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quello che non oso mettere nel mio blog ufficiale

HOWTO: Aggiungere un indirizzo alias su Gmail

Una volta era facile aggiungere un proprio indirizzo email (un alias) a Gmail e poi spedire da quell’indirizzo: lo si aggiungeva nei settaggi, ci si faceva mandare un messaggio di verifica per controllare se effettivamente quello era un indirizzo a nostra disposizione, e poi eravamo a posto. La scorsa settimana ho cercato di aggiungere un alias dopo qualche anno e ho scoperto che le cose sono completamente cambiate, perché ora bisogna indicare il server di posta da cui spedire i messaggi, cosa che non sempre è possibile. Ho cercato nell’help di Google, ma non c’era nessuna spiegazione: per fortuna la Rete è grande e ho trovato questo post che spiega come fare, e che riprendo qua per mia comodità.

Per prima cosa occorre andare su https://www.google.com/settings/security e verificare che l’autenticazione in due passi sia attiva. Non preoccupatevi se non volete averla: alla fine della procedura si può toglierla di nuovo. Da qui selezionate le impostazioni delle password per le app: ne create una nuova, etichettata con tanta fantasia GMAIL, e generate la password. Otterrete una password di sedici caratteri (e qualche spazio): copiatela.

A questo punto bisogna aprire le impostazioni di Gmail: cliccate sull’ingranaggio in alto a destra e selezionate “impostazioni”. Da lì, nel tab “Account e importazione”, cliccate su “Aggiungi un altro indirizzo email di tua proprietà”. Arriverà un popup, dove dovete inserire il vostro nome e l’indirizzo email che volete aggiungere, e dovete spuntare la casella “Considera come un alias”. Cliccando su Avanti, potete inserire i dati della connessione di posta via Google: server SMTP smtp.gmail.com, nome utente il vostro nome utente gmail, password quella che avete copiato sopra. A questo punto avrete finalmente la schermata dove farsi inviare un messaggio di test e inserire il codice di verifica ottenuto.

Diciamo che non è immediato, ma alla fine funziona 🙂

November 17, 2015 Archivi

MEDIUM: Perché Facebook è “globale” e non globale

[Questo post è apparso originariamente su Medium. Lo archivio qua per comodità mia]

Oggi Massimo Chierici mi ha chiesto (su Facebook, ma il post non è pubblico quindi non lo linko) cosa pensassi del post di Marco Massarotto (questo invece è pubblico) a proposito del comportamento di Facebook dopo gli attentati di Parigi di venerdì scorso: l’ha chiesto a me e agli altri vecchietti dell’italica Internet che facevano parte del GCN — se non sapete cosa sia, Wikipedia vi può aiutare — che hanno avuto un’idea ben precisa della (presunta) neutralità di una rete sociale. Tanto per dire, questo, dall’evocativo titolo “Perché siamo dei dittatori”, è un mio testo del 1998 che spiega perché il GCN facesse quello che voleva. È vero che sono passati quasi quindici anni da quando ho lasciato il GCN e che non ho la patente di guru internettaro, ma a questo mondo tutti abbiamo il diritto di parlare e così provo a dare una risposta. Anche se Massarotto ha scritto in inglese io preferisco l’italiano: tanto la risposta è più che altro a Chierici.

Massarotto inizia col fare un paragone tra quanto Facebook ha fatto nel caso di Parigi — la funzionalità “sono in salvo” che permetteva a chi in genere gravitasse dalle parti della capitale francese di tranquillizzare gli amici, la possibilità di modificare il proprio avatar con il tricolore francese — e quanto aveva fatto con la strage di Beirut il giorno precedente, cioè nulla. Qui incorre in un grave errore metodologico, confrontando la penetrazione di Facebook nelle due nazioni, notando che era grossomodo la stessa e quindi concludendo che c’era stato un favoritismo. Non entro per il momento nel merito della validità della conclusione: mi limito a far notare come la metrica usata da Massarotto non abbia senso. Quello che conta in questi casi non è la percentuale di persone che usano Facebook, ma il numero assoluto: la grande Parigi ha circa sei volte gli abitanti della grande Beirut, e per questo motivo c’è molta più gente interessata a cosa succede nella Ville Lumière. Certo, il numero di iscritti in un luogo è solo una prima approssimazione per capire l’importanza di un evento dal punto di vista di un social network: per avere dei dati più precisi occorrerebbe considerare il numero medio di amici nei due casi e forse persino quanto essi sono sparpagliati nel mondo. Ma questi dati io non li ho a disposizione, e mi limito a fare an educated guess, una stima plausibile, e immaginare che non siano poi così diversi.

