McDonald’s Classic

Non entro molto spesso in un McDonald’s, quindi non so da quanto tempo c’è stato questo cambio di paradigma: quando però ci sono passato la scorsa settimana, mi è saltato subito all’occhio. Una volta i menu erano di due tipi: normale e maxi, coll’inserviente che ti chiedeva regolarmente se lo si voleva maxi. Magari vi ricordate anche del film Super Size Me, quello che raccontava l’epopea di uno che aveva provato per un mese intero a nutrirsi solo ai McDonald’s accettando regolarmente la proposta “menu grande?”
Bene. Adesso non è più così. Quello che era il menu normale è stato ribattezzato McMenu Classic, mentre il Maxi è ora il McMenu senza ulteriori qualificativi. Confesso che non saprei se la mossa è stata fatta per introdurre un aumento surrettizio (chi chiede il menu senza aggiungere nulla si trova a pagare di più) oppure qualcuno lassù nel dipartimento marketing della multinazionale ha pensato che mentre una volta la parola “maxi” indicava qualcosa di superiore ora – almeno per quanto riguarda hamburger e affini – ha preso un significato negativo. O magari c’era solo bisogno di modificare qualche cosa perché si sa che il mercato deve sempre essere dinamico…

gioco della domenica: Balance Fury

Balance Fury è tutta questione di equilibrio. L’unica operazione che si può fare è far cascare dei blocchi su una specie di bilancia/altalena, cercando di mantenerla il più possibile in equilibrio. C’è una certa inerzia, quindi si può rischiare e far oscillare la bilancia nell’attesa di riequilibrarla con il pezzo successivo: ma ricordate che ci vuole un po’ di tempo prima che il nuovo pezzo venga prodotto, e poi bisogna aggiungere il tempo di caduta!
(via Passion for Puzzles)

La Grande Pandemia

Sono mesi e mesi che i media ci stanno sfracellando i maroni con la storia dell’influenza suina, che poi è diventata influenza A perché sennò non mangiavamo più carne di maiale, e che è una pandemia, e che moriremo a milioni come per la spagnola, e che stanno mettendo in quarantena tutti, e non provare a starnutire quando devi prendere un aereo, ché è più facile salirci su con un mitra, e magari facciamo partire le scuole più tardi per evitare il contagio (facendo fin arrabbiare i vescovi)…
Se uno però fa la fatica di leggere gli articoli e non i titoli, scopre che questa influenza esiste, ma è come una comune influenza. Qualcuno muore, esattamente come qualcuno muore di influenza tutti gli anni; il numero di vittime è bassissimo rispetto a quello dei contagi, forse addirittura inferiore a quello dell’Asiatica o dell’Australiana. E allora perché tutto questo cancan, che non è solo italiano ma mondiale?
Per una volta faccio il complottista e dico che è tutta una manovra delle case farmaceutiche, esattamente come nel caso dell’aviaria, dove sembrava che se non fossimo andati a cercare a carissimo prezzo le poche confezioni dell’antidoto specifico saremmo finiti nel mondo dei più: cosa che – almeno per me e i miei ventun lettori – non è certo capitata. Passi cascarci una volta, ma volete farlo anche la seconda?

_Il potere della stupidità_ (libro)

[copertina] Ci sono tanti libri che parlano dell’intelligenza; singolarmente, ce ne sono pochissimi che parlano della stupidità, forse perché i potenziali autori temono di sembrare a loro volta stupidi. Questo non è certo il caso di Giancarlo Livraghi, che in questo breve saggio (Giancarlo Livraghi, Il potere della stupidità, Monti & Ambrosini “Diogene” 20072, pag. 147, € 12, ISBN 978-88-89479-01-8) si cimenta nella non facile impresa di parlare della stupidità in quanto tale. Nei vari capitoletti non si trattano esempi specifici, ma si cercano regole generali per poter riconoscere la stupidità, partendo dai pochi testi scritti sull’argomento – come ad esempio le leggi di Cipolla – e notando come la stupidità si possa pragmaticamente definire come un’azione che non solo danneggia te, ma non è nemmeno di vantaggio agli altri. Tutti noi siamo a volte stupidi: una volta accettato questo assioma risulta più facile operare per ridurre per quanto possibile la stupidità globale, senza però farsi troppe illusioni. Il libro è anche disponibile per uso non commerciale, insieme alla sterminata bibliografia livraghiana sul tema, sul sito http://stupidita.it/ . Nota: ora è in edicola la terza edizione, con una cinquantina di pagine in più.

