nemesi

Come sapete, io vado a lavorare tutti i giorni in bicicletta, e tendo a usare l’auto il meno possibile: troppa fatica. Ieri mattina però dovevo portare i quasiseienni a una festa di compleanno in zona in-fondo-a-viale-Monza. In linea teorica avrei potuto aspettare il giusto, infilarli sulla 51, fare tre quarti d’ora di giro turistico nel nord Milano e arrivare a destinazione; all’atto pratico ho pensato che forse era meglio fare un quarto d’ora di macchina.
Caricatili e partiti, arrivato sul ponte di via Breda ho visto una coda insolita e in cima al ponte mi è parso di vedere dei ciclisti. Vabbè, penso, passiamo al piano b: passo dalla Bicocca, faccio via Sesto e rientro in viale Monza. Sceso dal cavalcavia successivo mi ritrovo gli stessi ciclisti che stanno passando, e una fascia biancorossa che mi impedisce di andare verso viale Monza. Vabbè, penso, faccio inversione, passo sotto il cavalcavia e rientro dopo. Beh, no: la sfilza del cyclopride occupava tutta la carreggiata opposta di via Breda (con degli sconfinamenti sulla mia carreggiata) e quindi ho aspettato dieci minuti la fine del gruppo per potere svoltare a sinistra, con un po’ di idrocarburi incombusti regalati all’ambiente e i due giovani che sono diventati fieri oppositori della bicicletta (li avreste dovuti sentire lamentarsi ad alta voce… fortuna che i finestrini erano chiusi). In effetti anche andare col bus avrebbe sortito lo stesso effetto, quindi non è che la scelta dell’auto fosse stata perdente; mi manca solo la controprova a cui avevo anche pensato, di parcheggiare cioè l’auto e tentare di attraversare il serpentone di bici che SICURAMENTE avrebbe fatto passare i pedoni.

Quizzino della domenica: guardatemi!

Il Minuscolistan ha un esercito adeguato alle sue dimensioni: le nuove reclute sono meno di 50. Peggio ancora, il loro addestramento non è dei migliori: quando il sergente li ha messi tutti in fila e ha gridato “Fianco sinistr!” alcuni soldati si sono girati a sinistra, altri a destra e altri ancora hanno fatto dietrofront.
Secondo voi, è sempre possibile per il sergente posizionarsi da qualche parte in mezzo alla fila in modo tale che il numero di reclute che lo guardano da ciascun lato sia lo stesso?

((un aiutino lo trovate sul mio sito, alla pagina http://xmau.com/quizzini/p170.html; la risposta verrà postata lì il prossimo mercoledì. Problema tratto dalla Moskow Mathematical Olympiad 2002, vedi anche Futility Closet)

_The Science of Discworld IV_ (libro)

9780091949808Quarto – e presumibilmente ultimo… – volume della scienza del mondo disco, questo libro (Terry Pratchett, Ian Stewart, Jack Cohen, The Science of Discworld IV : Judgement Day, pag. 324, Lst. 7,99, ISBN 978-091-94980-8) mi ha un po’ deluso. La ragione è presto detta: mentre i libri precedenti spiegavano ciascuno un tema ben specifico – rispettivamente lorigine dell’universo,la nascita delle cultuhre e la teoria darwiniana dell’evoluzione – in questo caso non vedo un tema vero e proprio, ma più che altro un aggiornamento di quello che era stato scritto in precedenza. Questo porta i due – Pratchett come sempre si limita alle paginette della storia del Discworld che fa da cornice e spunto alle spiegazioni scientifiche – a essere molto più aneddotici, e fin qui nulla di male; ma li porta anche a spingersi a volte un po’ troppo oltre la scienza. Prendiamo per esempio la loro refutazione del principio antropico. Non ci sarebbe stato nulla di strano se avessero parlato del principio antropico forte, quello per cui l’universo è fatto così perché è fatto per noi; ma hanno scientemente aggiunto al mucchio il principio antropico debole, quello che dice che l’universo è fatto così perché siamo noi a poterlo vedere e non afferma nulla su altri possibili universi: gli è insomma piaciuto giocare facile. In definitiva, se non siete dei completisti forse vi conviene leggere gli altri tre volumi e tralasciare questo.

sempre più vicini al limite

Ricordate il mio primo libro, Matematica in relax? È ancora in commercio, anche se il numero di copie vendute è naturalmente minuscolo: nel 2014 ce ne sono state poco più di cinquanta in cartaceo e quasi quaranta in elettronico. Questo significa che avrei guadagnato una minuscola cifra per diritti d’autore: in media poco più di cinquanta centesimi per libro.
Però per questo libro io nel 2010 ho avuto un anticipo, e quindi i diritti vengono man mano scalati da questo anticipo fino a che il mio saldo diverrà positivo. Bene: speravo di essere passato in nero, e invece no. Il mio saldo a fine 2014 è in debito per 7,75 €. Mi sembra di essere in uno dei paradossi di Zenone (non quello di Achille e della tartaruga, perché il punto di arrivo è fermo)…