Passiamo alle domande più o meno retoriche di Massarotto sulle azioni di Facebook. Ecco le mie risposte a due di esse: non a tutte, perché sulla prima (Chi in Facebook decide di attivare questi tool sociali?) non ho idee, per la seconda (Quali effetti ha avuto questa decisione?) la risposta è “si è parlato di Facebook”, e la quarta (Cos’è davvero Facebook o cosa può diventare, visto il suo potere sulla società?) mi pare malposta. Inizio dalla sua terza domanda: Cosa sarebbe accaduto se Facebook avesse adottato questi stessi strumenti per altri attacchi? La mia risposta è “probabilmente niente, almeno per noi”. Limitiamoci al caso di Beirut: certo, molte persone legate al Medio Oriente avrebbero usato la funzione “sono in salvo”, che del resto a me è piaciuta, e molte avrebbero modificato il proprio avatar con la bandiera libanese. Ma in occidente se ne sarebbero accorti in pochi, magari ci sarebbe stato qualche trafiletto sulla stampa e sui siti di notizie, e poi nulla. Non prendete le mie affermazioni come occidentocentriche: lo sono sicuramente, ma ho specificato che sto parlando per noi occidentali e non per il mondo in generale oppure per Facebook. D’altra parte la notizia della strage in Libano ha paradossalmente avuto più risonanza dopo gli attacchi parigini, e questo indipendentemente da Facebook. Questa è anche la mia chiave di lettura per la quinta domanda, sempre che io sia riuscito a comprendere cosa intende Massarotto: Will facebook perception become a key adoption/abandon (therefore a business) factor for facebook? La mia risposta è “No”. Facebook si muove solo e unicamente per fare affari, e la sua percezione è irrilevante. Fino a che la maggioranza dei soldi li fa con gli occidentali, e finché agli occidentali piacciono questi strumenti sociali, Facebook glieli propinerà. Magari farà una prova in altre nazioni, e se vedrà dei risultati — anche solo locali, ma comunque risultati — continuerà anche lì. Altrimenti nulla.

Qui finalmente posso dare la mia risposta a Chierici. La dittatura del GCN e quella di Facebook sono di tipo completamente diverso, e la mia risposta di quasi vent’anni fa non può valere in questo caso per una banale ragione: i soldi. Usenet non aveva alcun valore commerciale. I newsserver regalavano l’accesso con la scusa di offrire contenuti ma non sapevano neppur bene cosa girasse: al più si preoccupavano che i gruppi binari consumassero troppa banda — adesso sarebbe ridicola, ma ai tempi era una bella botta anche economica — e non guardavano nemmeno cosa effettivamente passasse in quei file codificati con UUEncode. Il GCN gestiva le news perché si divertiva, e non ci guadagnava nulla. Lo sapevano tutti, tanto che si parlava dei nostri elicotteri neri (il mio era grigio antracite, a dire il vero, ma non sottilizziamo). Occhei, quasi tutti. Siamo stati oggetto di un’interrogazione scritta presentata all’Europarlamento, alla quale l’allora commissario Bangemann rispose più o meno “e che ce ne frega?”, ma si sa che non si può avere l’unanimità. Date queste premesse, essere dittatori era fattibile ma assolutamente irrilevante: la nostra rendita di posizione era legata unicamente al fatto che chi usava i newsgroup it. si trovava sufficientemente bene e quindi non era interessato a cambiare casa e finire su un’altra gerarchia, nonostante i numeri in gioco fossero molto piccoli.

