ladri di computer

Dieci minuti fa passa qui nel mio loculo il consulente che gestisce le nostre dotazioni informatiche, chiedendomi se posso guardare il mac address del mio portatile. Apro il cassetto: il pc non c’è. Qualcuno me l’ha fregato, in un periodo non meglio identificato tra Natale e oggi (sì, non lo uso molto).
La grande fregatura è che adesso devo fare denuncia e cercare tutti i dati identificativi, il tutto per un computer che mi era stato dato a metà 2001, che è stato sempre scassato e scalda come un disperato, la cui batteria non funziona e nel quale non mi pare di avere dati di un qualunque interesse. Ve l’avevo detto che non lo usavo, no? Né credo me ne daranno uno nuovo in cambio, nel qual caso avrei quasi potuto essere felice…

(l’ex) blog di Luttazzi

A me buona parte della comicità di Luttazzi non piace. Non ci posso far molto, la trovo troppo greve. Intendiamoci: questa non è affatto una scusa per l’ostracismo televisivo che lo ha colpito: non certo per quel tipo di battute, altrimenti il Bagaglino avrebbe dovuto chiudere da anni, ma per avere osato parlare di Silvio non come voleva Silvio.
Ciò premesso, aggiungo che ho sempre ammirato l’intelligenza del comico, e ne ho avuto un altro esempio. Luttazzi aveva un blog, che io non seguivo come del resto non seguo quello di beppegrillo™. Bene. prima avvisa i lettori che lo vogliono come leader politico che lui non ha nessuna intenzione di esserlo; Poi evidentemente ci ha pensato su e ha deciso di chiudere il blog, avendo notato “che un blog tende ad assecondare le derive populistiche ( di chiunque )”, e che torna a fare il suo lavoro. Complimenti, davvero.
(Per chi è arrivato fino a qua: sì, dissento da Mantellini; sì, anche io ho derive populistiche, anche se in sessantaquattresimo)
Aggiornamento (15/1) come volevasi dimostrare, c’è chi è dell’idea completamente opposta.

Abbreviazioni SMS

Gli SMS li conosciamo tutti. Centosessanta caratteri massimo, da scrivere facendo contorsionismi fisici sulla tastiera del telefonino e mentali per evitare di sbrodolare e terminare lo spazio.
Per il primo problema, è stato inventato il T9: tu schiacci i tasti corrispondenti alle lettere e il telefonino dovrebbe indovinarti la parola. A volte sbaglia, consciamente o inconsciamente (stamani mi è stato detto che quando digiti “Motorola” scrive “Motosola”, e non gli darei nemmeno troppo torto), ma chi lo usa ne è estasiato. Io non ci riesco proprio, è un mio blocco mentale, ma riconosco che è un problema mio: ci convivo senza patemi.
Il secondo problema viene “risolto” con una serie di abbreviazioni più o meno incomprensibili ai non iniziati: a capire che che nn sia “non” e xkè “perché magari ci si arriva, ma sfido chiunque a decrittare tvcbcnpvsdt. Gli è che mentre per il T9 la scelta è personale, con le abbreviazioni chi ci perde tempo sono io che devo fare partire i miei neuroni per qualcosa di francamente inutile (chi ha ricevuto miei messaggini sa che io ci infilo dentro di tutto con sintassi impeccabile).
Ma il dubbio che non sono mai riuscito a togliermi è un altro: come diavolo fa la gente a fare abbreviazioni mentre usa il T9? gliele insegna? spreca più tempo ad accettare le forme sconosciute? Spiegatemelo, fatemi dormire tranquillo la notte!

niente brogli elettorali

Stante il clamoroso calo dei voti per la FIStel/Cisl (che da 3+1 è passata a 1+1 eletto) posso starmene tranquillo: non sono passato. Beh, sì, sono secondo a pari merito (i voti sono stati molto sparsi, quindi il fatto che ci sia stato un blocco di persone a votarmi qua a Rozzano ha falsato il tutto). Il fatto è che i “+1” indicano i componenti designati dalle organizzazioni sindacali, che possono scegliere chi vogliono: visto che comunque il mio ex-aequo è interessato alla cosa, non vedo perché togliergli il divertimento, no? In fin dei conti ho già dato a suo tempo.
Vedremo piuttosto che cosa capiterà di qui ai prossimi mesi, quando bisognerà giocare sul serio.

