Quando ieri sera è arrivata la notizia, tra i miei amichetti telematici c’è subito stato un coro di disperazione collettiva (tranne il solito bastian contrario). Immagino che su Facebook nessuno si sia accorto di nulla, ma è così che vanno le cose. Che ne penso io? Per una (rara) volta, sono d’accordo con Zambardino: “la fabbrica di formaggini si è comprata il negozio di delikatessen”. Il giudizio complessivo è però più compesso.
Innanzitutto, un utente casuale potrebbe dire che FriendFeed (FF in seguito, perché sono pigro) e Facebook (FB) sono più o meno la stessa cosa: ci sono discussioni e link vari, e anzi FB è più carino perché ci sono più immagini e la struttura è più ampia, mentre FF sembra più che altro una lista della spesa. Tralasciando per un momento il fatto che in quest’ultimo anno c’è già stato un percorso di avvicinamento delle interfacce grafiche e delle feature (il “like” nasce con FF e viene copiato in FB), la logica dietro i due sistemi è completamente diversa. FB vuole essere un posto di arrivo, il centro commerciale dove trovi tutto quello che ti serve e non hai più bisogno di uscire fuori; il punto fondamentale è crearsi il proprio giro di amici e interagire semplicemente con loro. Il successo è stato strepitoso, con centinaia di milioni di utenti.
FF è invece nato come luogo per tenere traccia degli amici che si aveva già: in un mondo dove ognuno usa una pletora di servizi online – per dire, il mio profilo FF ne segna 19… – è comodo riuscire a raggrupparli tutti in un unico posto. Addirittura c’è la possibilità di farsi un “amico immaginario” per tenere traccia di quella persona. Il cazzeggio è nato solo dopo, come sottoprodotto; e soprattutto è usato in maniera completamente diversa. Uno può “lucchettare” i propri feed, lasciandoli visibili solo a chi si è deciso essere bravi/e ragazzi/e, e molti fanno così; ma le discussioni visibili non sono solo quelle degli amici, ma anche quelle dove gli amici hanno commentato; il che è logico, perché se tu vuoi sapere cosa ha detto X anche quelle sono “conversazioni”. Va così a finire che io, che sono iscritto ai feed di 28 amichetti, una mezza dozzina dei quali non condividono in realtà quasi nulla, credo di trovarmi più o meno tutto quello raccontato dalla solita cricca. Poi ci sono le “stanze”, dove si possono fare conversazioni private di gruppo un po’ come su IRC; concetto che mi pare manchi in FB, o almeno non sia così facilmente replicabile se non lavorando a basso livello sui permessi.
Tutto questo però è un consumo di nicchia, credo che tutti siano d’accordo: nessuno riesce a immaginare milioni di utenti su FF, e gli appassionati tendono a considerarsi parte di un’élite; magari sono anche su FB, ma giusto perché non si sa mai. Il vero amore è appunto FF.
Guardiamo però le cose dal punto di vista di chi ci mette i soldi – e assicuro che questi socialcosi costano l’iraddidio in banda e server, non è il mio semplice blogghetto. FF non fa guadagnare nulla; non che FB sia un generatore di bigliettoni verdi, ma ha iniziato da mo’ la virata verso la pubblicità, e magari tra un po’ riesce a raggiungere un break-even. È chiaro che un modello che vede solo spese non può durare all’infinito e che i fondatori di FF dovevano trovare un sistema per fare cassa. Magari non molta, se è vero che in quattro si divideranno 15 milioni di dollari cash e 32,5 in azioni FB, ma comunque una bella cifretta.
C’è una cosa molto più importante, però, e subito spunta l’ombra della Grande G – non per nulla i fondatori di FF arrivano da Google. Secondo Scoble, come riportato anche dalla BBC, la tecnologia FF per la ricerca di notizie in real time è di gran lunga la migliore sul mercato; e probabilmente una delle ragioni per l’acquisto da parte di FB è stata proprio questa tecnologia, mentre da parte di FF il timore per l’arrivo dell’annunciato Google Wave può avere convinto i fondatori che questo era il momento giusto.
