezz’ora andiamo a 92 Km/h, e nella seconda e quarta a 112 Km/h. Prendiamo adesso un qualunque istante iniziale; nell’ora successiva avremo fatto esattamente trenta minuti alla velocità maggiore e gli altri 30 a quella minore, percorrendo dunque 102 chilometri. Ma avremmo potuto anche fare diversamente: se i vari tratti fossero stati percorsi rispettivamente a 88 e 108 Km/h, in un qualunque tratto di un’ora la distanza totale percorsa è di 98 chilometri. D’accordo, gli esempi numerici che ho fatto sono impossibili da ottenersi in pratica, ma non è difficile modificarli per ottenere lo stesso risultato con una tabella di marcia verosimile: non l’ho fatto perché non vale la pena di complicare i conti da fare.
Dov’è il trucco? Il trucco è che non c’è nessun trucco! Se avessi scelto come unità di misura un sottomultiplo esatto del tempo totale percorso (nel nostro caso mezz’ora, oppure 50 minuti) il ragionamento fatto sopra sarebbe stato corretto. Se dividiamo esattamente il percorso in tante parti, o tutte le parti hanno la stessa velocità media oppure ci sono due parti vicine, una con velocità media inferiore e una superiore alla media globale, e in questo caso il ragionamento ella finestrella funziona. Nel nostro caso non possiamo dividere il percorso in questo modo, quindi il ragionamento non regge.
2. Anche se due medie parziali crescono, la media delle medie decresce
Uno potrebbe immaginare che la media di due medie sia in un certo senso coerente: se le medie parziali crescono nel tempo, anche quella globale deve crescere. Peccato che nemmeno in questo caso l’affermazione sia vera! In letteratura, il fatto è noto come Paradosso di Simpson: la pagina su wikipedia fa un esempio numerico del paradosso, esempio che riprendo qua. Supponiamo di avere questa ipotetica situazione:

Lavoratori senza diploma  con diploma  Totale
Giovani 20 80 100
Anziani 120 30 150
Totale 140 110 250

e la statistica seguente su quanti di questi lavoratori siano disoccupati:

Tasso disoccupaz.  senza diploma con diploma
Giovani 30% 15%
Anziani 5% 3,33%

Come si vede, sia tra i giovani che tra gli anziani il maggior numero di disoccupati si ha tra chi non è diplomato. Se però si calcola il numero esatto di lavoratori disoccupati a partire dalle percentuali, e si ricava qual è la percentuale complessiva di disoccupati, senza considerare le età. Come si può vedere, in realtà i disoccupati diplomati sono percentualmente di più di quelli non diplomati!

% disoccupati
senza diploma  12/140 = 8,6%
con diploma  13/110 = 11,8%

Di nuovo, non c’è trucco e non c’è inganno. I numeri sono proprio quelli, e di qui non si scappa. Quello che succede è che c’è una correlazione implicita tra i dati, nel senso che ci sono molti più disoccupati giovani che anziani, e molti più diplomati giovani che anziani. La media normalizza, e quindi non ci fa più vedere questa differenza nei valori assoluti; differenza che però c’è, come si vede nella tabella dei valori assoluti qui sotto, e che porta appunto al risultato apparentemente paradossale.

Disoccupati  senza diploma con diploma Totale
Giovani  6 12 18
Anziani  6 1 7
Totale 12 13 25

Insomma, prima di trarre conclusioni dai valori delle medie parziali, state sempre attenti a vedere quali sono i dati originali!
3. Se A è in media meglio di B, e B è meglio di C, C può essere in media meglio di A
[quattro dadi un poco particolari]D’accordo: non si può nemmeno fare la media delle medie. Però almeno la media una proprietà transitiva ce l’avrà bene, no? Insomma, se in media la scelta A è preferibile a B e la B a C, è ovvio che A è preferibile a C, no? Beh, non proprio. Supponiamo di avere i seguenti quattro dadi qui a fianco. Lanciamo ora i dadi A e B. In media B darà il risultato maggiore in quattro casi su sei: quando esce 5 (tre volte su sei) e quando esce 1 ma con A esce 0 (3/6 * 2/6, cioè una volta su sei). Se lanciamo i dadi B e C, in media C darà il risultato maggiore in quattro casi su sei: quando esce 6 (due volte su sei) e quando esce 2 ma con B esce 1 (4/6 * 3/6, cioè due volte su sei). Se lanciamo i dadi C e D, il conto è ancora più facile; C vince se e solo se esce 6, quindi in due casi su sei, e pertanto D vincerà in media in quattro casi su sei.
Ricapitoliamo: B supera A in media 4 volte su 6; C supera B in media 4 volte su 6; D supera C in media 4 volte su 6. Prendiamo ora A e D; è immediato che A vince se e solo se esce 4, quindi 4 volte su sei. Oops… non era D che avrebbe dovuto vincere quattro volte su sei? Ecco, appunto. Ve l’avevo detto di stare attenti. Ancora una volta non c’è nessun paradosso, in realtà: semplicemente, quando si hanno più di due scelte possibili le preferenze non sono transitive. Per la cronaca, ci si può anche limitare a tre soli dadi, mettendoci su i valori (3 3 5 5 7 7), (2 2 4 4 9 9), (1 1 6 6 8 8). In questo caso, però, i conti da fare sono un po’ più complicati, e quindi ho preferito un esempio non minimale ma più semplice da vedersi. Un suggerimento: provate a costruire i quattro dadi, e invitare qualche amico a fare una partitina, lasciandogli graziosamente scegliere ogni volta per primo quale dado lanciare…
(Il tutto è stato ispirato dall’articolo di Philippe Boulanger Il n’y a pas moyen de moyenner!, Jeux Math, Dossier Pour La Science, Avr-Jui 2008)

Ultimo aggiornamento: 2008-10-11 07:00