I numeri dell’universo

[copertina]
Perché i numeri “naturali” – vale a dire non quelli antropomorfi, ma quelli ricavati dalle costanti di natura – sono così enormi o minuscoli? E queste “costanti”, sono davvero costanti? Sono indipendenti tra di loro? E cosa succederebbe all’universo se i loro valori fossero diversi? A tutte queste domande cerca di dare una risposta John Barrow in questo suo saggio dal titolo purtroppo maltradotto (John D. Barrow, I numeri dell’universo [The constants of Nature, from Alpha to Omega], Mondadori – Oscar Saggi 2004 [2002], pag. 326, €8.80, ISBN 8804532483, trad. Tullio Cannillo) che così ripercorre la fisica teorica del ventesimo secolo, fino ad un accento della teoria delle superstringhe, dove veniamo a scoprire che il nostro universo potrebbe avere tutta una serie di dimensioni spaziali “impacchettate”. La prosa di Barrow è davvero accattivante e ben tradotta, e permette al lettore di farsi un’idea davvero chiara di quale sia il significato intrinseco delle varie teorie scientifiche, e di perché il principio antropico (il fatto cioè che viviamo in un universo perfettamente adatto alla vita) non sia necessariamente una stranezza. Mi resta però qualche dubbio su tutte le citazioni alle precedenti opere di Barrow, quasi come se volesse dire che non sta bene leggere questo suo libro senza sapere tutto il resto…

Fenomenologia delle sottomarche

Non lo metto sotto la categoria pipponi, perché non ho voglia di scriverci troppo; però l’idea mi è piaciuta molto, e credo che meriti quel zinzinino in più di visibilità.
Via Leibniz, sono passato a leggere questo simpatico articolo che spiega che da Starbucks è possibile chiedere un cappuccino quasi vero – nel senso che la quantità di latte è più o meno quella di un cappuccino, non come il solito – e che costa anche meno; però per chiederlo devi sapere che esiste, perché non lo vedi nel menu né è presente nel sito della società. Che ce ne importa a noi italiani che Starbucks non ce l’abbiamo, mi chiederete? Importa, importa.
L’articolo su Slate spiega infatti una cosa che almeno a me non era mai venuta in mente. Da una parte le aziende vogliono ovviamente massimizzare i loro profitti e quindi alzare i prezzi, dall’altra non possono esagerare, perché i loro clienti possono decidere di non comprare la loro merce e rivolgersi alla concorrenza. Quindi l’azienda può decidere di fare più linee di prodotti, una più cara e una meno cara. Ma a questo punto sorge un nuovo problema: magari molta gente, che non avrebbe problemi a prendere l’oggetto più caro se quello fosse l’unico, se trova quello meno caro si accontenta di quello, col risultato di fare perdere utili all’azienda. Che si fa allora? si imbruttisce volontariamente l’oggetto meno caro, in modo da disinvogliare chiunque abbia un minimo di possibilità economiche a prenderlo.
Nell’articolo veniva fatto l’esempio dei supermercati inglesi Tesco, che hanno una linea di “value products” (che non sono “di valore” nel senso di “costosi”, ma “di ottimo prezzo”) in confezioni bruttissime. A loro non costerebbe molto prendere un designer e fare confezioni più carine, ma poi correrebbero il rischio che la gente inizi a comprarli. Vogliamo fare un esempio nostrano? Trenitalia permette ancora di usare i treni interregionali, ma li nasconde accuratamente se qualcuno fa una ricerca in rete e costringe comunque il viaggiatore a fare cambi azzardati. Se proprio vuoi risparmiare, insomma, ce la puoi ancora fare; ma solo se sei costretto a farlo.

<em>Alice, una meraviglia di paese</em>

In cartellone al Piccolo non c’è più, anche perché lo spettacolo ce lo siamo visti sabato scorso, nella famosa Sauna Grassi, nella penultima rappresentazione milanese.
Lella “Duracell” Costa, braccia strappate all’agricoltura (ha sicuramente più muscoli di me. Però in quel vestito stava davvero bene, almeno per quanto sono riuscito a vedere dall’ultima fila), parla a mitraglia per un’ora e mezzo di fila, partendo da Alice per passare a Peter Pan e a una triste ballata sui bambini che non possono vivere serenamente la loro infanzia, come del resto intuibile dato che inizia parlando di Friez Niemand, cavia dei medici nazisti. Parla anche di Silvio B., o meglio fa finta di non parlarne, mostrando come Lewis Carroll, come ogni bravo classico, avesse già previsto tutto; parla appunto di Carroll, che in Italia è purtroppo misconosciuto; insomma, parla.
Giudizio? Mah. Se devo essere sincero, mi aspettavo qualcosa in più.