Riporto qui un testo che ho preparato per il concorso indetto da biblia.org e che trovate qui con altri contributi.
In un’opera ampia e complessa come la Bibbia è naturale trovare moltissime occorrenze di numeri, proprio come li troviamo nella vita di ogni giorno. C’è però una differenza fondamentale: nella Bibbia troviamo infatti numeri usati semplicemente per indicare un valore – il libro dei Numeri comincia facendo il censimento delle tribù israelite: anche immaginando che i valori siano stati gonfiati, indicano semplicemente una popolazione – ma in molti altri casi i numeri scelti hanno un significato figurato. Questo significato però non nasce per caso: spesso è possibile trovare un motivo per cui a un certo numero viene associato un concetto specifico, tipicamente partendo da qualche considerazione pratica. Nel seguito presento alcuni esempi, con una possibile spiegazione. Chi volesse cercare altri esempi può usare un dizionario delle concordanze, come questo di IntraText oppure quello de La nuova via, per trovare altre occorrenze.
Cominciamo con il numero sette, che è il primo ad apparire nella Bibbia come termine di un processo di conteggio (Gn 2,2-3). Questo numero è immediatamente associabile alla settimana, cioè al più breve periodo di tempo superiore al giorno. Un mese lunare dura infatti poco più di 28 giorni; dimezzando due volte questa durata otteniamo appunto una settimana. Il 7 contiene dunque in sé il concetto di ciclo: il fratello che pecca sette volte in un giorno e si pente sette volte (Lc 17,3-4) indica appunto il dovere morale di continuare a perdonare. Ma sette sono anche i sigilli aperti dall’Agnello nell’Apocalisse, e il 7 appare praticamente sempre in quest’ultimo libro. Affine al 7 è il quattordici, che troviamo per esempio in Mt 1,1-17 nel numero di generazioni da Abramo a David, da David alla deportazione in Babilonia e da questa a Cristo. Il Nuovo Testamento continua a dare al 7 questo significato; viene però anche letto come la somma 3+4, che come vedremo nel seguito rappresentano rispettivamente Dio e il mondo: ecco dunque come il numero 7 è visto come l’opera di Dio nel mondo. Lo si vede per esempio anche nella definizione del canone cattolico: le Lettere sono divise in tre gruppi di sette (quelle paoline principali, quelle di altri apostoli, e quelle paoline “ecumeniche”, compresa la lettera agli Ebrei che venne probabilmente attribuita a Paolo per completare anche quel ciclo. Il numero otto, essendo quello successivo al 7, è l’indice di un nuovo inizio. (Ecco tra l’altro perché i battisteri hanno forma ottagonale!) Per esempio, bisogna circoncidere i figli maschi l’ottavo giorno dopo la nascita; il tempio della visione di Ezechiele (Ez 40) contiene molti riferimenti al numero 8; l’ultima apparizione di Gesù risorto nel vangelo di Giovanni (Gv 19:26) arriva otto giorni dopo la risurrezione.
Un altro numero il cui significato nasce da considerazioni legate al mondo esterno è il dieci. Noi abbiamo dieci dita nelle mani e quindi siamo abituati da millenni a pensare per decine: nella Bibbia il 10 ha connotazioni simili al 7, ma più che il risultato di un processo è un simbolo di totalità. I comandamenti sono dieci, ma sono dieci anche le vergini che aspettano lo sposo (Mt 25,1-13), i lebbrosi guariti da Gesù (Lc 17,11-19), le dramme che una donna possedeva prima di perderne una (Lc 15:8).Il 7 e il 10 possono trovarsi insieme, sia nella raffigurazione del drago e della bestia nell’Apocalisse, che moltiplicati tra di loro per ottenere settanta che è un simbolo di universalità, come il dover perdonare settanta volte sette in Mt 18,22, o gli uomini scelti da Mosè in Nm 11,24-25, ma anche i discendenti di Noè elencati in Gn 10. In alcuni manoscritti, sono 70 anche i discepoli inviati da Gesù a predicare (Lc 10,1), anche se la lezione più comune parla di 72 discepoli; similmente la traduzione greca dell’Antico Testamento (la “Septuaginta”) in alcune fonti è stata compilata non da 70 ma da 72 studiosi, sei per ogni tribù di Israele. La vicinanza dei due valori ha probabilmente portato a una certa qual confusione tra i copisti: ma la loro origine è completamente diversa.