Che ha fatto l’Elah a Caprotti?

Chi fa la spesa all’Esselunga probabilmente se n’è accorto, anche perché è da più di un anno che sta succedendo: i supermercati non tengono più in assortimento i prodotti Elah-Dufour, dalle caramelle ai budini. Ci sono caramelle di tutti i tipi, ma non di quella marca.
Sappiamo tutti che la logistica dei supermercati segue una serie di regole a prima vista controintuitive: a parte l’avere ad esempio i prodotti a primo prezzo negli scaffali più scomodi (in alto o in basso), le aziende pagano il supermercato per avere un’esposizione migliore dei loro prodotti, e sicuramente quello di dolciumi e caramelle è un settore dove la concorrenza è estrema – se non ne siete convinti, chiedete a Ferrero e Perfetti o date un’occhiata agli espositori vicino alle casse. Ma l’ostracismo è davvero improbabile; conoscendo il caratterino di Bernardo Caprotti, la Elah-Dufour deve avergli fatto qualcosa di davvero grave. Peccato che non lo si possa sapere… a meno naturalmente che non crediate alla versione della ritorsione perché dopo un’azione di spionaggio industriale Esselunga si è accorta che alla Coop facevano offerte migliori, come si poteva leggere ad esempio sul Corsera lo scorso settembre.

The Inquisitive Problem Solver (libro)

[copertina] Questo libro (Paul Vaderlind, Richard Guy e Loren Larson, The Inquisitive Problem Solver, MAA 2002, pag. 327, Lst 22.99 , ISBN 978-0-88385-806-6) è credo il miglior testo di problemi matematici ricreativi che abbia mai comprato. Non so se sia merito dell’internazionalità degli autori (Vaderlind è un polacco emigrato in Svezia, Larson è uno svedese emigrato negli USA, Guy un britannico giramondo); ma secondo me nei 256 problemi presenti è stato raggiunto un equilibrio perfetto tra la complessità, le nozioni matematiche richieste e la piacevolezza del testo.
Il libro può essere usato a diversi livelli; molti dei problemi presentano un aiuto, e molte soluzioni portano a generalizzazioni del risultato e a problemi aperti, computazionali e no, che possono essere dati agli studenti più volonterosi nel caso si voglia sfruttare il libro come fonte di esercizi. Dimenticavo: alla fine del testo c’è un glossario (anzi, un Treasury: una raccolta, insomma) di termini usati nella matematica ricreativa, che prima o poi riciclerò da me :-)

copertine in stile Abbey Road

I Beatles sono stati citati e parodiati in mille modi, come probabilmente sapete. Forse un po’ meno noto è che le parodie si sono anche allargate alle copertine dei loro album: non tanto il White Album, che in effetti è un po’ difficile da riciclare, ma le copertine di Sgt. Pepper’s e Abbey Road sono delle icone pop.
Per quanto riguarda quest’ultimo album, potete vedere una pletora di copertine vere o fasulle, da Peanuts e Simpson ai RHCP, dai frati francescani del convento di Gerusalemme allo stesso Paul McCartney. Non essendoci un vero o fittiizio disco, la copertina coi Lego non è presente.
Quanti ne conoscete di questi dischi?

Roseanna (libro)

[copertina] Questo primo racconto della serie di Martin Beck (Maj Sjöwall e Per Wahlöö, Roseanna [Roseanna], Sellerio “La Memoria – 638” 2005 [1965], pag. 320, € 11, ISBN 978-88-389-1974-9, trad. Renato Zatti) lo definirei un “giallo triste”. Probabilmente è molto svedese, e svedese dei primi anni ’60 – è ambientato nel 1965; quella Svezia che per l’immaginario italiano era piena di disinibite fanciulle e biondi stalloni, ma che viene dipinta nel libro come un posto piovoso e niente affatto piacevole. Il libro, più che un giallo, è un poliziesco, con le indagini che cercano di far luce sull’omicidio di una ragazza americana; la prosa è molto secca, fa quasi sembrare uno come Hemingway un barocco, ed è resa direi bene nella traduzione.
Certo che se amate i gialli all’americana non è il libro per voi, ma altrimenti vale la pena leggerlo, soprattutto superato lo choc dello stile delle prime pagine.