io e BikeMi

Il mese scorso ho attivato l’abbonamento BikeMi. Poi non mi è mai capitato di prendere la bici, almeno fino a oggi: in fin dei conti una bicicletta ce l’ho bene. Ieri sera però pioveva e la bici è rimasta in ufficio, così stamattina ho pensato di provare l’ebbrezza del mio primo uso della tessera.

Beh, la stazione più vicina dall’asilo (e da casa, se per questo) è quella in viale Zara a quasi un chilometro e mezzo, ma questo ovviamente lo sapevo. Arrivo, guardo il display dove c’è scritto di inserire codice e password, li inserisco. Poi guardo il display grande col monitor e leggo che la stazione è momentaneamente fuori servizio. Clicco su “annulla” e passo a quella successiva in piazzale Lagosta. Arrivo, rifaccio il tutto, guardo sul monitor grande e leggo “tessera bloccata”. Ah. Mi avvio verso l’ufficio – ormai prendere i mezzi non vale la pena – arrivo in Melchiorre Gioia e decido di riprovarci ancora. Stavolta guardo prima il monitor grande e scopro che posso avvicinare la tessera senza digitare il codice. Bene, penso, avvicino e guardo il monitor per sapere quando inserire la password; per una decina di secondi appare un enorme 3, poi niente. Riavvicino la tessera: mi dice che sto già usando la bici. A questo punto mi dico “sta a vedere che il 3 era il numero della bici da prendere!”, cosa che in effetti era. Risultato: è evidente che comincio ad avere dei forti problemi con la tecnologia e la lettura delle istruzioni, anche se continuo a pensare che avere una tessera che funziona senza password o pin è un’idiozia dal punto di vista della sicurezza.

La bici com’era? Mah. Non ho capito se il campanello era rotto oppure funziona facendo ruotare la coroncina sotto. I freni sono molto teorici, nel senso che rallentavano ma sarebbe stato impossibile inchiodare. Mi ha stupito che la bicicletta avesse tre rapporti, e mi ha stupito ancora di più scoprire che il rapporto più duro è davvero duro: non ne capisco l’utilità in città dove ci si ferma a ogni istante… In generale non so quali siano i flussi d’uso (sì, mi ricordo che avevo visto un sito che li mostrava, ma non ricordo il nome del sito) però non mi pare utile che non si esca dalla cerchia della 90/91 da un lato e ci siano stazioni a cento metri di distanza dentro quella cerchia. Probabilmente qualche stazione in punti strategici al di fuori del centro permetterebbe di fare percorsi radiali non serviti bene dai mezzi: chissà che succederà per Expo.

‪#‎laradiofa90 (in ritardo)

Da quando ho capito, domenica era il novantesimo anniversario della radio e l’hashtag qui nel titolo (insieme a #laradiofa90) raccoglieva vari contributi. Come sempre sono in ritardo, ma due parole le vorrei dire anch’io.

Direi che le mie prime esperienze radiofoniche risalgono al 1980 (o forse al 1981), mentre ero un giovane liceale dai salesiani a Valsalice. I salesiani avevano anche una radio (non mi ricordo se Radio Proposta o Radio Incontri: le due poi si sono unite un paio di anni dopo, per questo il mio neurone non riesce a scinderle), don Bellone che ci insegnava italiano teneva una trasmissione sui personaggi della storia torinese immortalati nelle targhe delle vie subalpine e ogni tanto ci portava al Rebaudengo a raccontare i risultati delle nostre ricerche, che nell’era Avanti Wikipedia erano piuttosto complicate da svolgere. Un paio di volte è così toccato anche a me, e ho più o meno imparato a capire che bisogna stare attenti a non parlare addosso agli altri (e addosso a sé stessi, a meno che uno lo faccia come cifra stilistica…)

Zoom avanti di trent’anni: dopo un paio di partecipazioni a Tre metri sopra il CEPU l’anno scorso mi è capitato di fare l’ospite fisso a Radio Popolare: con il nome d’arte di Wiki Maus facevo finta di raccontare voci di Wikipedia all’interno di Big Fish ma in realtà triettavo con Disma Pestalozza e Jam Kesten. Ammetto di non avere mai avuto nessuna fan che si è appalesata, ma in ogni caso mi sono divertito davvero tanto.