Facebook è tutta un’altra cosa. Innanzitutto il numero di utenti che ha è immenso, il che significa che riuscire a intaccare la sua supremazia non è affatto banale perché richiede che decine di milioni di persone scelgano di usare anche un altro mezzo. Non ci è riuscita Google+, tanto per dire… È la stessa ragione per cui Telegram, che è molto più comodo di Whatsapp, è usato da pochissimi. Perché dover chattare in due posti diversi quando tanto tutti sono su Whatsapp? Il secondo motivo è che gli asset di Facebook siamo noi utenti. I soldi Zuckerberg li fa vendendo le nostre emanazioni virtuali. La loro dittatura è pertanto molto più sottile di quella che noi avevamo ai tempi, e questi “gadget del terrore” per loro non sono altro che un modo di fidelizzare ancor più la gente e quindi guadagnare di più. Da un certo punto di vista è forse persino tranquillizzante: non conviene loro fare un partito perché sarebbe troppo divisivo, meglio limitarsi a guadagnare soldi.

Certo, resta una dittatura. Non puoi postare una tetta che la polizia zuckerberghiana ti sgama ed elimina illico et immediate l’oggetto del crimine. (Anche il GCN bloccava messaggi, ma solo su regole sintattiche, tipo un messaggio postato in crosspost su troppi gruppi che avrebbe generato solo rumore: e comunque bastava settarlo in modo tale che le risposte finissero in un solo gruppo ed eravamo tutti contenti. Nessuno ha mai controllato il contenuto semantico dei messaggi, non era un nostro problema). Puoi farti un altro social network? Sì, ma solo con un ristretto gruppo di amichetti. Non riesci a scalare, perché ci vogliono i soldi: ai tempi del GCN non ci sarebbero stati problemi perché eravamo un ristretto gruppo di persone, ma ora non è più così. Facebook c’è, è grande, e dà alla gente quello che la gente vuole. Se uno non si sente parte della “gente” seguirà la sua strada: al momento per fortuna nessuno mi obbliga a mettere il tricolore francese sul mio profilo, come non mi ha obbligato a mettere la bandiera arcobaleno, e soprattutto nessuno è venuto a chiedermi conto di queste scelte. In futuro? Secondo me continuerà a essere così, al limite mi vedrò più pubblicità pro ISIS perché sarò stato profilato come non filo-occidentale 🙂

November 16, 2015 Archivi

LERCIO: IL PROFESSOR MENOCH E L’IPOTESI DI RIEMANN

IL PROFESSOR MENOCH E L’IPOTESI DI RIEMANN
Intervista esclusiva al professore nigeriano che aveva sostenuto di aver risolto il maggior mistero matematico

(Tucampacaval, Nigeria, 20 novembre 2015) Ieri ha suscitato scalpore la notizia secondo la quale il professore nigeriano Otteyemi Menoch aveva dimostrato l’ipotesi di Riemann: dopo poche ore la notizia è stata però smentita.
Intervistato, il professor Menoch ha rilasciato la seguente dichiarazione: «C’è stato una terribile incomprensione. Stavo preparando il mio solito batch di messaggi in stile 419, usando un algoritmo di mia invenzione per modificare in modo casuale il nome del beneficiario, e sono usciti fuori i cognomi Clay e Riemann, e la somma di un milione di dollari. Come facevo a sapere che il destinatario del mio messaggio non spiccicava una parola di inglese e ha capito che io avessi risolto l’ipotesi di Riemann?»
Menoch si dice preoccupato della pubblicità ricevuta: «Il mio è un lavoro complicato, ho bisogno della massima segretezza per trattare gli affari. Ma è vero che con questi numeri primi si fanno i messaggi segreti?»

(Nota: questo blog non ha alcuna relazione con il Vero e Unico Lercio, che può essere letto qui.)