Cosa succederà adesso? boh. Nemmeno i grandi esperti sono in grado di dare una risposta alla domanda “cos’è che rende un servizio di successo”, figuriamoci io. Tornando alla metafora zambardinesca, ci possono essere varie possibilità. Non credo che FF possa essere lasciato morire per inedia; anche se non vengono aggiunte funzionalità, lo zoccolo duro degli utilizzatori continuerebbe a usarlo fintantoché da qualche altra parte non creeranno qualcosa di meglio. Se comunque succedesse qualcosa del genere non ci sarebbero grossi problemi, esattamente come non ce ne dovrebbero essere troppi se FF diventasse una specie di laboratorio R&D per FB. Il negozio di delikatessen rimarrebbe insomma tale, e gli intenditori continuerebbero a frequentarlo anche se il padrone è un altro. Quello che però temo è un’eutanasia attiva, non certo per costringere gli utenti a migrare su FB – i numeri non cambierebbero – ma per evitare di “sprecare risorse” inutilmente. Ecco, spero che non sia il caso, ma tocco ferro. Invece la questione “mi prenderanno tutti i miei dati” non mi tocca per nulla. Io ho sempre usato FF per cazzeggio, di dati personali non ce ne sono, e quello che ci ho scritto è tranquillamente usabile da tutti. Non sono mai riuscito a essere troppo paranoico…
_Il gioco infinito_ (libro)
Raccolta di 22 racconti di fantascienza apparsi nel 1997, in questo libro (David G. Hartwell (ed.), Il gioco infinito [Year’s Best Science Fiction 3], Urania “Millemondi estate” 1999 [1998], pag. 430, Lire 9900, ISSN 977-1123076005-90020, trad. Antonella Pieretti) troviamo vari temi della SF della fine degli anni ’90. La qualità dei racconti, come sempre, è variabile: personalmente mi sono piaciuti “Piccolo zoo” di Gene Wolfe con la sua storia da ragazzi; “Trattato di accoglienza” di John C. Wright sulle enormi distanze dei viaggi stellari; “La voce” di Gregory Benson su un mondo futuro dove la gente si è dimenticata di leggere; “Storia d’amore in ufficio” di Terry Bisson, molto informatico; “Bellezza nella notte” di Robert Silverberg, in una Terra invasa da Entità aliene; il brevissimo “La signora Pallida” di Ray Bradbury; “La bella Verona” di R. Garcia y Robertson, dove le realtà virtuali interagiscono col mondo reale; “La Great Western” di Kim Newman, con una Gran Bretagna di un universo parallelo; il divertissement “Ricambio” di Geoffrey A. Landis; il bioterrorismo in “Il caso della lampada mendeliana” di Paul Levinson.
Per quanto riguarda la traduzione, mi sono rimasti dei dubbi: la prosa è troppo diversa in stile tra i vari racconti, e soprattutto in “Ragnetto bel ragnetto” mi ha dato l’impressione di essere incorsa in qualche cantonata.
pagamento faidaté
Ormai è abbastanza facile trovare supermercati in cui viene data la possibilità di far passare autonomamente i prodotti acquistati, evitando così la necessità di una cassiera che si sa costa parecchio e può anche decidere di scioperare o semplicemente dover fare la pipì. Non mi era però mai capitato di provare l’ebbrezza di un “self checkout” fino a sabato, quando Anna e io siamo andati all’Ikea di Carugate, abbiamo comprato un po’ di sciocchezzuole e siamo arrivati in cassa. Sì, era sabato quasi alle 14, ma era anche l’8 di agosto, e anche le casse presidiate da umani erano semivuote: ho comunque voluto vedere come funzionava l’ambaradan.
Devo averci messo circa il doppio di un cassiere non troppo sveglio, anche perché ci ho messo un po’ a capire qual era la distanza corretta per far passare il lettore ottico – che dev’essere un po’ presbite – e trovare il modo per fargli leggere le etichette “svolazzanti”, che devono essere tenute con le dita di una mano mentre l’altra avvicina e allontana il lettore. Il software è abbastanza ben fatto, anche se forse dovrebbe specificare subito che i sacchetti li pagherai dopo: io a dire il vero non ci avevo nemmeno pensato, ma Anna sì. Non ho provato l’opzione “digita il numero a mano”, visto che avevo sì un’etichetta illeggibile ma tanto avevo un altro oggetto uguale e ho fatto che ripassare il primo; alla fine nessuno ha controllato il nostro sacchetto, ma non potrei dire quale sia la frequenza della campionatura.
In definitiva, mi sa che sia una cosa utile solo nei momenti di Vero Casino, sperando la cosa non venga in mente a troppa gente.
Flash of Genius (film)
Se dovessi riassumere in una sola frase questo Flash of Genius, direi “un’ora e mezzo pallosa, poi mezz’ora scontata”.
Il film nasce da una storia vera: un professore universitario, Robert Kearns, inventa un sistema per fare i tergicristalli a intermittenza, ma la Ford gli ruba l’idea, affermando che è stata creata nei suoi laboratori; il tutto nonostante i brevetti di Kearns. Costui è però un ingegnere, e ho detto tutto: il professore inizia una battaglia solitaria, passando per un esaurimento nervoso, sfasciando la sua famiglia e reinventandosi come esperto in legge, solo per avere una corte che affermi la colpa della Ford, sdegnando nel frattempo proposte di transazione sempre più generose.