La Treccani ai tempi del web

Ieri su Repubblica è apparso un articolo, «La Treccani ai tempi di Wikipedia conquista il web», dove Riccardo Luna racconta come il portale Treccani sta per raggiungere il milione di voci disponibili gratuitamente per tutti. «E soprattutto, certificati. Autorevoli. Niente bufale.», continua Luna che per l’occasione ha intervistato il direttore generale della Treccani, Massimo Bray. Bisogna dire che i tempi sono proprio mutati: ancora qualche anno fa Wikipedia anelava a confrontarsi con la Treccani, mentre ora le parti si sono invertite ed è la nonagenaria enciclopedia che spiega come essa sia molto meglio della giovane concorrente, mettendosi persino a competere sulla quantità. Detto tra noi, le gare a chi ce l’ha più lungo (l’elenco di voci) mi sembrano stupide: sarei molto più felice se l’impegno nel creare nuove voci di Wikipedia fosse invece usato per migliorare quelle esistenti, ma un limite dell’enciclopedia libera è che nessuno può essere costretto a fare qualcosa che non gli interessi. E per il resto?

Come espresso molto bene dal presidente di Wikimedia Italia Andrea Zanni al termine di quell’articolo, «Se Treccani davvero mette contenuti autorevoli in rete, rende più facile il nostro lavoro, per noi sono una fonte». (Io avrei cambiato l’interpunzione, ma il concetto resta quello). Luna e Bray hanno ragione quando affermano che consultando la Treccani – la veneranda enciclopedia cartacea di cui è appena uscito l’ultimo aggiornamento, oppure i nuovi prodotti editoriali – si trovano risultati senza bufale, nel senso di informazioni false inserite appositamente da qualcuno; risultati certificati, data la redazione pagata e che ci mette il nome. Sulla sua autorevolezza poi non credo che ci siano dubbi. Qualcosa però non mi torna.

Ieri sera, mentre scrivevo questo articolo, il portale permetteva una “Ricerca tra 997.531 lemmi e vocaboli”. Lemmi e vocaboli non sono la stessa cosa: questi ultimi sono infatti molto più semplici da certificare, come si può immaginare facilmente prendendo un dizionario. È un lavoro fatto più o meno una volta per tutte: certo, un vocabolo può assumere un nuovo significato oppure può nascere un neologismo, ma sono casi percentualmente molto ridotti. Lasciamo fuori dal conto un 200.000 vocaboli e concentriamoci sugli 800.000 lemmi. Un vecchio articolo di quattro anni fa indicava in 300.000 il numero di lemmi a disposizione, esclusi vocabolario e dizionario biografico (che a detta della Treccani ha 30.000 voci: nei nostri conti spannometrici possiamo tralasciarle).

Vediamo insomma che in quattro anni è stato certificato mezzo milione di voci. Notate che non ho scritto “creato”: il punto di forza della Treccani, come detto sopra, è la sua certificazione e il controllo dei testi. Quanto tempo ci vuole a certificare e controllare una voce? Un’ora mi pare una buona stima: scendere troppo nel tempo significa limitarsi a copiare senza andare a verificare. Mezzo milione di ore in quattro anni significa 125.000 ore l’anno, il che a sua volta significa 60 persone che a tempo pieno hanno condotto quest’opera indubbiamente meritoria. Beh, forse non è proprio così, se sono vere le notizie di appalti esterni che effettivamente permetterebbero di arrivare a questi numeri. Non so. Come italiofono preferirei di gran lunga avere meno voci nella Treccani ma essere certo che esse siano ben curate: a questo punto le preferirei a quelle di Wikipedia pur sapendo che saranno inevitabilmente meno aggiornate.

Post scriptum: non ho scritto a caso quella definizione di bufala. Ci possono essere errori in buona fede in qualunque enciclopedia, per quanto essa sia curata. Prendiamo per esempio il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Secondo la Treccani, Mattarella «[h]a militato nell’Azione cattolica e nella Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI).». Persino secondo la FUCI stessa, la sua formazione è stata «all’interno dell’associazionismo cattolico, della Gioventù Italiana di Azione Cattolica e della FUCI». La voce di Wikipedia però non reca traccia di tale militanza. Come mai? Semplice. Come alcuni wikipediani mi hanno fatto notare, c’è tutta una discussione in proposito nella quale si fa notare come non ci siano fonti ufficiali al riguardo, e che anzi Mattarella a quei tempi era dirigente GIAC e appare dunque improbabile che fosse anche membro di un’associazione concorrente seppur nella tradizione cattolica. Pare inoltre che la prima attestazione di una sua appartenenza alla FUCI… sia stata una bufala su Wikipedia: un’aggiunta di un utente anonimo non supportata da fonti, e che presumibilmente è stata citata dai vari media prima di essere ripresa dalla Treccani, che ancora a ottobre 2014 non aveva molti dati. Mettiamola così: Wikipedia le bufale riesce spesso a eliminarle.