November 20, 2015 Archivi

MEDIUM: Il concetto matematico di cui non potrei mai fare a meno: induzione e ricorsione

[Questo post è apparso originariamente su Medium. Lo archivio qua per comodità mia]

Per l’imminente Carnevale della Matematica gli amici di MaddMaths! hanno suggerito di parlare del concetto matematico di cui ciascuno di noi non potrebbe fare a meno. In realtà è tutto un trucco: per esempio non credo che nessuno di noi potrebbe fare a meno dell’addizione, ma non credo nemmeno che qualcuno si sia messo a fare un trattato per quanto minuscolo sull’addizione. E poi diciamocelo: se uno scende così in basso dovrebbe portare le sue considerazioni al passo logico successivo. Non pretendo che si parli di insiemistica, ma almeno seguire la strada di Leopold Kronecker, che oggidì è noto per il suo delta — no, non è un fiume — ma che pronunciò la famigerata frase “Die ganzen Zahlen hat der liebe Gott gemacht, alles andere ist Menschenwerk.” Come? Non sapete il tedesco? Vabbè, per questa volta ve la traduco letteralmente: “Il buon Dio ha creato i numeri interi, e tutto il resto è opera dell uomo.” Insomma, per Kronecker senza numeri interi (e senza Dio) non avremmo la matematica, e non è un caso che egli fu uno dei più feroci avversari del povero Georg Cantor che riteneva che ci si potesse avvicinare di più a Dio con i numeri transfiniti — nome tirato fuori dal cardinale di Santa Romana Chiesa Johannes Baptiste Franzelin: poi dite che matematica e teologia non vanno d’accordo… — ma sono andato troppo fuori strada.

Riprendiamo dunque i numeri interi, anzi semplicemente quelli naturali. Il concetto di cui io non potrei mai fare a meno sono in realtà due concetti, che però come vedremo sono interallacciati: l’induzione (matematica) e la ricorsione. Cominciamo con la prima, che è quella che viene probabilmente citata più a sproposito per l’ottima ragione che nessuno sa esattamente a cosa serve. Per forza è così: nel mondo reale induzione significa tipicamente divinare qualcosa a partire da una piccola quantità di dati e sperare di aver capito quello che sta succedendo, mentre in matematica nulla è lasciato al caso.

L’induzione è il quinto e ultimo degli Assiomi di Peano, quelli che definiscono i numeri naturali un po’ come i cinque postulati di Euclide definiscono — con qualche aiutino esterno — la geometria euclidea. Ecco qua il testo degli assiomi.

  1. Esiste un numero naturale, 0.
  2. Ogni numero naturale n ha un numero naturale successore, S(n).
  3. Numeri diversi hanno successori diversi.
  4. 0 non è il successore di alcun numero naturale.
  5. Ogni sottoinsieme di numeri naturali che contenga 0 e il successore di ogni suo elemento coincide con l’intero insieme dei numeri naturali.

Sono certo che vi sarete accorti che l’assioma dell’induzione in un certo senso stona accanto agli altri, proprio come il postulato delle parallele stona accanto agli altri. In quest’ultimo caso ci sono voluti duemila anni di tentativi di dimostrarlo prima di capire che era proprio qualcosa che dobbiamo per forza accettare se vogliamo fare della geometria euclidea, oppure possiamo sostituire con qualcos’altro e fare una geometria diversa. Anche in questo caso possiamo eliminarlo e restare con qualcosa d’altro, per esempio i numeri razionali o reali non negativi, ma onestamente non è che otteniamo qualcosa di così eccitante. Quello che a mio parere è fondamentale è un’altra cosa: l’assioma di induzione è un modo per impacchettare in una singola frase infinite affermazioni, tanto che gli assiomi di Peano non appartengono alla logica del primo ordine (il problema è che nella logica del primo ordine va benissimo usare i quantificatori ∀, “per ogni”, e ∃, “esiste”: ma li si può applicare solo su singole variabili, e non su sottoinsiemi qualunque), e quando si vuole definire l’aritmetica di tutti i giorni a partire dagli assiomi di Peano siamo costretti a spacchettarlo in infinite affermazioni del primo ordine (e inventarci un nuovo concetto, quello di schema di assiomi, per scriverle tutte in un normale foglio di carta usando caratteri di dimensione normale).