Il punto è che a me la radio piace, per lo stesso motivo per cui mi piacciono i libri (mentre con televisione e cinema il mio feeling è vicino a zero). La radio, sia davanti ai microfoni che ascoltata, è qualcosa che mi lascia libero e a mio agio, e mi fa vedere le cose con la testa anziché con gli occhi (che come ben sa chi mi conosce di persona non è che siano proprio il massimo…)

“sentinelle dell’Illinois”

Io non sono affatto d’accordo sul motivo per cui le sedicenti [*] Sentinelle manifestano. Però ritengo che abbiano pieno diritto di manifestare in quel modo, cioè silenziosamente e in modo non violento. Parallelamente però ritengo anche che il “nazista dell’Illinois” Giampietro Belotti avesse lo stesso diritto di contromanifestare come ha fatto, vestito da Grande Dittatore. (Ecco: non avrei usato il Mein Kampf, però. Non serviva a caratterizzare la protesta). Il punto è sempre il solito: spesso i diritti sono in conflitto tra di loro, e bisogna fare una scelta. Posso essere contrario ai matrimoni tra persone dello stesso sesso [**], ma devo avere il diritto di esprimere questa mia convinzione in maniera civile. Posso essere contrario alle Sentinelle in piedi, ma devo avere il diritto di esprimere questa mia convinzione in maniera civile.

[*] nel senso etimologico del termine
[**] per la cronaca io sono contrario al fatto che un matrimonio cattolico abbia automaticamente effetti civili. Per quanto riguarda i matrimoni civili, per me possono essere tra un numero qualunque di persone di qualunque sesso. Se volete, non chiamiamolo più “matrimonio”, così tagliamo la testa al toro.

Era lunedì mattina

Ieri mi hanno probabilmente fregato il ciclocomputer. Dico “probabilmente” perché ho un pallido ricordo di averlo tolto prima di entrare in pizzeria, ma non l’ho più trovato. Vabbè, mi sono detto, tanto ne ho uno uguale di scorta, sempre made in Lidl. Ieri sera lo cerco nell’ordine che regna sovrano a casa mia dove Anna non ha accesso e stamattina lo attacco al posto del vecchio. Peccato che non si accenda. Ma come, penso: è identico all’altro, si infila alla perfezione e non va?

Arrivo in ufficio e ne parlo col mio esperto di fiducia che subito mi fa: ma c’è la pila? Il bello è che avevo anche provato ad accenderlo prima di inserirlo, e non mi era mica venuto in mente che c’era qualcosa che non andava…

_Breve storia della filosofia_ (libro)

[copertina]Di filosofia nel mondo occidentale se n’è fatta tanta, nei due millenni e mezzo abbondanti nei quali ci siamo occupati di tramandarla. Questo significa che una storia della filosofia è un’opera improba, a meno che non si scelga di avere un’enciclopedia oppure fare una cernita molto pesante. A questo punto il discorso passa su um altro tema: in che modo fare la cernita. Nigel Warburton, uno dei più noti “filosofi divulgativi” (esisterà il concetto?) britannici, ha pensato di fare pillole di filosofia: in questo libro (Nigel Warburton, Breve storia della filosofia [A Little History of Philosophy], Salani 2013 [2011], pag. 267, € 14,90, ISBN 9788867151103, trad. Laura De Tomasi) ciascun filosofo viene trattato in quattro o cinque pagine, un po’ come dire in un post un po’ più lungo della media. (L’unica eccezione è Kant che otttiene ben due capitoli; inoltre spesso più che di un autore si parla di una scuola, e quindi i filosofi nel capitolo sono più di uno). La seconda caratteristica del libro è che nasce come una collana, nel senso di successione logica: alla fine di ogni capitolo Walburton si inventa un modo per tirare fuori il nome del filosofo del capitolo successivo. (e l’ultimo capitolo ci riporta a Platone con cui si apre l’opera…) Diciamo che non gli riesce sempre così bene…
Il testo è naturalmente molto semplicistico, e tende a evidenziare un singolo punto nel pensiero di ciascun filosofo, lasciando spesso in sottofondo le relazioni tra i vari pensieri. C’è però di buono che tardo Ottocento e Novecento sono trattati molto ampiamente, il che è utile per quelli come me che hanno una formazione scolastica e si sono fermati più o meno a Hegel. La traduzione di Laura De Tomasi mantiene lo stile leggero che contraddistingue l’opera, ma non posso perdonarle di avere usato il genere maschile per George Eliot e subito dopo aver massacrato un limerick (che chiaramente non è stato definito come tale)…