Come dicevo, la prima ora e mezza è troppo lenta, e solo verso la fine il ritmo aumenta un po’, scadendo però nella classica commedia all’americana dove sai già che cosa succederà – tranne forse l’ultima scena, che ovviamente non vi svelo. Storia sicuramente istruttiva, ma a questo punto avrei di gran lunga preferito leggermi il libro.
P.S.: “Flash of genius” è ovviamente il lampo di genio, come viene anche detto verso la fine del film. Quello che non capisco è perché i titoli dei film sono sempre più spesso lasciati in inglese anche in casi come questo in cui non c’erano certo problemi a tradurlo.
gioco della domenica: Billit
Si può fare un gioco spara-spara senza in effetti dover sparare, ancorché virtualmente, nulla? Sì: Billit ne è un esempio. Nei trenta livelli occorre far arrivare le varie palline al loro obiettivo nell’ordine indicato. Non è possibile accelerarle, ma possiamo rallentarle, passandoci sopra il mouse. Muovendosi opportunamente è possibile introdurre i ritardi necessari per ottenere l’ordine voluto (almeno credo, io in questi giochi sono negato). Come avrebbero detto i latini, festina lente!
(via Passion for Puzzles)
“La galleria più lunga d’Italia”
Uno ci spera sempre che se ne dimentichino, un po’ come per il ponte sullo Stretto di Messina: ma anche in questo caso c’è sempre qualcuno che ritira fuori i progetti, ci fa una limatura, magari si associa con un altro suo compare e finalmente ci assicura che siamo davvero Fortunati e tra pochissimi anni potremo sentirci Veri Cittadini di una Grande Metropoli.
Sto parlando del tunnel automobilistico sotto Milano: quattordici chilometri sotto la città, dalla fine della Torino-Milano a Linate. Il tutto con nove uscite intermedie, un buco fino a 40 metri di profondità (a Garibaldi, perché bisogna passare sotto la ferrovia, la metro verde, la metro fucsia… e fortuna che al momento non si pensa di andare ancora più in giù), due imprese – Torno e Condotte Acqua – che si spartiranno la torta, e un pedaggio di 7 (sette) euro, che non si sa bene il qual modo verrà esatto (si parla di fantasmagoriche teNNologie che fotograferebbero tutte le targhe… ho qualche piccolo dubbio in proposito).
È vero che a Milano c’è fin troppa gente che non avrà nessun problema a far fatturare alla propria azienda i 7 euro per passaggio, con l’azienda che aumenterà corrispondentemente i prezzi, giusto per chiedersi come mai Milano è la città più cara d’Italia; ma in ogni caso secondo le stime – indubbiamente ottimistiche – dei nostri simpatici amministratori ci vorranno cinquant’anni perché l’opera venga ammortizzata. Detto in altro modo, ci sarebbero due aziende private che sono pronte a fare un mutuo di tutta quella durata così, senza nessun’altra contropartita. Voi ci credete? io no.
Ho visto le ronde!
Stamattina, mentre prendevo il caffè al bar, sono entrati due tipi con la pettorina azzurra nota a chiunque legga le cronache milanesi: l’A.P.I., Associazione Poliziotti Italiani, è sbarcata in forze anche in via Giacosa, il giorno prima della loro istituzionalizzazione formale (ma per un paio di settimane erano già stati assunti per pattugliare le metropolitane, a dire il vero)
Occhei, “in forze” è forse un po’ esagerato: i due si sono semplicemente presi un caffè, spiegando al barista che loro sono solo dei volontari e non fanno nulla di male. Non so se il caffè sia stato loro offerto: me ne sono uscito prima :-)
quiss: il tuo spettro politico
Questo questionario lo stanno facendo tutti su FacciaLibro, ma io sono andato direttamente sul sito originale.
Dopo essermi spupazzato 55 domande fatte evidentemente per gli ammericani – ma non credo che nessuno avesse dubbi su quello – con la doppia definizione “quanto sei d’accordo”/”quanto te ne può importare”, il risultato finale è quello mostrato qui in alto. Per la cronaca, io sono la crocetta rossa (komunista), mentre la crocetta blu è la media degli italiani che hanno provato il test. Limitandomi agli italiani ANZYANI come me la differenza non sarebbe cambiata molto, ad ogni modo; forse più strano vedere che se si prende il risultato globale per la mia decade demografica ci si sposta molto più verso il centro degli assi. Insomma, sarei uno sporco komunista liberal, o qualcosa del genere; immagino che gli sporchi komunisti tendano a collocarsi nell’angolino in alto a sinistra della mappa.
Forse sono più interessanti i punteggi parziali: sono un antimilitarista-non interventista puro e duro (-9.02 su una scala -10:+10) e un intellettuale liberale ma non troppo (-3.97). Lascio a voi decidere quanto questi risultati coincidono con quello che pensate di me :-)