Pensatela come volete, ma se il buon Dio ha creato i numeri naturali il diavolo si è mezzo di mezzo, e ha fatto in modo che noi esseri umani finiti venissimo fregati e non potessimo gestirli tutti. Ma come, direte, non hai appena mostrato come l’assioma di induzione e lo schema di assiomi corrispondente ci permettono di fare tutto? Certo che lo permettono. Lo permettono proprio perché sono così potenti da fare sì che l’aritmetica di Peano sia sufficientemente complessa da creare un’arma di distruzione di massa: la proposizione di Gödel, quella che il suo teorema di incompletezza costruisce. Possiamo però pensare positivo: i teoremi di Gödel ci dicono che non possiamo dimostrare proprio tutto quello che è vero, ma l’induzione ci aiuta a dimostrare alcune di queste cose, e ce lo fa fare senza doverci preoccupare di andare fino all’infinito a verificare se continuano davvero a essere vere. Anche in questo caso abbiamo il rovescio della medaglia, di cui probabilmente non vi sarete mai accorti se avete solo studiato matematica.

Una dimostrazione per induzione è relativamente facile: si verifica che il caso iniziale è — di solito banalmente — verificato, e poi si fanno un po’ di conti formali per il caso generale. Ma vi siete mai chiesti come sapere qual è il teorema da dimostrare? L’induzione in un certo senso funziona da sola, ma non può metafisicamente fornire anche l’enunciato da dimostrare. Beh, per me questo è un altro motivo per cui non potrei fare a meno dell’induzione: essa mi ricorda che la matematica non è la successione definizioni-enunciati-dimostrazioni-esercizi che troviamo nei libri di testo, ma un modo per verificare la correttezza di idee e modelli del mondo reale. In un certo qual senso dobbiamo prima sporcarci le mani con la pratica e solo dopo metterci a sviluppare la teoria. Dite niente…

Come però dicevo all’inizio, l’induzione per me è solo una parte della storia, e non riesco a pensarla disgiunta dalla ricorsione. Nel Jargon File di Eric Raymond c’è una definizione icastica:

ricorsione, s.f.: vedi ricorsione

Questa è una bella battuta, ma i matematici — e gli informatici — sanno bene che la storia è un po’ più complicata… o forse più semplice, se la vediamo da un altro punto di vista. Prendiamo di nuovo i nostri assiomi di Peano: non è difficile dimostrare che ogni numero naturale diverso da 0 ha un predecessore. (Aiutino: se ne trovate uno che non ha un predecessore non riuscite a far valere il quinto postulato. Ve l’avevo detto che l’induzione c’entrava). Ma questo significa che partendo da un qualunque numero naturale e tornando indietro prima o poi si arriva a 0. Ecco qua il trucco dietro la ricorsione: è vero che per dimostrare ricorsivamente una proposizione P(n) ti rifai alla proposizione P(m) che a prima vista è uguale, ma hai che m<n, e quindi sei sicuro che a un certo punto arrivi a 0 o comunque a un punto dove metti i respingenti, blocchi il percorso della ricorsione e dai il risultato di quel singolo caso particolare, che man mano verrà riportato su per la scala delle varie proposizioni intermedie per ricavare finalmente il risultato richiesto.

