Autocertificazione di morte

Anche se il meteo non lo farebbe sembrare, siamo in estate e c’è bisogno di notizie leggere, non importa se con un retrogusto macabro. Così Repubblica mostra i moduli dove a Saronno si sarebbe dovuta “autocertificare la propria morte”… e giù con le risate.
Io sono un grammarnazi, ma non vedo nulla di strano nel parlare di “Autocertificazione dichiarazione di morte”, considerando che non c’è mica scritto “della propria morte”. Non è una certificazione perché chi la compila non ha il diritto di certificare per terzi sconosciuti, e non è tanto più diverso del nuovo modulo rapidamente approntato, che recita “Autocertificazione di morte di XYZ” (è la seconda foto nella galleria). Forse “Autocertificazione di denuncia di morte” sarebbe corretto, ma è burocratico in maniera tragica.
Del resto, a me pare molto, molto più buffo aver dovuto compilare un’autocertificazione di esistenza in vita :-)

_The Beauty of Everyday Mathematics_ (libro)

[copertina] Il titolo del libro (Norbert Herrmann, The Beauty of Everyday Mathematics, Springer-Copernicus 2012, pag. 138, € 5,47 (Kindle), ISBN 9788850226016) faceva pregustare qualcosa di piacevole, e bisogna dire che il tono con cui Herrman scrive è indubbiamente piacevole.
Però se devo dirla tutta il libro non è che mi sia piaiuto. Mettiamola così: dal mio punto di vista il titolo che avrei dato è qualcosa tipo “The Beauty of Everyday Physics“: la matematica c’è sì ma sotto forma di formulacce che non finiscono più… il che è normale, nessuno ha mai pensato che la matematica di questo tipo fosse semplice, però fa venire poca voglia di seguire il testo, anche perché comunque a volte sembra di essere nella barzelletta che fa l’approssimazione dei cavalli sferici :-) (mi riferisco ai problemi sul parcheggio, per la cronaca).
Ci sono alcuni problemi venuti forse meglio, come l’ultimo sulla sovrapposizione dei sottobicchieri per la birra – ricordatevi che Herrmann è tedesco, e su queste cose è un esperto – ma in generale avrei preferito che le formule fossero meno prominenti. In fin dei conti scopo del libro è mostrare come nella vita di tutti i giorni si possa trovare matematica, non di fare i conti espliciti. O no?

Gramellini se l’è cavata

Ieri il Buongiorno di Massimo Gramellini raccontava quella che poi si è saputa essere la bufala del commissario alla maturità che si è sentito chiedere di far bocciare il figlio perché altrimenti non avrebbe potuto fare il cameriere in pizzeria. Io tendo a evitare di leggere i giornali, quindi non avevo capito che la bufala era presente su vari giornali: avevo semplicemente visto il link postato da qualcuno e creduto fosse una delle solite provocazioni di Gramellini.
Saputo il tutto, stamattina sono andato apposta a vedere cosa avrebbe scritto: devo dire che se l’è cavata bene. Non tanto per scrivere subito di essere “dell’agenzia Pirla”, né per la frase finale «Continuerò a coltivare la mia ingenuità: fa comunque meno danni del cinismo» (ueh, stiamo parlando del Gramellini, se non mi aspettassi un po’ di retorica vivrei in un altro pianeta). È però riuscito a dire che ha sbagliato, e cosa avrebbe dovuto fare, e non si è nascosto dietro un dito. Non è così banale, in mezzo a gente (non solo giornalisti, e nemmeno politici, e direi neppure solo italiani) che per prima cosa inizia a dire che è stata fraintesa, che le cose sono diverse da come sembrano, che le cavallette. Quindi, tanto di cappello.

Previti contro Wikimedia Foundation, Inc.