Aggiornamento: Consiglio anche la lettura di questo pezzo di Luca Corsato che tratta l’argomento da un punto di vista imprenditoriale.

_Superfici ed essenze_ (libro)

[copertina] Del contenuto originale dell’ultimo libro di Hofstadter e Sander (Douglas Hofstadter ed Emmanuel Sander, Superfici ed essenze : L’analogia come cuore pulsante del pensiero, Codice Edizioni 2015, pag. 623, € 40, ISBN 9788875785260) ne ho già parlato quando uscì un’edizione originale; un’opera monumentale in cui gli autori spiegano perché a loro giudizio noi impariamo a conoscere il mondo e a pensare grazie all’analogia. Mi limito quindi a parlare della sua traduzione, riprendendo quanto scritto da Hofstadter nella prefazione all’edizione italiana.
Perché ho scritto UN’edizione originale, usando l’articolo indeterminativo? Semplice. Il testo originale è stato scritto contemporaneamente in inglese e in francese, e quanto scritto inizialmente in una lingua influenzava quello che veniva ri-scritto nell’altra. Ma usare una lingua oppure un’altra influenza come si scrive il testo, senza contare che anche la diversità della cultura (americana e francese) richiedeva a volte esempi diversi e infine che alcune sezioni, come quella degli “errori di sbaglio” pronunciati involontariamente, dovevano necessariamente essere pensate in una specifica lingua. Nor era dunque possibile una traduzione standard: per ciascuna sezione si è dovuto verificare qual era la versione linguistica originale più vicina a quello che poteva provare un lettore italiano, e in certi casi si è direttamente riscritto il testo à l’Hofstadter&Sander. La speranza è che come nelle edizioni originali non si sa quali siano i contributi di ciascun autore così nella traduzione italiana non si capisca quali siano le parti non tradotte ma adattate.
Termino con un easter egg. L’esempio che apre il capitolo 7 parla di un bambino di nome Jacopo. Nella traduzione in genere si è scelto di lasciare in lingua originale i nomi di persone davvero esistenti, e di rendere in italiano quelli che invece erano usati come esempio; ma in questo caso Jacopo è proprio mio figlio, che nel periodo in cui stavo traducendo il libro fece esattamente quell’affermazione mentre mi stavo facendo la barba (e aveva proprio quell’età!).

INVALSI

Oggi – con un giorno di ritardo dovuto allo sciopero indetto dai sindacati della scuola – iniziano le prove Invalsi. Segnalo questo post di Giorgio Israel della settimana scorsa, e rimarco soprattutto i punti 1, 2 e 3 (gli altri due sono molto più politici, e li lascio a chi di politica se ne intende).

In passato ho visto i problemi Invalsi e non mi sono dispiaciuti. Il guaio però non è tanto nei problemi in sé quanto nel significato che si vuole loro dare. Per come la vedo io, i risultati dovrebbero essere del tutto anonimi, e quindi non contare per il giudizio né degli studenti, che altrimenti rischiano di essere valutati per la capacità di risolvere quiz e non per quello che hanno studiato, né tanto meno degli insegnanti, che altrimenti sono incentivati a barare e aiutare i loro allievi. Senza il timore del voto e dei giudizi personali sarebbe invece possibile avere un’idea delle differenze statistiche e dei punti di forza e di debolezza, e quindi pensare eventualmente a migliorare i programmi per tenerne conto. Non dovrebbe essere così complicato, no?

D’accordo la libertà di satira, ma…

Io sono un convinto assertore del fatto che si possa fare satira su Maometto o Gesù Cristo o George W. Bush (o Matteo Renzi, se per questo). Però quando leggo della sparatoria in Texas qualche dubbio mi viene eccome.
Dal mio punto di vista la satira è libera: fare un concorso su un certo tipo di satira, qualunque esso sia, la rende immediatamente meno libera. E non state a dirmi che nessuno è obbligato a partecipare al concorso: il vincolo c’è comunque lì a priori. Altra cosa sarebbe definire a posteriori un premio per la migliore vignetta sul tema XYZ: ma questa è appunto una scelta a posteriori…