Google e i giornali (tedeschi)

Leggo sul Post (sono andato anche sul blog tedesco di Google, ma ammetto che è stato troppo difficile per me e non mi sono fidato di usare un traduttore automatico) che dalla prossima settimana Google.de non mostrerà più le anteprime delle notizie di vari giornali tedeschi, a partire da Bild. Motivo di tutto questo? Una recente legge tedesca che afferma che titolo e link sono liberamente utilizzabili, mentre per anteprime e ritagli occorre chiedere il permesso e acquisire i diritti dalle società editrici. Google ha detto “Bene: o mi date gratuitamente il diritto, oppure vi scordate che io vi dia dei soldi. Nel secondo caso mi limiterò a mettere titolo e link, come mi è permesso senza dover chiedere nulla”.

Chi ha ragione in tutto questo? Boh. Diciamo che se Google non avesse messo neppure titolo e link alle notizie allora avrebbe sicuramente avuto torto, ma sono stati abbastanza furbi da non farlo. Tra l’altro non so neppure cosa succederà con gli altri motori di ricerca: se per esempio Axel Springer decidesse di permettere a Bing di inserire gli snippet a Bild senza pagare, o pagando una cifra simbolica, Google avrebbe il diritto di ricorrere in tribunale per discriminazione? Vedendo le cose da un altro punto di vista, qual è la quantità di informazione che risulta sufficiente per un lettore, e quindi non lo invita a cliccare effettivamente sul link e andare sul sito del giornale – che a questo punto può guadagnare qualcosa con la pubblicità sul proprio sito? Certo, esistono giornali che ormai non hanno titoli ma click-bait, come raccontavo qualche mese fa: una rapida occhiata a Bild mi ha fatto capire che in Germania non siamo ancora a questo livello ma non si sa mai cosa potrà capitare tra poco. Per quanto mi riguarda, credo che ci sia una bella differenza tra venire a sapere una notizia e leggere un articolo, e non capisco perché io debba fare un clic in più nei molti casi in cui quello che mi importa è solo la prima cosa; ma magari è colpa mia, che voglio tutto e subito. Voi che ne pensate?

Non sono così originale

Dopo non so quanti anni, Telecom mi ha assegnato un bel furbofono: il Sony Xperia Z2 (“la piastrella”). Sto ancora cercando di abituarmi all’interfaccia Android, che in un paio d’anni è incredibilmente migliorata; ma quello che mi ha davvero stupito è l’autocompletion.
Sul vecchio tablet (“il racchettone”) funzionava sì e no, più no che sì; qui mi indovina la parola dopo tre o quattro lettere, senza che io abbia ancora scritto chissà cosa.
Insomma, mi sa che la mia prosa non sia così frizzante come pensavo…

(però postare da furbofono come sto facendo ora è sempre una mezza chiavica, intendiamoci)

mi hanno sbagliato il nome :(

Innanzitutto, dovete sapere che giovedì 16 ottobre alle 15 sarò a Settimo Torinese – Biblioteca Archimede, sala Levi – per fare una chiacchierata matematica nell’ambito della seconda edizione del Festival dell’Innovazione e della Scienza.

Detto questo, sappiate che nonostante quanto scritto nella brochure non mi sono mai chiamato Paolo. (Ovviamente me ne sono accorto solo ora, mica faccio ricerche di ego surfing con un altro nome!)