È vero che avevo già recensito a suo tempo la versione originale del libro (Douglas Hofstadter, Anelli nell’io [I Am a Strange Loop], Mondadori 2008 [2007], pag. XI-508, € 22, ISBN 978-88-04-58309-7, trad. Francesco Bianchini, Maurizio Codogno e Paola Turina) ma dopo un anno e mezzo di lotta per tradurlo in italiano penso di essere in grado di parlarne con maggior cognizione di causa.
Questo libro è sicuramente diverso da Gödel, Escher, Bach, anche se è in certo senso la sua continuazione. Ad esempio, mancano quasi del tutto i dialoghi, che permettevano di leggere GEB almeno in parte senza doversi preoccupare di capire i concetti dietro di esso. Ma questo non vuole affatto dire che sia più sciatto. La prosa hofstadteriana è sempre spumeggiante, e ha sempre almeno due livelli di lettura, se non di più. Inutile poi dire che il testo è olistico, e ci sono riferimenti interni ovunque; non è affatto raro che una frasetta anodina a pagina 100 acquisti un significato completamente diverso a pagina 400. Per quanto riguarda i contenuti, la spiegazione di come funziona il teorema di Gödel è molto più chiara di quella di GEB, e già questo dovrebbe essere sufficiente. Ma quella trattazione è solo la base per la tesi principale del libro, indicata dal sottotitolo Che cosa c’è al cuore della coscienza: che l'”io” in realtà non esiste, ed è semplicemente un prodotto inevitabile (“emergente”) di avere una coscienza sufficientemente complessa da potersi osservare, proprio come l’aritmetica è sufficientemente complessa da poter definire (una struttura isomorfica a) sé stessa al suo interno. Gli “strani anelli” sono proprio questi: strutture che si rivolgono dentro sé stesse a un livello più alto. Più che di matematica o informatica, infatti, questo è un testo di filosofia, fatta all’americana e dunque molto personale, come si può anche vedere nel capitolo in cui racconta come si è sentito dopo che sua moglie Carol morì improvvisamente.
Indubbiamente non è un libro facile, ma nemmeno GEB lo era; e qui forse è più facile trovarsi in disaccordo con le tesi dell’autore. Ritengo però che valga davvero la pena leggerlo, sapendo di doverci mettere tutto il tempo necessario.
Un’ultima parola sulla traduzione. Come Doug scrive nella prefazione all’edizione italiana, noi siamo il “Traditrio”, vale a dire i traduttori-traditori. Abbiamo fatto il possibile per mantenere i giochi di parole e i doppi e tripli sensi (e il redattore ci ha dato una grossa mano per lo stile), e siamo fiduciosi che la versione italiana sia godibile anche per chi l’inglese lo conosce abbastanza bene. Ma non aspettatevi una traduzione iperletterale: siamo sempre stati saltellanti tra la lettera e lo spirito. Sappiatelo.
Ultimo aggiornamento: 2016-03-31 20:12