Il numero dodici ci fa immediatamente pensare agli apostoli, e subito dopo alle tribù di Israele. In entrambi i casi il numero viene immediatamente ripristinato: con l’elezione di Mattia dopo il suicidio di Giuda Iscariota, e con lo sdoppiamento della discendenza di Giuseppe in Efraim e Manasse a causa della scelta di non assegnare una terra a Levi la cui tribù era destinata al sacerdozio. Questo ha una ragione molto pratica: infatti il 12 (e ancora più il 72 di cui ho accennato sopra) è un numero facilmente divisibile in parti uguali. Da un gruppo di 12 unità si possono infatti ottenere gruppetti di 2, 3, 4 e 6 unità: ecco perché per esempio le uova si compravano a dozzine. Le 12 stelle sul manto della Madonna (Ap 12,1) hanno la stessa origine, ricordando sia le tribù che gli apostoli. Dal 12 otteniamo anche il numero dei Santi nell’Apocalisse: 144000, cioè 12 (tribù)*12*1000. Ci sono poi altri numeri altamente divisibili nella Bibbia: per esempio in Ap 11,3 e Ap 12,6 si parla di un periodo di 1260 giorni, vale a dire 42 mesi di 30 giorni; Cr 9:13 parla di 1760 giorni, cioè 2*2*2*2*2*5*11.
Il numero tre è tipicamente associato alle manifestazioni della divinità. Naturalmente nella tradizione ebraica Dio è uno solo e non c’è il concetto di Trinità: però il tre appare lo stesso nelle manifestazioni. Abramo in Gn 18,2 vede davanti a sé tre uomini, e Michele, Raffaele e Gabriele sono i tre arcangeli. Forse l’associazione deriva dall’atemporalità di Dio: una delle traduzioni del nome che Dio rivela a Mosè in Es 3,13-15 è per l’appunto “io sono colui che era, che è e che sarà”. Anche i Magi portano tre oggetti a Gesù, indicando così la sua divinità. Il tre può però anche essere visto come 1+2, l’essere cioè “a destra e a sinistra” della persona importante, come la moglie di Zebedeo che in Mt 20,21 chiede a Gesù che i suoi figli Giacomo e Giovanni stiano accanto a lui nel suo regno o Mosè ed Elia che appaiono a fianco di Gesù nella Trasfigurazione; anche la crocefissione in un certo senso rispecchia questo tipo di visione, così come il periodo tra la morte e la resurrezione, che è stato di poco più di un giorno e mezzo ma viene considerato essere di tre giorni contando la fine del venerdì fino al tramonto, il sabato e la notte successiva che è già domenica per gli ebrei.
Come accennato sopra, il quattro viene solitamente associato al mondo, come del resto capita ancora oggi quando parliamo dei quattro angoli del mondo. Il numero 4 fa venire in mente un quadrato, una delle due figure più riconoscibili assieme al cerchio, e il quadrato è simbolo di stabilità. Ci sono parecchie occorrenze del numero quattro nell’Antico Testamento, ma è indubbio che lo troviamo più spesso nel Nuovo Testamento, e specialmente nell’Apocalisse. Gli evangelisti sono naturalmente quattro, e li ritroviamo in Ap 4,6-7, “quattro esseri viventi pieni d’occhi davanti e di dietro. Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l’aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l’aspetto d’uomo, il quarto vivente era simile a un’aquila mentre vola”. Ma sono quattro anche i cavalieri dell’Apocalisse (Ap 6,2-8), che devasteranno il mondo.
Tra i numeri che invece sono legati alla vita umana, infine, il più importante è probabilmente il quaranta. Sal 90,10 afferma che la vita dell’uomo è “settant’anni, ottanta per i più robusti”; 40 è la metà di 80 e pertanto indica un momento di passaggio, l’equivalente del “mezzo del cammin di nostra vita” dantesco. Quaranta sono i giorni del diluvio; quaranta sono i giorni in cui Mosè è rimasto sul monte per ottenere le tavole con i comandamenti; quaranta sono gli anni di peregrinazione del popolo ebraico nel deserto. Gesù ha digiunato per quaranta giorni, oltre a essere rimasto in terra quaranta giorni dalla risurrezione all’ascensione. In tutti questi casi, come si può vedere, c’è sempre il concetto di testare la fede o la resistenza di una persona o più in generale del popolo. L’altro punto in cui ricorre il 40 è infatti Dt 25,3, dove la fustigazione del colpevole sarà eseguita con “non più di quaranta colpi”, che nella pratica diventano 39 per essere certi di non sbagliarsi a contare e superare inavvertitamente il limite.