Tutto questo passare in giù e in su è tipicamente matematico, ne convengo: in teoria funziona perfettamente ed è anche esprimibile in modo semplice, in pratica se ho la successione di Fibonacci definita ricorsivamente come F(0)=0, F(1)=1, F(n)=F(n-1)+F(n-2) e voglio trovare F(10000) forse è meglio che vada a cercare qualche altro sistema che non sia calcolare tutti e 10000 i termini della successione. I matematici, nonostante quello che sembri, sono persone ragionevoli almeno per il loro metro di giudizio: è nata così la teoria delle funzioni generatrici che permette di trovare una “forma chiusa” (un’equazione, per dirla in maniera semplice) a partire da una successione ricorsiva. Ma anche in questo caso andrei fuori dal seminato se mi mettessi a parlare di funzioni generatrici.

In definitiva, induzione e ricorsione sono il nostro modo di ottenere risultati generali lavorando sempre sul locale: una esemplificazione del detto che passo dopo passo si può arrivare dovunque. Come si può farne a meno?

November 14, 2015 Archivi

CTL-ALT-DEL: pubblic

pubblic
È bello (o almeno i pubblicitari la pensano così) avere dei cartelloni pubblicitari elettronici, perché così si vedono meglio (almeno d’inverno) e probabilmente è più semplice cambiare messaggio.
È un po’ meno bello quando c’è problema che cancella i due terzi del cartellone. (La scarsa qualità dell’immagine è colpa mia, le righette orizzontali sono colpa del furbofono, la parte nera è colpa di chissà chi)

July 28, 2015 Archivi

CTL-ALT-DEL: non comprate quei biglietti

trenitalia Domani dovremmo andare da Chiavari a Genova e contavamo di prendere il treno, così oggi pomeriggio siamo passati in stazione a comprare i biglietti. All’unica biglietteria aperta c’era una bella fila, e mi sono portato alle due distributrici automatiche. Una mostrava una simulazione della copertina del White Album, nel senso che la schermata era completamente bianca; davanti al secondo c’erano tre o quattro persone che non so bene cosa abbiano fatto, riuscendo a far spegnere il terminale. Dopo qualche minuto è apparsa questa schermata del bios; dopo un po’ è apparso il logo trenitalia, una scritta “caricamento in corso”… e poi non so. Ho preso i biglietti in edicola, e il terminale era ancora così.

August 19, 2015 Archivi

CTL-ALT-DEL: Bilancia

bilancia
Bilance negli ipermercati (questa è l’ipercoop di Carasco, per la cronaca) che danno un errore “le etichette sono terminate” sono piuttosto comuni, e oggettivamente non meritano nemmeno di essere considerate. Ma una bilancia che va in shutdown non l’avevo mai vista…

August 22, 2015 Archivi

CARTELLI: Veicoli connessi

connessi
Come potete vedere, davanti alla Basilica di Sant’Ambrogio – ora che per per fortuna non fanno più il parcheggio sotterraneo – possono solo entrare i veicoli “connessi con le funzioni religiose”. Ho cercato sul De Mauro il significato di “connesso”, e ho trovato

burocr. al pl., nel linguaggio notarile, le pertinenze di un bene immobile

Più burocratico di quel cartello si muore. Plurale, è plurale. Ergo, se entri in macchina lì il veicolo diventa una pertinenza della basilica. Seems legit.

June 5, 2015 Archivi

FUN: Volontari Energia

[volontari energia]
Ieri mi è arrivata una mail dal Comune di Milano con titolo “Volontari Energia per Milano”. Visti i blackout di questi giorni, pensavo che mettessero a disposizione cyclette collegate a generatori di corrente…

July 8, 2015 Archivi

FUN: Pubblicità Barilla

[mordi e fuggi]
Forse vi ricordate le polemiche che l’anno scorso hanno scosso Barilla, con le frasi del suo presidente sul “concetto della famiglia sacrale”. Bene: devo dire che il reparto marketing dell’azienda sta facendo un lavorone mica da ridere per rendere positiva l’immagine dell’azienda, come si vede dalla foto qui sopra – no, non è un fake, l’ho vista sul loro sito. “Un mondiale mordi e fuggi” è il loro commento: dite quel che volete, ma io ho apprezzato.
(Potete vedere la galleria completa qui)

June 27, 2014 Archivi
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