Il 20 giugno scorso il tribunale di Roma ha emesso una sentenza (12261/2013) in un processo intentato da Cesare Previti contro la Wikimedia Foundation. Nella causa, Previti sosteneva che la versione della voce su di lui nell’edizione in italiano di Wikipedia fosse “pettegolezzo pseudo giornalistico alimentato dall’opera di soggetti […] assolutamente inattendibili”, contenendo affermazioni inesatte e diffamanti, e che quindi Wikimedia Foundation dovesse essere responsabile di fronte alla legge italiana per aver fornito un luogo che consente la pubblicazione di contenuti presumibilmente diffamanti. Il giudice ha respinto l’accusa, affermando che «ai sensi delle leggi italiane, la Wikimedia Foundation è un fornitore di hosting piuttosto che di contenuti e come tale non può essere ritenuta responsabile dei contenuti scritti dagli utenti individuali».
La sentenza è solo di primo grado, ma è molto interessante – oltre che essere stata rapida, essendo stata avviata il 30 gennaio. Innanzitutto la prima citazione era stata fatta non solo a WMF ma anche a Wikimedia Italia: gli avvocati di Previti hanno poi però riconosciuto che noi non abbiamo nulla a che fare con la gestione delle pagine dell’enciclopedia. La seconda cosa è che nella sentenza viene esplicitamente scritto che «[Wikimedia] offre un servizio basato proprio sulla libertà degli utenti di compilare le voci dell’enciclopedia: è proprio questa libertà che esclude l’obbligo di garanzia e che trova il suo bilanciamento nella possibilità lasciata a chiunque di modificarne i contenuti e di chiederne la cancellazione […]»: dunque, non solo si fa vedere che Wikipedia afferma esplicitamente di non poter garantire la veridicità dei dati, ma che un’ulteriore garanzia è data dalla possibilità di correggere eventuali errori trovati (naturalmente se la voce non è protetta).
Ciò che forse non è chiaro è che il tribunale non è (giustamente) entrato nel merito delle affermazioni riportate nella voce. Vorrei che fosse ben chiaro che se effettivamente ci sono delle frasi diffamatorie, chi le ha scritte ne è responsabile penalmente, e presumo che WMF avrebbe fornito eventuali log per poter risalire all’utenza: ma non era questo l’oggetto del contendere. Spero che questa sentenza sia un buon viatico per la causa Angelucci che si trascina ormai da quattro anni (e dove tra l’altro le affermazioni contestate erano titoli di articoli su Corriere e Repubblica…)
Aggiornamento: giuro che mentre scrivevo non avevo saputo di questa notizia.
Aggiornamento 2: (28 giugno) sempre per i casi della vita, Luca Sileni mi ha segnalato come il giudice ha applicato gli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 70/03 (Responsabilità nell’attività di memorizzazione di informazioni-hosting; Assenza dell’obbligo generale di sorveglianza), promulgato dal governo Berlusconi 2.

Kal dos Santos e le notizie che non si leggono

Domani (venerdì 28 giugno) alle 18:30 si terrà in largo Fratelli Cervi a Milano un presidio di sostegno sensibilizzazione promosso dall’Associazione Culturale Arci Mitoka Samba dopo l’aggressione subita il 19 giugno scorso dal percussionista brasiliano Kal dos Santos: potete leggere un resoconto dei fatti sul sito del Mitoka Samba.
Dos Santos non lo conosco, ma la zona sì, visto che ci passo in bicicletta tutti i giorni per andare in ufficio. Ma ci sono altre due cose che dal comunicato non traspaiono e mi paiono preoccupanti allo stesso modo. La prima è che – anche nel caso che dos Santos avesse in effetti dato uno schiaffo a quel bambino – continui a sembrare una cosa normale andare “a farsi giustizia da soli”. La seconda è che di tutta questa storia non si è letto nulla sulle pagine locali dei giornali. Io sono un tipo che pensa sempre male, ma ho come il sospetto che se gli aggressori non fossero stati italiani se ne sarebbe parlato eccome: e questo non mi pare affatto bello.

puccyness

Visto che la prossima settimana ci traslocano di ufficio, sto buttando via pacchi di roba che non ho toccato in tutti questi anni.
Aprendo una borsa, ho trovato la documentazione di un corso di Project Management che ho fatto il 13 e 14 giugno 2002. La docente del corso è quella che un anno e mezzo dopo divenne mia moglie. (Sì, ci siamo conosciuti all’Aquila, all’allora Scuola Superiore Guglielmo Reiss Romoli).
Ci sono anche i miei appunti, scritti con una grafia incredibilmente leggibile, con chicche tipo la frase

[esercitazione, ma io facevo il guardone]

(nel senso che l’esercitazione era su un problemino di problem solving: quando l’insegnante spiegò il problema io commentai “lo conosco, quindi non posso mettermi a fare lavoro di gruppo per risolverlo!”) Ero già un rompipalle dieci anni fa: ma questo lo immaginavate, vero?

Attacco spam sul blog

È da ieri che sta arrivando un attacco molto più pesante del solito (non ve ne accorgete perché cancello subito i commenti). Anzi gli attacchi sono due, perché uno è in italiano quasi corrente mentre il secondo è come al solito in inglese. Quello che stupisce è che stiano usando post nuovi, addirittura quello di stamattina su Europeana (che al momento ha commenti bloccati per ovvie ragioni).
Vi terrò informati.

Europeana e fondi

Europeana ha pubblicato un appello (in inglese, francese e tedesco, chissà come mai non in italiano) perché si tenga conto di loro nel budget complessivo dell’Unione Europa per gli e-progetti, che a quanto pare a partire dal 2015 sarà tagliato da 9 miliardi a uno (e dovrebbe ottenere fondi via le “Telecom Guidelines of the Connecting Europe Facility”… già il nome mi preoccupa).
Europeana, se non lo sapete, è una specie di aggregatore di contenuti culturali europei. Le petizioni non servono a molto, e non sono nemmeno certo che il semplice modello di Europeana (che non spinge le istituzioni a rendere disponibile il loro materiale per tutti gli usi) sia quello migliore. Però ho ancora dei dubbi sulla capacità degli strumenti puramente automatici (leggi Google) a indicizzare questo tipo di contenuto in maniera intelligente: qui abbiamo l’opposto del SEO. In definitiva, fate quello che volete, ma almeno siate informati.